sabato 6 febbraio 2016

Guaritore galattico


“…e con passaggi veloci lo portò fin nel cuore dei mari,
dove le profondità turbinanti lo succhiarono al fondo
per diecimila di tese e le alghe gli s’avviticchiarono
intorno al capo e tutto il mondo marino del dolore gli
trascorse sul capo.”
Melville, Moby Dick (nella traduzione di C. Pavese)
Guaritore galattico
(Le citazioni dall’opera di Dick sono tratte dalla traduzione di Pietro Anselmi, Bompiani 1998.)
Da dove partire per parlare di un romanzo così ingarbugliato che suscita pareri contrastanti tra i critici e di fatto negletto all’autore stesso?1 Forse dall’elemento meno considerato, più sottaciuto in generale, quello che il protagonista Joe Fernwight pensa come l’unica cosa destinata a rimanere in una vita priva di valore, il Gioco2. In questa sorta di rete telefonica in cui si gioca una specie di gara a risolvere indovinelli basati sulla decodificazione di traduzioni di titoli di libri e film, fatti da computer che creano non-sense linguistici, il romanzo predispone, fin dalle sue prime battute, una sorta di impresa collettiva che ha il compito di rimettere a posto dal punto di vista linguistico quello stesso disordine del mondo a cui da un punto di vista materiale il riparatore di vasi3 è idealmente predisposto. Per cui “L’intelaiatura a traliccio Arma-da-fuoco Insetto che punge” si risolve nel romanzo di F. S. Fitzgerald “Il Grande Gatsby”, “La Progenie Maschile Si Alza dal Letto in Aggiunta” in “Il sole sorge ancora”4 e così via: E’ il Gioco, ragazzi! E’ quella “capacità di trascorrere una vita gingillandosi con cose inutili, senza un lavoro degno di quel nome e, al suo posto, la parata del banale, del banale scelto volontariamente da noi, perché è su questo che abbiamo costruito Il Gioco. Il contatto con gli altri… Sì, con il Gioco affondiamo un bisturi nel corpo dell’isolamento e lo spezziamo.”5 E anche se alle volte ci si sente troppo svuotati “per partecipare ancora” non possiamo non concordare con Joe  che “loro. Gli altri che si dedicano al Gioco, hanno bisogno di me, del mio misero contributo.” E pertanto quando Joe, sfiduciato dagli insuccessi della gara, cade preda dello sconforto del fallimento eccolo percepire di nuovo “nel proprio corpo l’inizio di una tenue reazione, una specie di fotosintesi… una raccolta delle energie rimanenti che si muovono d’istinto.” E’ “lo sforzo biologico del suo corpo” che lotta “per rivendicare un equilibrio fisico”. E’ in questo quadro che la nuova sfida, quella del Glimmung (la potente divinità aliena), viene lanciata all’umile restauratore di vasi Joe Fernwright. Una grande impresa collettiva che si prefigge, nientemeno che, di risollevare dal profondo di un oceano di un lontano pianeta un’autentica cattedrale dotata di poteri arcani contro la sfida routinaria di un machiavellico gioco di indovinelli. Ma vediamo innanzitutto in quale mondo vive questo artigiano che “ripara vasi; praticamente qualsiasi tipo di oggetto in ceramica proveniente dai Vecchi Tempi, prima della guerra, quando non tutto era fatto di plastica”; è un pianeta Terra “agli inizi di aprile, anno 2046, nella città di Cleveland” che si è rapidamente sovrappopolato dopo una non meglio precisata guerra mondiale. Avere un lavoro è un lusso, lo stesso Joe riceve rarissime commissioni e vive faticosamente del sussidio governativo quotidiano per reduci, denaro con cui comprare velocemente il necessario prima che l’inflazione ne decurti irrimediabilmente il potere d’acquisto. Come gli abitanti del villaggio del Castello di Kafka gli abitanti del villaggio globale terrestre del 2046 sono “controllati dal governo e dai suoi impiegati anche nei dettagli più intimi della loro vita ed asserviti anche nei loro pensieri a quelli che hanno il potere” per loro “l’aver torto o ragione era un destino in cui non è dato di mutare nulla.”6 E’ un asservimento completo, un potere disciplinare del corpo fin nei minimi dettagli: ad esempio nel ritmo del camminare,7 o nel controllo della mente: con l’interrogatorio telepatico della polizia o ancor più con l’attività onirica irreggimentata in un sogno unico obbligatorio. Ed  eccoci qui a un punto centrale, il sogno del protagonista, quello che ci potrebbe sembrare una gag comica fine a se stessa, il letto che non si lascia ingannare e capisce che Joe non sta facendo sesso e quindi lo costringe ad addormentarsi e a sognare, chiarisce in realtà quale sia la posta in gioco dell’intero romanzo, determinare i limiti e le possibilità di un individuo all’interno di un sistema di potere capace di controllare sia i corpi che le menti degli esseri a lui assoggettati. Il sogno a cui Joe è costretto a sottostare è un sogno collettivo frutto di un concorso giornaliero che può far vincere ricchi premi in denaro e che premia il copione vincitore con un “viaggio tutto compreso fuori dalla Terra… in un luogo a vostra scelta!”