martedì 23 giugno 2015

Musica


“Il dottor Labyrinth, come molta gente che legge tanto e che ha parecchio tempo libero, si era convinto che la nostra civiltà stesse prendendo la strada di Roma. Vedeva, io penso, formarsi le stesse crepe che avevano minato il mondo antico, il mondo della Grecia e di Roma; ed era convinto che quanto prima il nostro mondo, la nostra società, sarebbero scomparse come avevano fatto altre, e che sarebbe seguito un periodo di oscurità.” Per salvare almeno una delle più belle creazioni dell’umanità, la musica, Labyrinth inventa una macchina ‘salvamusica’ che trasforma gli spartiti musicali in esseri viventi dotati di istinto di sopravvivenza. Nascono così l’uccello-Mozart, lo scarabeo-Beethoven, l’animale-Schubert, l’insetto-Brahms, l’animale-Wagner, le cimici-Bach, l’uccello-Stravinsky. Ma qualcosa va storto e gli animali si trasformano in animali orrendi. “La musica sarebbe sopravvissuta sotto forma di creature viventi, ma si era dimenticato della lezione del giardino dell’Eden: una volta creata, una cosa comincia a esistere per conto proprio e cessa di essere proprietà del suo creatore, da modellare e amministrare secondo i suoi desideri. Dio, osservando l’evoluzione dell’uomo, dovette provare la stessa tristezza, e la stessa umiliazione, di Labyrinth, nel vedere le sue creature mutare e trasformarsi per andare incontro alle necessità della sopravvivenza.” Come controprova Labyrinth rimette nella macchina salvamusica una creatura e quel che ottiene è uno spartito di musica orribile. Fortunatamente Labyrinth è stato un novello Noè prudente e ha fatto si che tutte le creature nate dalla macchina fossero sterili. LA MACCHINA SALVAMUSICA  racconto del 1953. Ma forse è la musica in sé a contenere una parte impura, caotica, pronta a riemergere da un passato lontano, come quello dei Chupper, neo-neandertaliani nel romanzo I SIMULACRI (1963) oppure come quella tribale e guerriera degli oppositori ai conquistatori vermiformi proveniente da Ganimede LA CONQUISTA DI GANIMEDE (1964-66) “Una seconda voce si unì alla prima, e poi un’altra, e un’altra ancora. Joan non aveva mai udito niente di simile prima d’allora. Un susseguirsi di lamenti che si fondevano l’uno nell’altro in un unico e lungo singhiozzare che saliva e scendeva di tono senza mai interrompersi, come guidato da un ritmo non stabilito, ma interno, un ritmo che faceva pensare al battito di un grande cuore comune. Sembrava non esserci alcuna melodia prestabilita e ogni voce si univa al canto e lo abbandonava a suo piacimento. Molte voci si erano unite adesso. Il ritmo aumentava. Alcuni uomini cominciarono a segnare il tempo battendo i palmi sui corpi. Per Joan la bellezza di quella musica era come una fitta in pieno petto. La sua mente opponeva resistenza dibattendosi come un uomo che affoghi, ma le emozioni furono rapite dalla musica e trascinate via con furia selvaggia, verso il basso, come un bastoncino in balia della corrente.” Ancora ne “I simulacri” troviamo, oltre alla musica primitiva dei Chupper, un duo di Anfora che si esibisce davanti alla First Lady degli Stati Uniti d’Europa e d’America, suonando l’arrangiamento da Die Forelle di Schubert e un virtuoso del pianoforte, psicocinetico e schizoide che non riesce più a reggere le sue esibizioni in pubblico perché convinto di emanare una puzza fobica in grado di contagiare il mondo intero. Se aggiungiamo i messaggi subliminali inseriti nella musica di RADIO LIBERA ALBEMUTH (1976) possiamo forse incominciare a intravedere il profilarsi di una certa inquietudine nel rapporto tra Dick e la musica. Quelli che a prima vista possono sembrare semplici incursioni in un campo estraneo, ma molto amato da Dick, come la musica, diventano, a guardare con più attenzione, una sorta di sintomi di un malessere. Forse il malessere del rapporto che tutti noi intratteniamo col potere e che in un qualche modo può essere sentito come una musica che ci pervade, che ci guida, a nostra insaputa, nelle nostre relazioni. Musica primitiva, musica colta, entrambe portatrici di un pericoloso messaggio subliminale. Il messaggio che siamo tutti eterodiretti? Il rapporto tra la musica e l’opera di P. K. Dick è in gran parte ancora da indagare,1 qui possiamo solo segnalare, in successione, tutta una serie di citazioni musicali, di varia natura, rintracciabili nell’opera dickiana. Un citazionismo che potrebbe rivelarsi utile per un approccio diverso, inconsueto, a un’opera letteraria, soprattutto come in questo caso, considerata di genere. In I GIOCATORI DI TITANO (1963) troviamo un negozio musicale con il disco di Don Pasquale “L’aria di Schipa. Da-dum da-da-da. Splendido brano.” Un cliente chiede il disco di Gigli, Una furtiva lacrima. E ancora: “-Che gelida manina- disse Schilling.2 –La prima delle due incisioni che ne ha fatto Gigli, è di gran lunga la migliore. L’hai mai sentita la seconda? Tratta dall’opera completa, di una bruttezza incredibile. Aspetta.- Tacque, in ascolto. –Un’incisione superba- disse a Pete. – Dovresti averla, nella tua collezione.- -Non mi piace Gigli- replicò Pete. –Singhiozza.- -Una convenzione- fece Schilling, indispettito. – Era un italiano; è la tradizione.- -Schipa non lo faceva.- -Schipa era un autodidatta.- disse Schilling.“ Ma “-Qual è secondo lei la miglior incisione canora di tutti i tempi?- chiese Es Sibley a Pete. –Aksel Schiotz che canta Everey Valley- rispose Pete. –Così sia- disse Les, approvando.” E poi ancora l’aria della Regina della notte di Erna Berger e infine il duetto delle ciliege (da L’Amico Fritz di Mascagni). Si potrebbe continuare segnalando qua e là una Quarta di Mahler GUARITORE GALATTICO (1967), un Arturo Toscanini e il Dies Irae in UBIK (1966) ecc. ma ora arriviamo a concludere con una carrellata a volo d’uccello, in ordine di apparizione, sulla trilogia di Valis. VALIS (1978): Mick Jagger, i Grateful Dead, Handel, Wagner, il Parsifal, Sammy Davis Jr., David Bowie, Frank Zappa, Alice Cooper, Paul Simon, John Lennon. DIVINA INVASIONE (1980): Il violinista sul tetto (versione per soli archi), John Dowland (il suo Scorrete lacrime, fa da titolo anche al romanzo omonimo del 1970), Monteverdi, Penderecki, Beethoven, Mahler, Mozart. LA TRASMIGRAZIONE DI TIMOTHY ARCHER (1981): Paul McCartney, Bach, i Rolling Stones, Henry Purcell, Frank Zappa, Captain Beefheart, Janis Joplin, il Fidelio, Christa Ludwig, Frida Leider, Beethoven, Bing Crosby e Nat Cole, Gian Carlo Menotti, il Dies Irae, Handel, il Wozzeck di Alban Berg, Patti Smith Group, i Fleetwood Mac. E scusate se vi sembra poco.
1 Significativa eccezione nell’Enciclopedia dickiana a cura di Antonio Caronia e Domenico Gallo, la voce di A. Caronia Musica e musicisti  http://www.agenziax.it/wp-content/uploads/2013/03/philip-k-dick.pdf   Per un’indagine su musica e potere in Dick: Massimiliano Viel, Do Androids Sing in the Shower   http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2015/06/massimiliano-viel-do-androids-sing-in.html
2 Schilling è anche il nome del commerciante di dischi nel romanzo degli anni ’50 Mary e il gigante pubblicato postumo nel 1987.                                                                 

