tag:blogger.com,1999:blog-62208056191256244572024-03-13T21:20:13.666+01:00Una stanza per Philip K. DickGiuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.comBlogger158125tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-29876356182119320622021-08-29T18:37:00.000+02:002021-08-29T18:37:44.323+02:00I simulacri<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-kX9hkfQtxfg/YSu3QdCCqqI/AAAAAAAAGuY/F5lHGrWXEuge5LI6ZSApR9nbdAmCQ-OhgCLcBGAsYHQ/s1113/Immagine%2B%252815%2529.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="625" data-original-width="1113" height="225" src="https://1.bp.blogspot.com/-kX9hkfQtxfg/YSu3QdCCqqI/AAAAAAAAGuY/F5lHGrWXEuge5LI6ZSApR9nbdAmCQ-OhgCLcBGAsYHQ/w400-h225/Immagine%2B%252815%2529.jpg" width="400" /></a></div><br /><p></p><p class="MsoNormal">Nei «Simulacri» Philip Dick immagina un regime totalitario
nel quale il presidente non è umano ma un androide. Tutto il potere ai media...
ma è solo fantascienza di Antonio Caronia <o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal">Finito di scrivere nell'agosto del 1963 e pubblicato l'anno
seguente, The Simulacra fa dunque parte di quella intensa e fortunata stagione
(la prima metà degli anni Sessanta del XX secolo) in cui Dick scrisse alcune
fra le sue opere migliori, da L'uomo nell'alto castello a Noi marziani, da Le
tre stimmate di Palmer Eldritch a In senso inverso (Counter-Clock World).
Curiosamente, è anche uno fra i romanzi di Dick che ha avuto più traduzioni in
Italia, e più prefazioni: due di Carlo Pagetti (una nell'edizione Nord del
1980, l'altra in questa nuova edizione Fanucci nella collana «Opere di PKD«),
una di Sergio Cofferati, e, ultima in tanto Olimpo, addirittura una del
sottoscritto (edizione Nord del 1994). Aggiungiamo che uno dei due capitoli che
lo psicologo Giorgio Concato dedica a Dick nel suo libro L'angelo e la
marionetta (Moretti&Vitali 1996) riguarda proprio questo romanzo. E tanto
basti per la bibliografia. I simulacri è un romanzo insieme tipico e atipico
per Dick: presenta infatti una concentrazione quasi abnorme di temi, situazioni
e figurazioni caratteristiche del nostro autore. Lawrence Sutin scrive che «fra
tutte le trame di Phil, questa è forse la più complessa. Purtroppo I simulacri
è un'opera affascinante che spreca troppe delle sue migliori idee». Non mi
sento di sottoscrivere quest'ultima affermazione. Certo, il piccolo miracolo di
incastro e di calibratura delle varie storie in L'uomo nell'alto castello (un
libro paragonabile, quanto a complessità di sottotrame) qui non si ripete. Ma
lo stesso Sutin è costretto a riconoscere che certe scene «si situano fra le
migliori delle opere di Phil degli anni Sessanta». E il romanzo, aggiungo io,
contiene almeno due tra i personaggi più memorabili dell'intera opera di Dick
(Nicole e Kongrosian). Che cosa racconta I simulacri? Racconta di un mondo
ancora una volta (come in L'uomo nell'alto castello) dominato dai nazisti,
stavolta però in associazione con i nordamericani: lo stato egemone nel mondo
sono infatti gli USEA (Stati Uniti d'Europa e d'America), il cui presidente
(der alte, il vecchio, detto in tedesco) si elegge come al solito ogni quattro
anni. Ma non è lui a rappresentare la continuità del potere, bensì la first
lady Nicole, che sposa i presidenti uno dopo l'altro, appare in televisione,
ispira le mode culturali e sociali, assurgendo a principio unificatore della
nazione non solo sul piano politico, ma anche esistenziale e ontologico. Sono
diversi, infatti, i personaggi del libro convinti di esistere solo perché
Nicole li guarda, o ha sentito parlare di loro. Nicole (che lo stesso Dick
dichiarò di aver immaginato ispirandosi a Jacqueline Kennedy) ci introduce
quindi a uno dei temi centrali del libro, quello dei media come garanti e
costruttori della realtà. L'altro tema centrale, anch'esso tipicamente
dickiano, è quello del segreto. La popolazione degli USEA risulta infatti rigidamente
stratificata, divisa tra i Ge (la minoranza dominante) e i Be (la maggioranza
dominata). I Ge sono i Geheimnisträger, i detentori del segreto, i Be i
Befehlträger, gli esecutori degli ordini. Il segreto che fonda lo stato è
quello della vera natura dei presidenti, che non sono esseri umani, ma appunto
sim, simulacri (androidi insomma) costruiti dal monopolio tedesco Karp und
Sohnen Werke. E poi (segreto nel segreto, che verrà svelato nelle ultime pagine
del libro) neanche Nicole è colei che appare: è solo un'attrice stipendiata,