. Il sogno di quella notte si intitola INCISO IN MEMORIA e vede Joe (come del resto tutti gli esseri umani che stavano dormendo in quel momento) davanti al Segretario del Supremo Consiglio Fiduciario (S.C.F.) mentre questi gli comunica che le lastre incise dal suo laboratorio erano state scelte per stampare il nuovo denaro, “il suo lavoro ha vinto. E’ stato scelto tra gli oltre centomila presentati.” Ma a questo punto nasce il problema, per Joe le nuove banconote dovranno avere il suo volto in effigie, mentre per il S.C.F. solo la firma, e sarà solamente con la ferma risolutezza e con la minaccia di ritirare il proprio lavoro, cosa che determinerebbe il crollo dell’”intera struttura economica della Terra”, che Joe riesce a spuntarla. “E tornando alla mia firma, come fece quel grande eroe del passato, Che Guevara, quel nobile spirito, quell’uomo eccezionale che morì per gli amici, ebbene, in sua memoria sui biglietti scriverò solamente ‘Joe’. Ma la mia faccia deve avere più di un colore… almeno tre.” E sulle lodi e gli applausi del Segretario “la sveglia di Joe interruppe il sogno.” Il sogno di tutti i ‘Joe’ del pianeta mercifica e rende obbligatorio quel ‘cambiare la valuta’ che nel precedente romanzo, Ubik,8 era stato appannaggio di un solo Joe. Il sistema si è fatto furbo, ha imparato; dove Joe Chip poteva essere in una certa misura ancora flaneur e sperperare il proprio denaro, Joe Fernwright non riesce più a farlo, perché è il denaro stesso che si consuma rapidamente nel suo valore effettivo, almeno quello governativo, i buoni del sussidio, mentre l’eventuale tesoretto dei soldi buoni, il denaro vero, quello che si guadagna faticosamente con un lavoro che non c’è, è raro e comunque sottoposto a regole ferree che impediscono appunto di sperperarlo, regalarlo, pena l’arresto immediato come in effetti succede a Joe Fernwright. E’ dunque un sistema che non lascia più spazi, interstizi dietro di se? Vuoti di potere? Certo non possiamo definire Guaritore galattico un romanzo comico, ancor meno una parodia; è un romanzo tragico, che sembra essere chiuso non alla speranza, che Dick non ha mai coltivato, ma al senso del possibile, a quella ricerca sempre disperata del possibile che permea tutta la sua opera. Forse Glimmung è il sogno di Joe, è il sogno che lui può far concorrere per vincere quel “viaggio tutto compreso fuori dalla Terra” verso quel pianeta del contadino con la cattedrale da far riemergere dal profondo dell’oceano. E allora è questo sogno, questo nuovo sogno che può far vincere trentacinquemila briciole, nella moneta del pianeta del contadino, che al cambio terrestre corrisponderebbero a 200.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000 dollari. Un’enormità9, del resto si sa, nei sogni si esagera sempre. Ed è pertanto comprensibile se in un romanzo come questo, più che in altri di Dick, verrebbe voglia di tirar dritto, scorrere la trama a volo d’uccello e fermarsi solo nei punti più interessanti, quelli che evidenziano meglio una tesi piuttosto che un’altra. Si può fare, ma i risultati sarebbero piuttosto impoverenti che il contrario. Non c’è storia, trama inutile nei romanzi dickiana, per quanto spesso sembri che la materia narrativa soverchi il significato, ne travalichi il senso. Bisogna accettarne il gioco, accettarne la sfida dell’eccesso, dell’apparente futilità. Un po’ come si fa con i sogni appunto. Ebbene sfidiamolo allora questo sogno, questo sogno bislacco che vede il Joe di turno ricevere messaggi dalla divinità nello sciacquone del proprio gabinetto. E’ ancora il mondo di Ubik, ma questo Joe è ancora più disperato dell’altro, l’impresa che gli si prospetta sembra architettata da “un’immensa e vecchia creatura. Chiaramente inferma” e da cui ben difficilmente può sperare di cavarci un soldo. Voltando allora le spalle all’ignoto dell’avventura Joe decide di investire il gruzzolo di soldi veri risparmiato in tanti anni, nella consultazione di quel vero e proprio oracolo della futura Terra del XXI secolo che è Mr. Lavoro. Ma per far questo, per dirigersi fuori, all’aperto, alla cabina telefonica che lo metterà in contatto con il consulente del lavoro più costoso e avaro di parole, e quindi di informazioni utili, dovrà attraversare quell’”enorme, animalesca entità ansante che costituiva la massa dei disoccupati – e che del resto non potevano trovare un impiego – di Cleveland” che “si raccoglieva fermandosi lungo i marciapiedi della città. Si fermava ad aspettare, e nell’attesa si fondeva in un ammasso informe, oscillante e triste.” E’ la folla con quel suo “odore