venerdì 12 giugno 2015

Massimiliano Viel: Do Androids Sing in the Shower?

LOGIC LANE - ANTONIO CARONIA. Milano 5/6 06 2015 Accademia di Belle Arti Brera

Quando mi è stato chiesto di partecipare a questo incontro ho subito pensato di indagare il possibile legame tra l’opera di Philip Dick, un autore spesso associato al nome di Antonio Caronia e che anch’io ho letto molto, e un tema che mi interessa particolarmente e cioè quello del rapporto tra musica e potere. Non a caso: la musica è sempre presente da qualche parte nelle opere di Dick, un po’ come lo sono i gatti, ed arriva persino a meritare l’apparizione nel titolo di un romanzo; si tratta di Scorrete Lacrime, Disse il Poliziotto, titolo che riecheggia quello di “Flow my tears”, forse la composizione più conosciuta di John Dowland, compositore rinascimentale inglese.
Quello del potere, poi, è un tema addirittura onnipresente e pervasivo nel lavoro di Dick. Lo troviamo a partire dal microcosmo della vita famigliare, tipicamente tra il protagonista e sua moglie o la sua amante, o negli equilibri di un gruppo di amici, come in Un Oscuro Scrutare o più in generale di un gruppo di persone, come ad esempio in Ubik o in Labirinto di Morte, fino a coinvolgere non solo l’intera società spesso ingabbiata in una distopia totalitaria, sia essa di stampo militarista, religioso o consumista, ma anche l’intera esistenza umana, o almeno quella del protagonista, perso tra mondi paralleli, governati da divinità personalzzabilii, come Palmer Eldritch, o ingannato dal velo di illusione intessuto da forme biologiche parassite e aliene per noi inconcepibili, come la Zebra di VALIS.