che nella resa dei conti finale tra potere politico ed economico viene
brutalmente estromessa. Buona parte del libro riguarda infatti le lotte interne
all'élite dominante, tra burocrazia statale e monopoli economici, con l'intervento
della società segreta «I figli di Giobbe» guidata da Bertold Goltz: anche
quest'ultimo, alla fine, risulterà diverso da quello che sembrava. Fuori dalle
stanze del potere, la piccola umanità che Dick satireggia o con cui
solidarizza, ma che per il nostro rappresenta sempre una dimensione di
«sostenibilità» della vita, una riserva potenziale, a volte anche minima, di
speranza. Perché qui l'umanità (come in tanti altri romanzi scritti da Dick in
questo periodo) è costretta dalla durezza delle condizioni economiche e sociali
a emigrare su Marte, dove sarà assistita dai sim. Come in L'uomo nell'alto
castello, anche qui una possibilità di riscatto dalle miserie della vita e
dalla manipolazione del potere Dick pare intravederla nell'arte: ma non nella
«grande» arte del musicista psicocinetico e paranoide Kongrosian, che in un
memorabile duello finale con il capo della polizia segreta Pembroke rovescerà
se stesso nell'universo e assorbirà l'universo entro se stesso. Piuttosto nel
piccolo e modesto artigianato dei due suonatori Miller e Duncan, o nella musica
quasi etnica e marginalizzata dei chupper, esseri deformi che vivono nelle
paludi e proiettano su tutto il libro un'immagine misteriosa e ambivalente. La
speranza è a volte poco più che una fioca candela, nelle narrazioni di Dick: ma
egli non ce la fa mai mancare. <o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal">I simulacri di Philip K. Dick a cura di C. Pagetti, trad. di
M. Nati, postfazione di Jean Baudrillard Fanucci.<o:p></o:p></p>
<p class="MsoNormal">L’Unità 29 dicembre 2002 (nell’edizione Nazionale nella
sezione Cultura p. 26)<o:p></o:p></p>Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-84671273842679754762020-03-29T12:27:00.000+02:002020-03-29T16:15:50.013+02:00Dottor futuro. La cura di non curare: paradossi di un futuro in atto.<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-4bRsX4ivnsQ/XoB3ro5YMOI/AAAAAAAAFWM/yhy8daPcM5sOTdGQGGZGJK-XjSDhqd7FACLcBGAsYHQ/s1600/A4%2B-%2BCopia%2B-%2BCopia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="707" data-original-width="1000" height="452" src="https://1.bp.blogspot.com/-4bRsX4ivnsQ/XoB3ro5YMOI/AAAAAAAAFWM/yhy8daPcM5sOTdGQGGZGJK-XjSDhqd7FACLcBGAsYHQ/s640/A4%2B-%2BCopia%2B-%2BCopia.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif";"><span style="mso-spacerun: yes;">
</span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“Tanto ormai se ne sono<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif";"><span style="mso-spacerun: yes;">
</span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>accorti tutti che si muore.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif";"><span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Giorgio Manganelli<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Siamo nell’anno 2010, il medico Jim Parsons viene
catapultato nel 2405. Qui egli scopre che la sua professione non solo è
diventata inutile, ma persino vietata. Il mondo del futuro è basato su una
società che predilige la morte. Una persona ferita non chiama il medico ma
l’eutanasista per farsi sopprimere. È un mondo in cui le nascite sono
rigidamente controllate, tutti i maschi sono sterili e gli zigoti sono
conservati nel cubo dell’anima; ad ogni decesso ne viene prelevato uno per
concepire una nuova vita. Questo è lo sfondo su cui si innesta la trama del
romanzo di Philip K. Dick “Il dottor futuro” del 1959. È ancora il primo Dick,
impigliato nelle maglie grosse della fantascienza ma già capace di rovistare
nelle pieghe del genere per andare oltre il genere stesso. Si può dire che Dick
è stato infettato dal genere quanto viceversa lo ha a sua volta infettato fino
ad accompagnarlo dolcemente ad esaurirsi, in quasi concomitanza con la propria
fine. Conclusasi la capacità di anticipare perché tutto ormai è anticipato,
nulla può più succedere nel futuro che non sia già iscritto nel presente e così
il viaggio temporale di Dick dal 1959 al 2010 e infine al 2405 forse delinea un
filo rosso che collega al di là delle apparenze mondi così apparentemente
opposti e lontani. Nella nostra società attuale è sempre meno possibile, e
sempre meno lecito, prevedere; possiamo e dobbiamo solo imparare a prevenire.