penetrante, simile all’aceto, un odore ormai familiare, della loro presenza, della loro compattezza surriscaldata, eccitata e tuttavia tristemente delusa” che avvolgerà Joe, impedendogli di avanzare, di proseguire verso il suo obiettivo. E qui avviene qualcosa di insolito, un’esperienza di quelle che segnano, mutano irrimediabilmente il destino di un individuo. Nell’ansia, nella paura che quella moltitudine voglia strappargli il prezioso sacchetto coi soldi, il cuore gli duole “come se avesse scalato la cima di un monte, la cima ultima della vita stessa, una collina terrificante cosparsa di teschi.” Una paura di essere contaminato, di essere trascinato “nella loro bufera d’apatia” e quando si trovò a dare i suoi soldi a quelle mani protese, ma non violente, capì: “Erano semplicemente là, ad aspettare… ad aspettare in un silenzio fatto di speranza”. “Spaventoso. (…) Questa gente crede che io stia per far loro un regalo… un regalo che attendevano dall’universo… l’universo non ha concesso nulla a costoro, nulla per tutta la vita, e loro lo hanno accettato in silenzio, come adesso. E vedono in me una specie di divinità soprannaturale”. L’arrivo della polizia concluderà con l’arresto l’esperienza di autoconsapevolezza di Joe, quell’autoconsapevolezza che lo porterà nel successivo interrogatorio da parte della polizia a rispondere, in modo esplicitamente sovversivo, che il popolo non è lo stato. E da qui in poi l’andamento da incubo, ma pur sempre realistico, del romanzo cesserà per lasciare posto a un susseguirsi di esperienze surreali che caratterizzeranno l’avventura extraterrestre del protagonista e del suo ingombrante datore di lavoro, il Glimmung. Il viaggio/sogno di Joe è la faticosa esplorazione dei propri limiti e delle proprie possibilità attraverso un’impresa destinata comunque al fallimento. Ma “Forse Glimmung ha ragione, forse anche il fallimento serve a qualcosa (…) il fallimento ci fa conoscere i nostri limiti, traccia i nostri confini.” Ma il Glimmung fa anche qualcosa di affatto diverso dall’insegnare limiti e confini e quindi le potenzialità che ogni individuo è in grado di esprimere; egli mette in dubbio la possibilità di conoscenza di se medesimo che l’individuo pensa di possedere. La verità intima, interiore di un individuo non è da lui conoscibile se non in termini di possibilità di fare. “Nessuna creatura conosce se stessa (…) tu non ti conosci; non possiedi alcuna conoscenza, neppure la più vaga, delle tue potenzialità più intime. Capisci cosa significa per te il Sollevamento? Tutto ciò che è esistito in te in potenza, allo stato latente… ebbene, tutto questo si esplicherà. Tutti coloro che parteciperanno al Sollevamento, ogni essere che si troverà coinvolto nell’impresa… individui provenienti da decine di pianeti sparsi qua e là nella galassia, ebbene… tutti si realizzeranno, tutti saranno. Tu non sei mai stato, Joe Fernwright. Tu esisti solamente. Essere è fare.” Tutto si situa in superficie, al livello dove si producono le pratiche, il fare della vita. E’ un colpo a quel precetto che, a dire di Foucault, ha costituito quel rapporto tra soggetto e verità nell’età moderna in cui “così come esso è, il soggetto è capace di verità, e (…) la verità così com’è, non è capace di salvare il soggetto.”10 Il Glimmung spezza questo ciclo perverso, Si è accusato spesso Dick di essere antimoderno, anzi di non essere mai nemmeno entrato nella modernità11 ma in realtà con Dick siamo ben oltre ogni modernità o postmodernità, e i ponti alle spalle sono stati inesorabilmente tagliati. Non c’è fuga indietro, “Chi desidera tornare sul suo mondo è libero di farlo, - disse Glimmung. – Io provvederò ai biglietti di ritorno… in prima classe. Ma quelli che torneranno indietro troveranno tutto come prima. La stessa vita invivibile. Voi tutti avevate intenzione di autodistruggervi e lo stavate facendo quando vi ho trovati. Ricordatelo. Ecco cosa c’è alle vostre spalle. Non fate in modo di ritrovarvelo di fronte.” ma neanche in avanti, in una qualsivoglia utopia. Alla fine dell’impresa Joe rifiuta la fusione col Glimmung. Joe ha capito “che la verità come e in quanto tale, è capace di trasfigurare e salvare il soggetto”12 ma ha capito anche che la verità non alberga né dentro di lui ne in nessun altro posto. La verità che si situa in un determinato posto, si cristallizza e muore. La sua funzione salvifica permane fintantoché è capace di modificare e cambiare il soggetto che le sta di fronte e che la cerca, e pertanto è una verità che non può mai essere definitiva, l’ultima verità. La storia termina con la decisione di Joe di creare un vaso. Alla fine ci viene detto che “il vaso era orribile”. Ma per la prima volta Joe aveva fatto un vaso invece di ripararlo.