Ciononostante, è estremamente difficile individuare nel lavoro di Dick una relazione esplicita tra musica e potere, così che forse l’unico esempio che possiamo trovare è nel finale di Radio Libera Albemuth, che è per così dire la “prova generale” di VALIS, trilogia che costituisce l’ultima opera di Dick. Nella conclusione di questo romanzo, la musica di una band pop è l’ultima opzione rimasta ai ribelli per riuscire a delegittimare il dittatore Fremont, attraverso la diffusione di messaggi subliminali. Dunque comunque alla fine non si tratta della musica in sé che ha il potere di indurre la sovversione, ma del testo che in essa può essere nascosto.

Eppure proprio la musica, con la sua complessa architettura di relazioni tra scale, note, accordi, figure e melodie che si ripetono e vengono variate, con le sue forme e i suoi organici vocali e strumentali, ma allo stesso tempo con l’ampiezza della sua diversità interculturale ben si presta a esemplificare il processo di costruzione di un’ideologia e il suo volersi porre come orizzonte di senso nel regime totalitario.
E forse è proprio per questo motivo che ci sembra eccessivo pensare alla musica come uno strumento di soggezione: in fondo la musica allieta, ci emoziona (come vuole la retorica di massa); e se non è così, non è musica: è rumore, non ci dice niente e guardiamo con sospetto chi sostiene che ciò che per noi è un insensata accozzaglia di rumori per altri è musica. Ma anche quando la riconosciamo come musica, la musica degli altri pur aliena ed esotica, spesso non possiamo evitare di considerarla l’espressione di un livello culturale inferiore rispetto al nostro, che è quello di  “esseri civili”. Oppure la facciamo discendere da un concettualismo che interpretiamo più come truffa, come mistificazione, che come genuina manifestazione musicale.

Oggi si litiga molto sulla musica. Anche se siamo lontani dalle risse che scoppiavano durante i concerti di musica contemporanea negli anni ’60, è facile offendere qualcuno dicendogli che non apprezziamo un dato brano musicale che magari viene adorato dal nostro interlocutore o peggio se gli smontiamo il brano e lo riportiamo a banali cliché. Ciò avviene tipicamente perché ci identifichiamo con la musica che ascoltiamo e se qualcuno rifiuta la nostra musica è un po’ come se rifiutasse noi stessi. Siamo in genere disposti a tollerare chi ha gusti alimentari diversi dai nostri, ma per qualche motivo con la musica questo ci riesce più difficile; come diceva un meme di qualche anno fa: “se ci devono mettere in prigione perché scarichiamo musica, che almeno ci dividano a seconda dei generi musicali”.
Dunque oggi sembra che l’ascolto musicale si stia spostando dal riconoscimento di strutture al riconoscimento di generi, operando una formazione identitaria, una distinzione sociale, non più attraverso il grado di sensibilità, ma attraverso l’orientamento di questa verso specifici target, che formano le coordinate sempre diverse di ciò che chiamiamo “musica”. Insomma, la musica oggi viene in qualche modo reificata: diventa parte di un arredo, viene indossata come un indumento, o un tatuaggio.

Formare le identità, magari identità ad hoc, è uno strumento fondamentale nella dominazione. L’identità non è semplicemente il modo con cui noi ci distinguiamo dagli altri, ma è soprattutto la membrana cognitiva con cui diamo un senso al mondo, è il nostro Umwelt personale. Così che noi non percepiamo la nostra identità in sé, ma piuttosto l’alterità di ciò che ci circonda contro la quale ci ergiamo in difesa, per così dire, della nostra integrità di senso. Non c’è quindi da stupirsi se la musica, con la sua liquidità inafferrabile e la sua pervasività inevitabile, possa divenire lo strumento ideale per formare i cittadini del regno, della Prigione di Ferro Nera, come la chiama Philip Dick, entro la quale siamo rinchiusi. E questo vale anche se la finalità diretta è semplicemente quella di diffondere il più possibile un’opera musicale per avere maggiori profitti, anzi, vi è una precisa connessione tra ripetizione e modulazione della coscienza. Ed è proprio questo il punto: è attraverso la ripetizione che si forma l’universo che incontriamo, come uno specchio sempre incrinato.