Questo significa che nel nostro operare quotidiano non abbiamo più a che fare
con la “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">cautela</i>”, ma bensì con “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">la precauzione, non l’articolazione
contestuale del dato, ma l’assunzione di questo come fatto compiuto
autosufficiente”</i> Il vecchio adagio ‘prevenire è meglio di curare’ si sta
massimalizzando a un ritmo esponenziale; non serve più prevedere i pericoli,
vanno anticipati per poterli disinnescare. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“La
prevenzione è un atto che anticipa ciò che può o può non svilupparsi in un
certo modo. La prevenzione è l’anteposizione dell’atto alla potenza </i>(<i style="mso-bidi-font-style: normal;">cfr. </i>Giorgio Agamben<i style="mso-bidi-font-style: normal;">, La potenza del pensiero, </i>Neri Pozza, Vicenza 2005, pp. 276-277) <i style="mso-bidi-font-style: normal;">o anche l’attualizzazione di una possibilità
della potenza che scarta le altre possibilità e che attraverso lo scarto di
queste si assicura di escludere una specifica possibilità. La previsione è
invece aver cura di capire quali possibilità o impossibilità si possono
sviluppare dalla potenza. La prevenzione è la completa trasformazione della
potenza in qualcosa che la renda percepibile già come atto. Questo qualcosa è
il rischio.”</i><sup>1 </sup>Il dottore che dal futuro di Dick si sposta ancora
più in là nel futuro non trova il progresso auspicabile della sua arte di
guarire ma all’opposto quella dell’arte del morire; una società alla cui base
c’è <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“l’ethos della morte”</i>, una
società in cui <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“gli individui morivano e
nessuno ne era turbato, nemmeno le vittime. Morivano felici e contenti.”</i><sup>
</sup>Qualcosa di inaccettabile per il dottor Parsons che dice a un abitante
del futuro: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“forse noi ignoriamo la
morte, forse siamo così immaturi da negare l’esistenza della morte, ma almeno
non la cerchiamo”. </i>E di contro l’interpellato risponde: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“indirettamente l’avete fatto (…) negando
una realtà così potente avete minato le basi razionali del vostro mondo. Non
sapevate in che modo affrontare la guerra, la fame e la sovrappopolazione
perché non riuscivate a discutere di questi problemi. Quindi per voi la guerra
capitava e basta, era una sorta di calamità naturale e non l’opera dell’uomo. È
diventato un fattore esterno. Noi controlliamo la nostra società. Noi
contempliamo tutti gli aspetti della nostra esistenza, e non soltanto quelli
belli e piacevoli.”</i><sup>2</sup><i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>Finita
l’era dell’incerto e del casuale la governance si distende come un sudario
sull’intero pianeta senza residuo alcuno. Ovviamente nel romanzo c’è un’altra
storia, una resistenza, ma questa è appunto un’altra storia. Come spesso è uso
in Dick, più storie convivono, si intersecano, confliggono e anche stridono, ma
ognuna gode anche di un’esistenza propria. La morte e la cura attraversano gran
parte della produzione dickiana; qui la morte la fa da padrona, pretende, se
non fosse un controsenso, di vivere di vita propria e getta una luce sinistra
sulla nostra pretesa prevenzione per la vita. A forza di prevenire la vita
forse la stiamo solo esaurendo, sfibrando la sua forza e rischiandone
l’estinzione. La fantascienza, nella sua breve ma feconda esistenza, ha
scommesso invece sulla capacità di prevedere e grazie alla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“capacità di dilatare o restringere il tempo e lo spazio della realtà” </i>è
riuscita ad avere <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“una dimensione
filosofica oltre che inventiva” </i>capace di favorire la ricerca di un
