sabato 30 agosto 2014

Ubik


Philip K. Dick nella costruzione di questo ennesimo mondo da incubo, ce lo descrive popolato da una umanità priva di fede per una qualunque divinità tranne per quella estremamente terrena della sacralità della vita e dominata da una tecnica estremamente sviluppata al servizio del prolungamento possibile della vita e al soddisfacimento dei suoi bisogni e desideri necessari alla sua riproduzione. All’interno di questo mondo siffatto due sono le forze che sembrano contendersi il potere: l’associazione di Glen Runciter, che viene definito “un poliziotto a guardia dell’intimità umana” e che lo stesso avversario Hollis giudica come uno che sta “cercando di far girare le lancette dell’orologio all’indietro”. La Runciter Associates è di fatto un’agenzia prudenziale che contrasta un avversario che evidentemente prudente non è. Un avversario il cui compito è quello di spiare, penetrare la mente e il possibile futuro delle persone. Al di là degli intenti diversi che perseguono, i due avversari sembrano per il resto molto simili. Hanno come prima motivazione il profitto e diffidano di chi ha altre motivazioni nel perseguire i propri obiettivi. La descrizione, psicologica di Runciter “ridacchiò, ma il suo riso aveva una qualità astratta; sorrideva e rideva sempre, la sua voce tuonava, ma dentro di sé non faceva caso a nessuno, non se ne interessava. Era il suo corpo che sorrideva, annuiva e stringeva mani. Non toccava la sua mente, che restava lontana” e fisica di Hollis un viso cupo e bluastro, con gli occhi infossati, venne lentamente a galla sullo schermo, una misteriosa apparizione fluttuante priva di collo e di corpo” 1 li accomuna inoltre in una identica glaciale freddezza meccanica. E se assegnassimo al ruolo di Hollis la funzione di un potere tendente al controllo della vita nelle sue singole componenti umane (spiandone le menti e pianificando coercitivamente il loro futuro), quella di Runciter si qualificherebbe come il bisogno di governare questo processo, più che combatterlo (Runciter stesso si avvale di telepati e precog per i suoi bisogni). Un’azione di prudenza nei confronti di un processo che di fatto non può essere fermato, così come non si possono far girare all’indietro le lancette dell’orologio. 
                                                           
                                                                                
Ubik è un romanzo scritto nel 1966 e ambientato nel 1992 come l’altro romanzo coevo “Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?” anch’esso ambientato nell’allora relativamente lontano 1992. E’ uno dei romanzi di Dick su cui la critica si è più dibattuta e più divisa. Unanime è stato comunque il considerarlo una delle opere maggiori. Ma cosa cela dietro di se l’immagine di Ubik? Un problema filosofico2, la quintessenza della merce, una sostanza divina, la sostanza sfuggente della letteratura (nelle tre ipotesi formulate da Carlo Pagetti)3, la metafisica ridotta a merce di massa4, il principio primo, essenziale, sostanza del mondo che sconfigge l’entropia5, e così via in una serie cospicua di interpretazioni tutte più che plausibili. Tanto è vero che, come ricorda Carlo Pagetti, lo stesso Dick in una lettera scrive che: “anche Ubik mi piace, in un certo senso, ma non lo capisco. Gli intellettuali francesi e polacchi vogliono spiegarmelo, fanno e hanno fatto di tutto per spiegarmelo, si sforzano di spiegarmelo, senza successo”6. Vorrei qui stare anch’io al gioco e ipotizzare una mia via interpretativa, se non migliore, spero non peggiore delle altre. La chiave che intendo utilizzare mi è offerta da uno studioso dickiano, Fabrizio Chiappetti, il quale scrive a proposito di Ubik che “Dick ribadisce che la verità è oggetto di fede, non di dimostrazione”7. Non interessa qui entrare nel merito di una discussione di tipo religioso, sulla religiosità di Dick; intendo cogliere invece questa felice intuizione di un possibile collegamento della questione della verità (così frequente nell’opera dickiana) con la tematica di Ubik. “E’ un gioco pericoloso, dove si rischia la vita” aggiunge ancora Chiappetti. E allora proviamo a giocarlo. Tralasciamo per il momento la storia e rivolgiamoci a quelle “epigrafi ironicamente inappropriate ad ogni capitolo”8 e proviamo a considerarle qualcosa di più che semplici parodie, proviamo a considerarle piuttosto come dei potenziali racconti a loro volta, degli incipit capaci di sviluppare altre storie a se stanti. Sono storie, certo, che disegnano un paesaggio minimalista, dove si svolgono piccole narrazioni. “La fragranza del caffè appena tostato” prelude a un rapporto migliore tra Sally e suo marito, da un “così così” a un “wow!”, o il “sapore completamente nuovo “di un nuovo condimento che , accidenti, “sta svegliando il mondo”, forse in un rinnovato rapporto col mondo materiale a discapito della presunta inarrestabile avanzata del mondo immateriale, o ancora la cura di se stessi, l’amore per il proprio corpo a partire da una presa di coscienza maggiore di quel vero e proprio rito per l’uomo, che è la rasatura mattutina della propria barba. E così via, senza escludere “le preoccupazioni economiche” che “vi hanno ridotto sul lastrico”; questa specie di esagrammi in testa a ogni singolo capitolo dipanano una sorta di racconto delle piccole pratiche di vita, dei piccoli esempi di vita quotidiana a cui per essere esaustivi mancherebbe solo di aggiungere una più o meno pertinente illustrazione tratta da quel minuzioso affresco del costume di vita consumista nordamericano così efficacemente descritto da Norman Rockwell. Ed infine ecco l’esergo 17, del breve capitolo conclusivo. Di tutt’altro tenore, enigmatico, lapidario (io sono, ma nessuno mi conosce, mi chiamo, ma non è il mio nome) nella sua ambiguità estrema. Certo che è un gioco pericoloso.

