Romanzo
d’esordio, dopo una nutrita serie di racconti, presenta già alcuni dei temi importanti
del Dick più maturo. Innanzitutto il problema del potere. La descrizione del
meccanismo che sta alla base del sistema di potere è qui solo in apparenza accostabile
ad altre opere di carattere fantascientifico come The Sevent Victim di Sheckley
o in termini più generali al carattere distopico delle opere di Orwell e di
Huxley. In realtà Le caratteristiche del potere qui rappresentato hanno un solo
scopo, delimitare l’idea del potere entro una dinamica inevitabilmente
diseguale. Nella macchinosità di un sistema che prevede la salita al massimo
grado di comando attraverso un espediente puramente casuale, l’estrazione per sorteggio, controbilanciato dalla possibilità di
compiere un regicidio legalizzato, ciò che emerge nella sua plateale evidenza è
l’inevitabile squilibrio che fa pendere i rapporti di forza dalla parte di chi
già possedeva un suo potere precostituito. L’ex Quizmaster Verrick (ricco e potente industriale) scalzato dal cieco
gioco del Minimax, ha tutte le chances per eliminare facilmente il nuovo
vincitore, un qualunque signor x scelto dal caso in una folla di anonimi. La
contropossibilità che Dick mette in gioco in questa situazione, altrimenti
scontata in partenza, è determinata dal fattore imbroglio. Il nuovo Quizmaster,
Cartwright, ha determinato la sua elezione modificando in anticipo i risultati
del gioco. L’appartenenza a una setta politico religiosa, che ha un obiettivo
preciso, rende il risultato della partita non più scontato e, infatti, dopo una
serie di colpi di scena si arriva a un ribaltamento della situazione e a un
risultato inedito. Ma la cosa straordinaria di questo romanzo, dalla
traballante struttura fantascientifica, è l’intreccio che mostra tra il sistema
del potere politico ai vertici, con la sua nuda e cruda dinamica conflittuale
di guerra aperta, e il sistema di assoggettamento dei membri di questa società.
Un assoggettamento basato su un sistema classificatorio che porta a una
dinamica incessante, tra i due poli opposti, di inclusione e esclusione. Per
trovarsi sulla sponda degli inclusi occorre assoggettarsi al nuovo principio di
fedeltà. Principio che comporta un vero e proprio giuramento. Non più dipendenti,
persone che stipulano un contratto con regole prestabilite, ma un atto di
fedeltà, di appartenenza, un appartenere a qualcuno per poter essere qualcuno.
E’ un’analisi del potere nei suoi diversi livelli, ancora grezza ma già
predisposta ad evidenziare e a intrecciare la lotta per il potere con
l’assoggettamento ad esso. Al vertice, in lotta tra loro, Verrick e Cartwright,
alla base il tipico personaggio dickiano, il debole, indeciso, perennemente
scontento Ted Benteley. Benteley è l’eroe, il capofila, qui già ben
strutturato, di tutta quella serie di protagonisti dei successivi romanzi
dickiani. E’ eroe a pieno titolo in quanto portando a termine l’azione a lui
affidata porterà a compimento, se non un qualche apprezzabile cambiamento del
mondo, quantomeno un cambiamento di se stesso. Un cambiamento che possa
renderlo capace di accogliere il discorso di verità del profeta Preston, saggio
o ciarlatano che sia: “Non è un istinto
brutale che ci rende inquieti e insoddisfatti. Io vi dirò di cosa si tratta: è
l’obiettivo più importante che l’uomo può darsi… la necessità di crescere e
migliorare… di scoprire nuove cose… di espandersi. Di diffondersi, raggiungere
nuovi territori, compiere nuove esperienze, comprendere e vivere l’evoluzione.