antidoto al veleno di chi vuol <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“rovesciare
e far coincidere ciò che è con ciò che può essere” </i>e a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“non lasciare quello spazio/tempo intermedio dove si articolano l’etica
e la politica”</i><sup>3</sup><i style="mso-bidi-font-style: normal;">. </i>Prevenire
allora non è necessariamente meglio che curare, occorre anche prevedere per
darsi il tempo di riflettere e di scegliere. Prima che la morte stenda su tutti
noi il mantello che definitivamente ci metterà al riparo da qualunque
possibilità di rischio. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Il titolo di questo
articolo rimanda volutamente al libro di S. Iaconesi e O. Persico, La cura (qui
recensito </span><a href="http://www.labottegadelbarbieri.org/la-malattia-e-un-evento/">http://www.labottegadelbarbieri.org/la-malattia-e-un-evento/</a><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">)
libro, strumento per imparare a prevedere, riflettere, scegliere.</span><sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></sup></div>
<ol start="1" style="margin-top: 0cm;" type="1">
<li class="MsoNormal" style="mso-list: l0 level1 lfo1;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Marco
Pacioni, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Neuroviventi</i>, Mimesis,
2016 (recensione: </span><a href="http://www.labottegadelbarbieri.org/cervello-controllo-corpi/">http://www.labottegadelbarbieri.org/cervello-controllo-corpi/</a>)<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></li>
<li class="MsoNormal" style="mso-list: l0 level1 lfo1;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Philip K.
Dick, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Dottor futuro</i>, Fanucci,
2011<o:p></o:p></span></li>
<li class="MsoNormal" style="mso-list: l0 level1 lfo1;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">M. Pacioni,
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">op. cit.</i><o:p></o:p></span></li>
</ol>
<div class="MsoNormal">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Trama:</span>
<a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/p/ubik.html">http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/p/ubik.html</a></b><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Copertina
di Antonello Silverini:</span></b> <a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2014/11/antonello-silverini-dottor-futuro.html">http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2014/11/antonello-silverini-dottor-futuro.html</a>
<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></b></div>
<br />Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-60303843899971704922019-02-24T10:42:00.000+01:002019-02-24T10:42:05.753+01:00La storia non si fa con i se<br />
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-7Gtpy656deo/XHJmzwkW8oI/AAAAAAAAFIU/Hv5ur-_FsLsMI7MPXXJ_bsTLaLZHb-sUwCLcBGAs/s1600/1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="401" data-original-width="862" height="148" src="https://2.bp.blogspot.com/-7Gtpy656deo/XHJmzwkW8oI/AAAAAAAAFIU/Hv5ur-_FsLsMI7MPXXJ_bsTLaLZHb-sUwCLcBGAs/s320/1.jpg" width="320" /></a></div>
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La storia non si fa con i se! Ma ne siamo proprio
sicuri? Se le forze dell’Asse avessero vinto la II^ Guerra Mondiale… è un puro
gioco di fantasia, nulla a che fare con la storia, con ciò che è realmente
accaduto; è vero, ma non così semplice come sembrerebbe a prima vista. Quel
“se” è eludibile solo e a patto che si costruisca prima di tutto l’impianto
storico, l’accaduto, il certificato. Bisogna partire dal fatto che c’è stata
una guerra e che è stata mondiale, che è iniziata in un determinato posto, che
ha avuto degli antefatti, delle cause accertate, uno svolgimento nell’arco
dello spazio e del tempo e una fine. Cosa si potrebbe obiettare a tutto ciò?