Appaesandoci in uno scenario di vita spicciola e quotidiana in cui abbiamo a nostra disposizione, per forza di cose, un terreno in comune nel quale possiamo interagire siamo di fronte alla solita penultima verità, quindi a una verità non vera ma efficace, inevitabilmente falsa e quindi inautentica ma terribilmente reale. La verità ultima, quella autentica in cui si presenta l’Ubik nel suo svelamento ci viene mostrata invece sì come vera, ma come del tutto estranea alle nostre particolari forme di vita. E’ una verità che esiste  ma che non ci riguarda, si rifiuta di rappresentarsi come quella realtà soggiacente  capace di dare senso e significato al nostro esistere. Come la salvezza di Kafka che esiste ma non per noi. Proviamo ora a riprendere le fila della storia, Lawrence Sutin scrive che “la trama esibita nei capitoli iniziali è una grandiosa falsa pista”9, forse è vero ma occorre intendersi su quello che la falsa pista vuole depistare, cosa intenda occultare. Quello che balza più in evidenza è l’invenzione del Moratorium e cioè della semi-vita. Tutto il romanzo sembra ruotare intorno a questa idea del possibile prolungamento della vita oltre la morte. Un di più di vita, una sconfitta parziale della morte e un ulteriore confinamento più in là di una possibile rinascita, una reincarnazione in un nuovo utero. Ma quest’ultima  è solo metafisica a cui nessuno è obbligato a dar retta. Quel che rimane non evidenziato, sotto traccia in questi capitoli iniziali è il fatto scatenante, l’innesco dell’intera vicenda: la scomparsa di S. Dole Melipone, il maggior telepate (occorre un’intera squadra di antitelepati per riuscire a neutralizzarlo) dell’organizzazione di Hollis, le cui tracce svaniscono nei pressi di un Motel che si chiama ‘Legami dell’Esperienza Erotica Polimorfa’. “Nessuno conosce il suo aspetto; sembra che cambi profilo fisionomico ogni mese” ed è quindi un individuo capace “di assumere un numero infinito di forme e alternative” e pertanto “di scomparire anonimamente in uno sfondo di affini.”10 Abbiamo quindi un essere con un super potere  ma che scompare nell’anonimato. Un potere che si occulta.
Contemporaneamente alla sua scomparsa il romanzo introduce l’apparizione del ‘vampiro’ Jory nel Moratorium. Questa entità nuova che si scopre infine essere l’agente della forza entropica, viene descritta da Joe Chip come: “un agente polimorfico e perverso che ama guardare. Un’entità infantile e ritardata” e ancora all’osservazione di Runciter  sul sadismo di tale entità Joe risponde: a me sembra piuttosto l’opera di un bambino.” Il trabocchetto della semi-vita serve allora a darci un’immagine del mondo di Ubik, dove tutto è controllato e irreggimentato fino alla vita post-mortem (almeno fin dove i progressi della scienza arrivano a consentircelo), mostrandocelo come una distopia mentre in effetti è l’esatta riproduzione del mondo in cui stiamo vivendo oggi. Valido già nel 1966, oggi completamento realizzato. Un mondo basato sul sospetto e sulla diffidenza che si alimentano grazie all’ausilio di un progresso tecnico scientifico il cui enorme potere enfatizza l’infantile dell’uomo, il perverso polimorfo. Contro questo tipo di potere Dio serve a poco, “Dall’esterno non possono arrivare altro che parole” che certo aiutano, danno coraggio, ma possono aiutare eventualmente solo il singolo e non più l’intera umanità. Runciter, facente funzioni di Dio, aiuta Joe a lottare; avviene perfino un miracolo. Runciter appare a Joe e gli consegna l’Ubik di persona. Ma questo miracolo aiuta Joe per poco. Lo strumento per combattere Jory dovrà essere fabbricato dall’interno della ‘semi-vita’, da Ella e dagli altri ‘semi-vivi’. Ubik può essere fabbricato, costruito solo collettivamente e invocato, richiesto per posta o telefonicamente. Ubik deve essere un prodotto interamente umano per poter funzionare, altrimenti Jory avrà la possibilità di regredirlo e renderlo inefficace. Come tutte le vecchie religioni. Ubik è la soluzione umana a un problema umano. Il problema di un potere enorme in un essere umano antiquato.11