1 “pertanto, fu scrivendo Guaritore che raggiunsi la fine – logoro, morto come scrittore; avevo grattato il fondo del barile e ero morto, dal punto di vista creativo e spirituale. Che tristezza!” dall’Esegesi di P. K. Dick  in Divine invasioni di Lawrence Sutin, Fanucci 2001, pag. 182.
2 Guaritore Galattico è opera innovativa perché sviluppa un metodo intertestuale, fatto di rimandi e di echi letterali, che non riguardano solo la fantascienza, e che rivelano un gusto quasi joyciano evidente nell’attenzione al linguaggio e alle sue manipolazioni, come si coglie subito dal Gioco che impegna gli abitanti della Terra” Carlo Pagetti, Introduzione a Guaritore Galattico, Roma Fanucci, 2001. Pag.11
3 Va qui sottolineato che il vaso, è uno tra gli oggetti più presenti nell’opera di Dick e il suo aspetto di fragilità ne amplifica la sua già forte valenza simbolica. “Come, nella Cabala’, si parla di shviràth hskrlìn, di questi vasi rotti nel momento della creazione, così oggi noi dobbiamo vedere la possibilità di una simile rottura, su una scala tanto vasta quanto la prima, che implichi la totalità dell’Essere. Rottura tra passato e futuro, tra creazione e creatore, fra l’uomo e il suo simile, fra l’uomo e il suo linguaggio, fra le parole e il senso che esse nascondono.” Elie Wiesel, Credere o non credere, La Giuntina 1986.
5 Non siamo poi così lontani dall’idea contemporanea della comunità virtuale dei social network.
6 (H. Arendt, Il futuro alle spalle). Joe arrestato dalla polizia viene lasciato in libertà condizionata per un anno “_Senza un processo?_ chiese Joe. _Vuole essere processato?_ L’ufficiale gli lanciò un’occhiata penetrante. _No._ ammise Joe.”
7 “_Lei cammina troppo lento,” gli notificò l’agente puntandogli una pistola laser Walter & Jones. _Su si spicci o la schediamo._ _Giuro su Dio che andrò più spedito,_ si giustificò Joe. _Mi dia solo il tempo di prendere la mia andatura. Sono appena partito._” D'altronde siamo nel mondo del XXI secolo e anche se Joe potrebbe di fatto sentirsi di appartenere a quella categoria di persone particolari, affini agli artisti, che hanno un attività artigianale e autonoma che rende inutile e controproducente l’affrettarsi, di fatto un’andatura lenta potrebbe associarlo a quella figura del XIX secolo, il flàneur, l’ozioso bohemien descritto da Baudelaire, che nel mondo di Joe risulterebbe affatto eversivo.
Ma ricordiamoci le cifre inflazionistiche della Repubblica di Weimar
10 Michel Foucault, L’ermeneutica del soggetto, Feltrinelli Universale economica pag. 21
11 “Parafrasando un concetto espresso da Michael Hardt e Antonio Negri in Impero, e relativo a un contesto totalmente differente, mentre la fantascienza prefigurava l’uscita  dalla modernità, Philip K. Dick ne contestava addirittura l’entrata.” Domenico Gallo, Avvampando gli angeli caddero, in Paolo Bertetti e Carlos Scolari, Lo sguardo degli angeli,Testo & Immagine, Torino 2002, pag. 207.

12 M. Foucault, cit. pag. 21