Eppure tutto questo va costruito, puntellato fin nei minimi dettagli, in un
lavoro che non può mai considerarsi del tutto esaurito. Senza questo,
quell’incongruo “se” potrebbe rimanere in sospeso e aleggiare inquietante e
spettrale sopra le nostre teste. In fondo chi ci dice che la storia si
inerpichi lungo il percorso del tempo costruendo la propria continuità, la
fedeltà al proprio divenire, inanellando cause ed effetti in un’eterna
processione consequenziale? In campo letterario, un oggetto affatto
particolare, il romanzo ucronico, quella strana invenzione che fantastica sulle
possibilità del “se” storico, invece di congiurare anch’esso a favore di
quell’aura di incertezza propria del carattere paradossale di quella particella
grammaticale, certifica invece l’assoluta verità della storia nella sua essenza
più profonda. Quasi una prova del nove, il far ripartire la storia da un punto
qualsiasi lungo l’asse del tempo storico, modificandone uno degli elementi, crea
un ricombinamento a catena che costruisce un nuovo itinerario.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La storia non accetta determinismi ma solo
cause che ne determinano il corso. Il “se fosse possibile ripartire
diversamente da un punto” certifica l’unidirezionalità del tempo storico. La
freccia è rivolta in avanti e solo così può essere letta. Piuttosto che dire
che la storia non si fa con i “se”, non sarebbe più corretto dire che la storia
si fa scartando innumerevoli “se”, fino a che il “se” più favorevole alla
nostra ricostruzione non ci appare come il più vero, l’unico possibile? <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il romanzo ucronico viene spesso circoscritto
nell’ambito del genere fantascientifico, in realtà, come osserva Emiliano Marra
nell’introduzione della sua documentatissima tesi “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Storia e controstoria – Ucronie italiane: un panorama critico</i>”<sup>1
</sup><i style="mso-bidi-font-style: normal;">“gli studi che, per quanto
diradati, si sono moltiplicati negli ultimi trent’anni, considerano l’ucronia
come autonoma rispetto alla fantascienza e distinta soprattutto dalle
allostorie più strettamente interne al genere, ovvero quelle basate sulla
comunicazione fra i mondi possibili.”</i> Va peraltro <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i>detto che quello che viene
considerato il più importante romanzo ucronico <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La svastica sul sole </i>(o <i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’uomo
dell’alto castello</i>) di Philip K. Dick va ascritto proprio a questo genere
popolare.<sup>2 </sup><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ma proprio questo
capolavoro dickiano che Marra accosta a un’altra importante testo ucronico
italiano <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Contro-passato prossimo </i>di
Guido Morselli, in realtà risulta piuttosto distante<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">“negli
esiti degli ammiccamenti metafinzionali degli altri testi ucronici precedenti
e, in parte successivi” </i>in quanto questi <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“si limitano a giocare con le aspettative del lettore e la sua
conoscenza del continuum degli eventi”</i> e pertanto tendono in ultima analisi
a <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“un intrattenimento innocuo”.</i> Al
contrario Dick (e Morselli, ma qui ci limiteremo al solo caso di Dick,
rinviando alla tesi di Marra chi volesse entrare nel merito dell’approfondita
comparazione tra i due) punta <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“invece
all’opposto, mira alla scompaginazione del quadro, a far emergere la labilità
del reale e la sua indeterminatezza che non consente di incasellare nemmeno i
grandi eventi storici in una rete inquadrabile di rapporti causa-effetto
diretti e quindi, in qualche maniera, prevedibili grazie a qualche filosofia
positiva o progresso scientifico-tecnologico che dir si voglia.” </i>Scompaginare
l’idea che noi abbiamo della storia, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">ribadire
la non linearità degli eventi e soprattutto il loro carattere meramente
probabilistico”</i>, e per far ciò si può, e forse anche si deve, piegare gli
aspetti storici, per altro accuratissimi e preparati con estremo zelo
documentario, per le finalità che l’autore stesso si era proposto. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Si pensi alla rappresentazione idealizzata
dell’imperialismo giapponese (…) spesso criticata come poco verosimile, eppure
perfettamente funzionale allo sviluppo della storia, altrimenti la psicologia
ambivalente di Tagomi e dei suoi conflitti interiori non rivestirebbe un ruolo