Per dirla in un modo un po’ diverso con Antonio Caronia: “se l’attrito fra cervello paleolitico e società neolitica era inquietante ma ancora tollerabile, l’abisso fra lo stesso cervello e la società matura onnipervasiva (il capitalismo cognitivo) è potenzialmente distruttivo”.12 Ma ancora, se abbiamo voluto prendere in considerazione che l’idea del depistaggio, il mondo dei vivi contrapposto al mondo dei morti (semi-vivi), che poi si rivela alla fine essere un unico mondo (il nostro), forse un altro sospetto potrebbe insinuarsi nella nostra mente: se anche Ubik fosse un depistaggio, un nascondere ciò che è realmente importante? In tutto questo concentrarsi su Ubik ci si dimentica, ci si accosta con troppa leggerezza al protagonista principale, Joe Chip, sfigato personaggio seriale dickiano. Ed eccoci al grande tema da cui avevamo preso le mosse, il tema della verità. Di quale verità ci può mai parlare Ubik, forse che la soluzione dei nostri problemi può venire solo da noi stessi? Certo, è una verità di saggezza, ma chi la detiene questa saggezza, da dove arriva? Potrebbe venire solo dallo stesso Philip K. Dick, da colui che ha scritto questo romanzo e ci dispensa le sue pillole di saggezza. Tanto valeva allora scrivere un bell’articolo. No, non è un semplice romanzo a tesi, c’è una trama con dei personaggi che creano una storia che rivendica una propria autonomia, riluttante ad essere interpretata in modo univoco ma disponibile ad essere commentata, chiosata all’infinito. E allora continuando ad elaborare il mio commento vorrei insinuare che la verità in questo romanzo è il protagonista stesso, è Joe Chip. Lui è il vero nemico, lo scandalo di questa società totalmente normata, asfittica e putrescente che ci sta trasformando in semi-morti tutti. Joe Chip è l’essere che con la sua vita resiste, in quanto fa eccezione, fa differenza e perciò fa scandalo. Joe è sporco, non ha il senso del valore del denaro, lo sperpera, lo spreca; non ha un rapporto corretto con le macchine, le insulta, le vuole smontare, imbrogliare; non è entusiasta del prolungamento artificiale e artificioso della vita; vuole collaborare con gli altri, ci tiene agli altri.
Lo scandalo di questa vita altra può, mettendolo in discussione, inceppare il meccanismo ben oliato del potere. Joe Chip è solo un granello di sabbia, ma se prendesse coscienza e se facesse prendere coscienza anche agli altri che non solo una vita diversa è possibile, ma è anche indispensabile per combattere l’entropia , allora il potere sarebbe costretto a mettere in campo tutte le forze per riuscire a sconfiggerlo. Ma anche se riuscisse a farlo altri Joe potrebbero continuare a resistere, perché un nuovo processo contrario, a favore della vita, sarebbe stato comunque messo in moto. Indubbiamente è, e sarà, una lotta impari. Chi detiene il potere di intervenire sul tempo, per abolire il futuro ad esempio, intervenendo sul passato, sulla nostra memoria, sulle nostre esperienze, come sa fare Pat Conley, ha dalla sua un’enorme forza distruttiva, e tanto difficile da controllare a sua volta, come la sconcertante fine della stessa Pat ha dimostrato. Ma il finale di Ubik ci mostra in modo geniale, mi si lasci passare una parola così abusata oggi, ma troppo calzante in questo caso, che alle volte anche i piccoli vincono e Joe Chip ha vinto. E ha vinto perché aveva dalla sua la verità, la verità di una vita vissuta e mostrata, che resiste e che cerca, cerca un altro modo di vivere possibile. Alla fine, quasi come un Diogene della modernità, Joe Chip parakharaxon to nomisma (cambia la valuta)13 e come ci insegna Michel Foucault nel suo ultimo seminario alterare la moneta vuol dire “a partire da una moneta che porta una certa effigie, cancellare questa effigie e sostituirla con un’altra più rappresentativa, che permetterà a questo conio di circolare con il suo vero valore. Che la moneta non ci inganni sul suo vero valore; che le venga restituito il suo giusto valore imprimendole un’altra effigie, migliore e più adeguata”14, precisando poi che “nomisma è sì la moneta, ma è anche nomos, cioè la legge, il costume. Il principio di falsificare il nomisma è anche quello di rompere con la consuetudine, di cambiarla, di infrangere le regole, le abitudini, le convenzioni e le leggi.”15  E se qualcuno volesse poi proprio insistere sul nichilismo di Ubik, concediamoglielo pure ribadendo però quanto a proposito del nichilismo lo stesso Foucault annotava: “La domanda del nichilismo non è: se Dio non esiste, allora tutto è permesso. La sua formula è piuttosto, se devo confrontarmi al ‘nulla è vero’, come devo vivere?”16