Di sfuggire alla routine e alla noia, di distruggere la cieca monotonia e
spingersi in avanti. Di tenersi in movimento…” Un discorso che chiudendo il
romanzo, impegna al cambiamento, alla necessità del movimento come vita, con i
rischi e le incertezze ad esso connesse. Tutto il contrario di quell’idea di
fuga “per tornare a uno stato di natura di sano umanesimo” un “ritorno ai
valori fondamentali della vita umana, ricostruiti con fatica dai pionieri alla
ricerca di un mondo nuovo, non contaminato al di fuori del sistema solare” come
paventa Carlo Bordoni nella postfazione dell’edizione Fanucci. Certo, il
profeta Preston è anche lui chiaramente il capostipite di tutta una serie di
profeti impostori, ciarlatani, presenti nei successivi romanzi, ma proprio
nella sua falsità palese mette in luce la mancanza di quella pretesa mistica,
tante volte attribuita al “Dick più maturo, in cui trapela l’ansia profonda per
l’avvento di un nuovo Messia, in grado di restituire la salvezza e la fede agli
abitanti di un secolo di orrori”1.
La figura di questi santi ciarlatani, qui appena
accennata, sarà in seguito molto complessa ma comunque sempre scevra da
qualsivoglia pretesa ricerca trascendentale. Discorsi che pur prematuri rispetto
a un personaggio ancora molto stilizzato come la figura di questa specie di
mago di Oz di un altrettanto vago mondo di Shangri La, sono utili a
distanziarci da un’interpretazione in chiave parodistica. Maghi e ciarlatani
non sono un obiettivo parodico, così come non lo sono gli accenni a pratiche
magiche, prodigi o altri elementi di pseudo derivazione fantasy. E’ privo di
fondamento una sorta di satira ante litteram della società americana che si
predispone alla moda New Age degli anni ’70 come accenna Carlo Pagetti nell’introduzione2.
Il pensiero magico per Dick non è né un imbroglio da smontare né una realtà
altra da svelare ma una diversa forma di pensiero appartenente a un passato mai
del tutto cancellato coabitante nonostante tutto con il pensiero razionale
dominante. Inoltre gli accadimenti, le manifestazioni prodigiose della natura
in concomitanza con il sorteggio dell’urna, gli amuleti, e questo continuo
insistere sull’avere fortuna, che si ritroverà anche nei successivi romanzi allude
inevitabilmente all’antica Roma, vero e proprio mondo controfigurale di tutti i
mondi dickiani che sfocerà in quell’idea
del tempo fermo alla Roma del 70 d.C.3. Un ruolo a se stante nell’economia del romanzo
è l’androide, Keith Pellig il Golem
assassino che troverà un’ulteriore sviluppo in Follia per sette clan e che poi,
più che abbandonato “perché poco adatto a veicolare le problematiche che gli
interessano” (a Dick) come suggerisce Antonio Caronia,4 trova un suo
ideale ribaltamento nell’invenzione dell’alter abito di Un oscuro scrutare. Il
corpo artificiale plurinvaso da una molteplicità di identità diverse trova la
sua trasfigurazione in un abito artificiale che modifica in continuazione la
fisionomia di un’unica identità.
1 Carlo
Bordoni, Postfazione, Lotteria dello
spazio, Roma, Fanucci
2 Carlo
Pagetti, Introduzione, Lotteria dello
spazio, Roma Fanucci
3 “L’affermazione
più impegnativa di Philip K. Dick sulla storia la troviamo nell’Exegesis, poi ripetuta in >Radio libera Albemuth e in >VALIS (oltre che in un passaggio
piuttosto criptico del discorso di Metz, Dick 1977): i millenovecento anni
trascorsi dalla caduta del tempio di Gerusalemme sono pura illusione e noi
viviamo ancora, senza saperlo, nel 70 d.C.” A. Caronia, (voce): storia in A. Caronia D. Gallo, Philip K. Dick la macchina della paranoia,
Milano, Agenzia X, 206, pag. 228
4 A. Caronia,
(voce): androidi, ibidem pag. 94
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