altrettanto pregnante.”</i> Osservazione molto importante per capire
l’eccezionalità di questo romanzo nell’universo letterario ucronico, ma che
necessità di una precisazione: l’inverosimiglianza di quell’immagine così
idealizzata dell’imperialismo giapponese ha un substrato di realtà, anche se
solo psicologico, e riguarda il senso di colpa degli americani per come hanno
trattato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“i circa 90.000 californiani di
origine giapponese, deportati in massa in campi di concentramento” </i>durante
il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“clima d’isteria collettiva che si
diffuse nello Stato dopo Pearl Harbour </i>(con) <i style="mso-bidi-font-style: normal;">lo spettro di un’imminente invasione giapponese.”</i><sup>3 </sup>Come
anche testimonia il film <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Un giorno
maledetto</i> del 1955 con un Spencer Tracy che assurge a simbolo di una
democrazia che per quanto possa essere menomata (come il protagonista con un
arto mancante) è ancora in grado di vendicare i torti subiti dai più deboli, in
questo caso un vecchio giapponese padre di un eroe morto al fronte. Ma
l’ucronia dickiana va forse più in là di una semplice <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“sensazione che il grado di realtà fra le varie opzioni del grande
ventaglio delle possibilità </i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(sia) <i style="mso-bidi-font-style: normal;">del tutto paritario”.</i> I vari livelli di
realtà del romanzo, il testo zero (il presunto nostro), quello primario (in cui
si svolge la storia) e quello secondario (del romanzo nel romanzo) come scrive
Carlo Pagetti nella prima introduzione del 1977 (giustamente apprezzata da
Marra) <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“alla fine del romanzo di fronte
alla pagina che diviene bianca, i tre testi coincidono: è Juliana che è
cambiata, e con lei la realtà”. </i>E cioè, almeno come la leggo io, nella
famosa boutade dello stesso Dick <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“la
realtà è quella cosa che, anche se si smette di credervi, non scompare” </i>non
si può far rientrare la certezza dell’esistenza di una realtà che non sia altro
che quella pura e semplice constatazione fenomenica. La realtà c’è ma è
imperscrutabile, è inconoscibile nella sua verità ultima. Cioè non c’è
nell’opera di Dick nessun tentativo, neanche in abbozzo di costruire <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“una teoria critica della realtà”</i>,
nessuna <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“ipotesi di fantascienza
realista.”</i> <sup>4</sup> <sup><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></sup>È
piuttosto la possibilità di intervenire sui soggetti umani, di vedere le loro
trasformazioni e con queste il trasformarsi di una realtà più che <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“complessa”</i>, fluida, magmatica, in
continuo divenire e pertanto, di conseguenza, sarà solo nella realtà
dell’illusione che ci sarà dato, appunto, di intervenire. In tutto questo
l’ucronia di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La svastica sul sole </i>va
forse letta più come un’antiucronia, in quanto considera la storia <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>come un incubo da cui occorre svegliarsi. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 25.1pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-list: Ignore;">1.<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Consultabile qui: </span><span style="font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><a href="http://www.openstarts.units.it/dspace/handle/10077/11001?mode=full" target="_blank"><span style="background: white; color: #1155cc; font-family: "arial" , "sans-serif";">http://www.openstarts.units.it/dspace/handle/10077/11001?mode=full</span></a>
<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 25.1pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-list: Ignore;">2.<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span></i><!--[endif]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Anche se va precisato che<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> “con ‘La svastica sul sole’ Dick cerca di
smarcarsi definitivamente dal genere che gli era servito come trampolino per
affermarsi come autore indipendente dai generi della narrativa di massa” </i>,
tentativo che si infrange <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“definitivamente
nel 1963 , dopo il Premio Hugo e un successo di ‘La svastica sul sole’
