martedì 24 novembre 2015

Denaro


“Molte cose nella vita possono trovare una spiegazione. Ma… Joe Chip su una moneta da cinquanta centesimi? Era il primo denaro Joe Chip che avesse mai visto. Ebbe allora la raggelante intuizione che, se avesse cercato nelle altre tasche, e fra le banconote nel portafogli, ne avrebbe trovato dell’altro. Questo era soltanto l’inizio.” UBIK  (1966), un inizio che apre al successivo romanzo GUARITORE GALATTICO (1967) con un altro Joe per protagonista, Joe Fernwright che sogna  (insieme al resto della popolazione terrestre che si accinge a dormire in quel momento) di essere il  vincitore di un concorso promosso dalla zecca di stato, in cui presterà il proprio volto per l’effige delle nuove banconote che verranno messe in circolazione al posto delle vecchie ormai svalutate. Ma se questo è solo un sogno e per di più coatto e di massa in compenso, al risveglio, Joe riceverà un incarico per un lavoro su un altro pianeta  che gli dovrebbe fruttare la somma di trentacinquemila briciole, l’equivalente di 200.000.000.000.000.000.000.000.000.000.0000.000.000 dollari. Ma si rivelerà solo un’esca per una missione impossibile su un remoto pianeta della galassia. E ancora Joe passerà seri guai con la polizia per aver voluto regalare a degli sconosciuti il proprio denaro. Infine l’amara considerazione di Dick sul significato del denaro la possiamo leggere nell’ultimo dei suoi racconti STRANI RICORDI DI MORTE (1980) “Quello che mi ha dato fastidio è sapere che l’unica cosa che mi rende diverso dalla signora del Lyosol, che è pazza, sono i soldi del mio conto corrente. Il denaro è il certificato ufficiale della sanità mentale.”

martedì 17 novembre 2015

Corpo



Il corpo per l’uomo è la casa che abita “Dio sta facendo a pezzi questa casa che è il mio corpo per farmi pagare quello che ho fatto” nel racconto SPERO DI ARRIVARE PRESTO (1980). Ma forse questo vale per l’uomo in quanto maschio: “-Il tuo corpo, per te, è quello che la casa è per una donna- disse Maggi Walsh. –Lo conosci come se fosse un ambiente, invece che…- -L’ambiente somatico è uno dei più genuini ambienti in cui viviamo,- rispose acidamente Babble. –È il nostro primo ambiente quando siamo bambini, e poi, quando decadiamo nella vecchiaia e il Distruttore Formale corrode la nostra vitalità e la nostra forma, scopriamo di nuovo che ci importa ben poco di quel che succede nel cosiddetto mondo esterno, se la nostra essenza somatica è in pericolo.” LABIRINTO DI MORTE (1968). Corpo che si abita, si possiede, entro cui ci si ripara e ci si difende; tana in cui evitare il contatto con gli altri. “Come riuscivano due persone, a sopportare di stare così vicino? Per Manfred era come se le loro separate identità si fossero fuse, e l’idea che potesse esistere una tale confusione lo terrorizzò.” NOI MARZIANI (1962). E forse allora “ci vuole il pericolo, un pericolo di morte, perché gli uomini si tocchino (…) Ma quando si decidono a farlo ne traggono un grande conforto. Non c’è niente di più bello.” LA CONQUISTA DI GANIMEDE (1964-66). C’è da perdersi a voler seguire, per dirla con Michel Foucault, tutti gli avvenimenti che si inscrivono in quel grande corpo espanso che costituisce l’opera di Philip K. Dick. È corpo che soffre e che lotta contro l’entropia quello che tenta con fatica indicibile di salire delle scale in UBIK (1966) e ancora soffre e viene ferito mentre scala una montagna dopo essersi fuso empaticamente con altri corpi in MA GLI ANDROIDI SOGNANO LE PECORE ELETTRICHE? (1966). Ma soprattutto è corpo che sta al confine, nella soglia tra vita e morte. Pensando a IN SENSO INVERSO (1965) concludiamo con il Foucault di Nascita della clinica, con una citazione che meriterebbe essere messa ad esergo dell’intera opera dickiana: “Vedere nella vita la morte, nel suo mutamento l’immobilità, dietro il suo sorriso lo spazio scheletrico e fisso, e, al termine del suo tempo, l’inizio di un tempo rovesciato che pullula di innumeri vite”. 

martedì 10 novembre 2015

Crisi


In DIVINA INVASIONE (1980) il male si presenta come “la cessazione della realtà, la cessazione dell’esistenza stessa.” È un processo che “è iniziato con la caduta originale. Una parte del cosmo è caduta. La divinità stessa ha subito una crisi. (…) una crisi nel terreno dell’essere? (…) Nessuna creatura può immaginare il non-essere, soprattutto il proprio non-essere.” Ma la crisi non è soltanto quella sul terreno dell’essere ma anche quella tra uomo e mondo “gli uomini e il mondo sono mutuamente tossici” e a questo può porre rimedio solo Dio, quel dio che “si mimetizza con l’universo, con la regione stessa che ha invaso: assume la parvenza di bastoni e alberi e lattine di birra ai margini della strada; finge di essere spazzatura gettata via, rottami di cui nessuno si cura. Appostato il vero Dio tende letteralmente degli agguati alla realtà e a noi stessi. Dio, in verità, ci attacca e ci ferisce, nel suo ruolo di antidoto.” VALIS (1978).

martedì 3 novembre 2015

Colpa


Se ci è data oltre la vita anche il dover morire allora qualche colpa dovremmo pure avercela. In GUARITORE GALATTICO (1967) “la morte e la colpa sono collegate”, “la consapevolezza della colpa lo avvolse come un mantello di raso dorato. Una vergogna talmente pura da possedere un che di archetipico, come se Joe stesse rivivendo la vergogna primordiale di Adamo, il primo senso di evidenza sotto lo sguardo di Dio”. In modo più o meno esplicito il senso di colpa attraversa l’intero corpus dell’opera dickiana tanto che paradossalmente è spesso impossibile isolarlo in momenti specifici. Morte, suicidio, peccato, fallimento, masochismo, tutte voci che esprimono questa fatale sensazione di qualcosa di sbagliato che è stato fatto, da noi o da altri, poco importa. Una eredità di cui l’essere umano non potrà mai sbarazzarsi una volta per tutte. Una forte ipoteca al desiderio assillante di libertà. Nel racconto SPERO DI ARRIVARE PRESTO (1980) un astronauta costretto a viaggiare nello spazio in solitudine per dieci anni senza poter stare in sospensione criogenica, per non impazzire viene aiutato dal solito computer dell’astronave che lo fa stare in una specie di stato ipnotico in cui rivivere creativamente i propri ricordi. Ma ogni sogno indotto viene rovinato da un qualche senso di colpa pronto a saltar fuori dall’inconscio profondo. Ogni occasione è buona perché il ricordo di una qualunque azione di cui non essere proprio orgogliosi, e come non avercene, si trasformi nella lacerante sensazione del rimorso.