1 Una descrizione  molto simile a quella del mago di Oz, libro molto amato da Dick, “in mezzo stava un’immensa testa, senza un tronco che la sostenesse, né braccia o gambe all’estremità.” Frank Baum, Il mago di Oz, Milano Rizzoli 2001, pag. 145
2 “Ubik, una sostanza che è ubiqua ma consustanziale a tutte le altre sostanze, o meglio è, in senso aristotelico, la ‘sostanza prima’, la ‘sostanza in senso forte’ a cui tutte le categorie si riferiscono; nel contempo Ubik nasconde dietro di sé la macchina della realtà che differisce, platonicamente, in nome e oggetto, in forma e sostanza; un’insanabile contraddizione filosofica…” (Claudio Asciuti , Ubik, in Antonio Caronia e Domenico Gallo, Philip K. Dick la macchina della paranoia, Milano, Agenzia X, 2006, pag. 300.)
3 Carlo Pagetti  Introduzione, Ubik, Roma, Fanucci 2003
4 “Soggetti innaturali, preoccupazioni ontologiche, decadimenti entropici, mondi virtuali mercificati e senza uscita ricorrono in Ubik, dove anche la metafisica è merce di massa, e Dio si fa la pubblicità.” . (Salvatore Proietti, Vuoti di potere e resistenza umana: Dick, Ubik e l’epica americana, in  Trasmigrazioni, i mondi di Philip K. Dick, a cura di V. M. De Angelis e U. Rossi, Le Monnier, Firenze 2006, pag. 212)
5 Linda De Feo, Philip K. Dick dal corpo al cosmo, Napoli, Edizioni Cronopio, 2001, pag. 99.
6 Carlo Pagetti, Introduzione, Ubik, Roma, Fanucci 2003
7  Fabrizio Chiappetti, Visioni del futuro il caso Philip K. Dick, Sant’Arcangelo di Romagna , Fara editore, 2000, pag. 92.
8 Peter Fitting, Ubik: la destrutturazione della SF borghese.  http://www.intercom.publinet.it/Dick6.htm  
9 Lawrence Sutin, Divine invasioni, Roma, Fanucci 2001, pag. 178.
10 Davide Sparti, L’identità incompiuta, Bologna, Il Mulino, 2010, pag.29.
11 Tema centrale dell’opera del filosofo Gunther Anders.
12 Antonio Caronia recensione al libro di Lothar Baier, Non c’è tempo, sull’Unità del 10 giugno 2004 https://www.academia.edu/305223/Cogli_lattimo_se_ci_riesci_  
13 Diogene il cinico riceve dall’oracolo di Delfi il precetto di alterare il valore della sua moneta
14 Michel Foucault, Il coraggio della verità, Il governo di sé e degli altri II, Corso al Collège de France (1984), Milano, Feltrinelli 2011, pag. 220
15 M. Foucault, ibidem pag. 233
16 M. Foucault, ibidem pag. 186 


Le citazioni del romanzo sono tratte dall'edizione Fanucci tradotta da Gianni Montanari. L'ultima edizione Fanucci è stata tradotta da Paola Prezzavento.