confinato solamente all’interno della nicchia del genere.” </i>(Marra)<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 25.1pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-list: Ignore;">3.<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Postfazione di Luigi Bruti Liberati, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">La svastica sul sole</i>, Fanucci, Roma <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 25.1pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-list: Ignore;">4.<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Domenico Gallo, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il sogno di Galileo e l’incubo di Philip K. Dick, </i>in G. Viviani e
C. Pagetti (a cura di) <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il sogno dei
simulacri: una completa rassegna di contributi critici sull’opera letteraria
dello scrittore americano, </i>Milano, Nord, 1989.<o:p></o:p></span></div>
<br />Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-45269560050147010722019-02-23T20:13:00.002+01:002019-02-23T20:13:56.797+01:00Blade Runner 2049<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-UYGMWTDHTV8/XHGbRh8Dw8I/AAAAAAAAFII/ZJ-bUU7GRPs3RxAH_b5ppgV2PcmvRKt0gCLcBGAs/s1600/52929.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="336" data-original-width="235" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-UYGMWTDHTV8/XHGbRh8Dw8I/AAAAAAAAFII/ZJ-bUU7GRPs3RxAH_b5ppgV2PcmvRKt0gCLcBGAs/s320/52929.jpg" width="223" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Se ci fosse bisogno di una prova per dire che la
fantascienza è finita, ha esaurito la sua funzione, quella che per tutto il
Novecento ci ha accompagnato nell’abituarci, nel rendere la nostra mente capace
di sopportare i vorticosi cambiamenti che le conquiste tecnologiche e
scientifiche stavano operando nel nostro quotidiano (nella nostra capacità di
vivere uno spazio e un tempo, le relazioni sociali, il rapporto col nostro
corpo in continua, e sempre più veloce, modificazione), il film Blade Runner
2049, sequel del film cult di oltre trent’anni precedente, ne costituisce, per
così dire, la prova provata. Se soprattutto si assiste alla sua visione in una
sala di una grande metropoli, all’uscita non si avverte alcuna soluzione di
continuità. Non ci sembra proprio di essere stati immersi in un’altra
dimensione, in un diverso mondo futuro. Gli abbigliamenti, i rumori, le
pubblicità invadenti, gli schermi e le telecamere pervasivi e gli esseri umani
con dispositivi permanentemente connessi sono lì ad attenderci nel mondo reale
come in quello finto. E poi il senso di precarietà e quel sapore aspro di
inquietudine per qualcosa di non precisato ma comunque sempre incombente,
sottilmente minaccioso (il terrorista, il folle, il criminale, il drogato, ma
anche il semplice mendicante). Tutta la vita ormai sembra un Photoshop, un
fake, un effetto speciale, un rumore che assorda e ci altera il battito
cardiaco senza nessuno motivo apparente. Non c’è più bisogno di grandi frasi
(per quanto puerili) come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">le navi da
combattimento al largo dei bastioni di Orione.</i> La fantascienza di oggi è il
nuovo realismo, tutt’al più serve a confermare, a farci dire: sì, è così. Non
siamo più sicuri dei nostri ricordi, soprattutto della loro autenticità; non
siamo più certi se siamo nati o siamo stati creati, con buona pace del buon
vecchio Darwin. Certo, il film è un enorme sciocchezzaio, però andrebbe
analizzato, insieme a quegli altri polpettoni come Dunkirk e compagnia bella
che l’industria cineteleradiosmartcompweb… (quell’ibrido onnipervasivo che ha
divorato i singoli media di un tempo) non cessa di vomitarci addosso. Un lavoro
tutt’altro che facile poiché oggi ci mancano quegli attrezzi che una volta ci
erano forniti (nel bene e nel male) dalle ideologie; oggi ci sentiamo persi e
spaesati, in attesa di una nuova utopia che ci accolga nel suo grembo, parliamo
a vanvera di capolavoro e genialità. Avremmo bisogno di nuovi strumenti e in
ogni caso di non ridurre tutto a un ‘mi piace’, ‘non mi piace’(una cosa brutta
può benissimo piacere e viceversa, per il semplice fatto che il gusto, le
emozioni, sono solleticate da tante cose e da momenti diversi). Forse
servirebbe reimparare a ragionare ristudiando quei vecchi testi, oggi in
disuso, come quelli di Morin o di Bazin, per fare solo due esempi. E
soprattutto riprendere a rivedere i vecchi grandi film, la tanto derisa, dagli
stolti, Corazzata Potemkin, oppure anche semplicemente ascoltando i commenti ai
film di un Veri Razzini (con la sua grande collana di DVD che, ahimè, sembra
aver chiuso). Ma si sa, il rumore che ci assorda, i citazionismi farlocchi da
altri film più o meno grandi, un vecchio e imbarazzato Harrison Ford e un
incolore Ryan Gosling… occorre molta pazienza per non imprecare. E Philip K.
