Il corpo per l’uomo è la
casa che abita “Dio sta facendo a pezzi
questa casa che è il mio corpo per farmi pagare quello che ho fatto” nel
racconto SPERO DI ARRIVARE PRESTO (1980).
Ma forse questo vale per l’uomo in quanto maschio: “-Il tuo corpo, per te, è quello che la casa è per una donna- disse
Maggi Walsh. –Lo conosci come se fosse un ambiente, invece che…- -L’ambiente
somatico è uno dei più genuini ambienti in cui viviamo,- rispose acidamente
Babble. –È il nostro primo ambiente quando siamo bambini, e poi, quando
decadiamo nella vecchiaia e il Distruttore Formale corrode la nostra vitalità e
la nostra forma, scopriamo di nuovo che ci importa ben poco di quel che succede
nel cosiddetto mondo esterno, se la nostra essenza somatica è in pericolo.” LABIRINTO DI MORTE (1968). Corpo che si
abita, si possiede, entro cui ci si ripara e ci si difende; tana in cui evitare
il contatto con gli altri. “Come
riuscivano due persone, a sopportare di stare così vicino? Per Manfred era come
se le loro separate identità si fossero fuse, e l’idea che potesse esistere una
tale confusione lo terrorizzò.” NOI
MARZIANI (1962). E forse allora “ci
vuole il pericolo, un pericolo di morte, perché gli uomini si tocchino (…) Ma
quando si decidono a farlo ne traggono un grande conforto. Non c’è niente di
più bello.” LA CONQUISTA DI GANIMEDE
(1964-66). C’è da perdersi a voler seguire, per dirla con Michel Foucault,
tutti gli avvenimenti che si inscrivono in quel grande corpo espanso che
costituisce l’opera di Philip K. Dick. È corpo che soffre e che lotta contro
l’entropia quello che tenta con fatica indicibile di salire delle scale in UBIK (1966) e ancora soffre e viene
ferito mentre scala una montagna dopo essersi fuso empaticamente con altri
corpi in MA GLI ANDROIDI SOGNANO LE
PECORE ELETTRICHE? (1966). Ma soprattutto è corpo che sta al confine, nella
soglia tra vita e morte. Pensando a IN
SENSO INVERSO (1965) concludiamo con il Foucault di Nascita della clinica, con una citazione che meriterebbe essere
messa ad esergo dell’intera opera dickiana: “Vedere nella vita la morte, nel
suo mutamento l’immobilità, dietro il suo sorriso lo spazio scheletrico e
fisso, e, al termine del suo tempo, l’inizio di un tempo rovesciato che pullula
di innumeri vite”.
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