Insomma, è naturale quindi che mi sarebbe piaciuto leggere un romanzo di Philip Dick, in cui per una volta fosse proprio la musica a squarciare il velo dell’illusione costruito dal demiurgo parassita per dominarci e trasformarci in un docile e insensibilmente felice gregge.
Magari la storia sarebbe potuta iniziare a partire dal finale di Radio Libera Albemuth, quando il protagonista, che è lo stesso Philip Dick, dall’interno della prigione in cui è stato rinchiuso si rende conto che i messaggi subliminali non sono bastati a sconfiggere il dittatore e che anzi, sono gli stessi giovani, i destinatari di questi messaggi sovversivi, a consolidare il potere del tiranno.
In prigione però, lo scrittore si accorge del dilagare di uno strano culto i cui adepti si riuniscono segretamente per ascoltare in silenzio un singolo suono o a volte un accordo che continua per ore e ore, apparentemente senza minime variazioni. Ovviamente Philip Dick, grande appassionato di Wagner e di Linda Ronstadt, rifugge da questa setta, ma tra i detenuti incontra una giovane ragazza, che è stata incarcerata per aver spacciato vinili di musica degenerata. Questa introduce il protagonista a un mondo di culti e di pratiche di ascolto di cui non aveva mai nemmeno sospettato l’esistenza: chi ha fatto voto di ascoltare per il resto della propria vita solo Gute Nacht di Schubert, il primo Lied del Winterreise, chi invece è devoto al rumore bianco, che per definizione contiene tutte le musiche del passato e del futuro e cerca di recuperarle scolpendo con l’ascolto il rumore bianco come un blocco di marmo, chi si riunisce per ascoltare le musiche portate dai singoli adepti, però tutte insieme contemporaneamente, e tanti altri culti ancora.
Il romanzo poi avrebbe potuto seguire il percorso esistenziale di Dick mentre si addentra in queste pratiche vietate dal regime, descrivendo come ogni nuovo esercizio dell’ascolto lo conduce a una diversa percezione del mondo intorno a sé, un po’ come un’esperienza psichedelica. E piano piano il mondo si trasforma. Il meccanismo di proiezione della realtà fittizia, il Vasto Sistema di Intelligenza Vivente Attiva o VALIS come lo chiama Dick, sembra vacillare perché non riesce a sostenere i continui cambiamenti cognitivi del protagonista: dove prima c’era una cella ora c’è una palude, dove c’era un secondino ora c’è una sorta di legionario romano da incubo, nel cielo ogni tanto si può scorgere un gigantesco sguardo malevolo e sogghignante, ma soprattutto al posto dei muri della prigione ora c’è lo spazio aperto. Che quello che si percepisce sia la vera realtà, il sostrato, non è certo. Quello che è invece certo è che il velo di Maya è stato squarciato. Ma solo per un momento.
Ora però la resistenza sa finalmente cosa deve fare per sconfiggere il tiranno. Non c’è bisogno di sottoporre gli ascoltatori a messaggi subliminali, tutto il contrario: occorre far ascoltare a tutti i suoni e le musiche del mondo. Bisogna occupare le televisioni, le radio, le sale da concerto e fare musica, suoni, rumori di tutti i tipi. Certo anche Wagner e Linda Ronstadt hanno il loro posto in questa babele sonora, ma il loro ruolo è cambiato: ora sono una voce tra un miliardo, tra mille miliardi. Sono una possibilità, un percorso sonoro unico. Ancora di più perché l’ascolto liberato delle persone può trovare in questi brani ogni volta suggestioni diverse.
E così alla fine, con il diffondersi di questa esplosione di diversità di ascolti e pratiche, tutti riescono finalmente a vedere il tiranno per quello che è, la Prigione di Metallo Nera viene distrutta e ora è possibile costruire una nuova società. Ma un nuovo tiranno si sta già preparando per salire al potere.


Ecco, un romanzo di Philip Dick sul rapporto tra potere e musica avrebbe forse potuto avere una trama come questa. Oppure chissà, forse, anzi molto probabilmente, il romanzo sarebbe stato completamente diverso.