Dick? Certo non è stato tradito, come non lo è mai stato in nessun film tratto
da una sua opera. Magari un bel tradimento, qualcosa che ci sorprenda, che
sappia osare un approccio particolare, irriverente e demitizzante. Tutto il
cinema dickiano non fa altro che rifare l’operazione inversa che Dick ha fatto
con la fantascienza. Se Dick ha usato nel modo più parassitario e aggressivo la
fantascienza, smontandola, parodiandola, facendola a pezzi sempre più minuti e
irriconoscibili per poi rimontarla in un’opera affatto nuova, in una sorta di
romanzo filosofico per le generazioni del nuovo millennio, il cinema non sembra
fare altro che riassorbirlo e, depotenziato, riadattarlo a una nuova
fantascienza buona per tutti i facili palati. Blade Runner 2049 ne è uno degli
esempi più riusciti.<o:p></o:p></span></div>
<br />Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-64082525401488013922018-10-17T19:15:00.001+02:002018-10-17T19:15:39.308+02:00Visioni di mondi possibili: il caso Philip K. Dick <table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://3.bp.blogspot.com/-0e_pEFlVa1A/W8dqEC2JdAI/AAAAAAAAE_c/XdWqD4yPe7ASQFHwYEMfIYtdtWVXgDYOwCLcBGAs/s1600/con%2Blink.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="665" data-original-width="1000" height="265" src="https://3.bp.blogspot.com/-0e_pEFlVa1A/W8dqEC2JdAI/AAAAAAAAE_c/XdWqD4yPe7ASQFHwYEMfIYtdtWVXgDYOwCLcBGAs/s400/con%2Blink.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Libreria Utopia ottobre 2002 </td></tr>
</tbody></table>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-1dR81LmZyGw/W8dpsb4ae8I/AAAAAAAAE_U/eXZbH-Ma9UsHKo_fi6sUo5arsx-YNY8-QCLcBGAs/s1600/IMG.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="713" data-original-width="1000" height="285" src="https://1.bp.blogspot.com/-1dR81LmZyGw/W8dpsb4ae8I/AAAAAAAAE_U/eXZbH-Ma9UsHKo_fi6sUo5arsx-YNY8-QCLcBGAs/s400/IMG.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-Ui8jpO2Oj4o/W8dqUzphH7I/AAAAAAAAE_k/kS1meIBhxa8jaN-n2iF2e8Z2kuXnxeNCgCLcBGAs/s1600/IMG_0011.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="828" height="400" src="https://3.bp.blogspot.com/-Ui8jpO2Oj4o/W8dqUzphH7I/AAAAAAAAE_k/kS1meIBhxa8jaN-n2iF2e8Z2kuXnxeNCgCLcBGAs/s400/IMG_0011.jpg" width="206" /></a></div>
<u><br /></u>
<u><b>sabato 5 ottobre 2002</b></u></div>
<div class="MsoNormal">
<u>La <i style="mso-bidi-font-style: normal;">prima conferenza</i></u>
del ciclo ha avuto il suo esordio in un breve intervento semi-teatrale di un
giovane appassionato dickiano <span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Nicola
Disilvestro</span> che nelle sembianze mascherate di un inquietante Palmer
Eldritch (dal romanzo <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Le tre stimmate di Palmer</i></b> <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Eldritch</i></b>)
ha palesato tutto il disagio dell’adesione delle nuove generazioni al sofferto
mondo dickiano .<span style="mso-spacerun: yes;">
</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>“L’uomo vuole
assomigliare a una macchina (…) Perché è un animale atterrito dalla scoperta di
non<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>avere senso” ma neanche l’essere
parte di un ingranaggio, comprensibile e controllabile, può alleviare il nostro
terrore perché “l’umano è l’unica macchina conscia in un mare di macchine
inconsce… l’umano è l’unica macchina che soffre… la nostra situazione ormai si
può descrivere come quella di una vite che sente su di se, e lei sola lo sente,
il peso dell’intero macchinario …e piange…”</div>
<div class="MsoNormal">
Saluto di <span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Sergio
Fanucci</span>, editore che sta pubblicando l’opera completa, con nuove
traduzioni, di Philip K. Dick.</div>
<div class="MsoNormal">
Dall’intervento di <span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Franco
Romanò</span>: “l’opera di Dick , nel considerare il bene e il male nella
storia, assomiglia all’Apocalisse di Giovanni. Cosa vede Giovanni
nell’Apocalisse: vede che nella storia non c’è redenzione (vede che gli
eserciti di Dio si comportano come gli eserciti del demonio). Quindi la
redenzione non si da nella storia. Nella sua visione finale la città di Dio
scende dal cielo, come un’astronave, viene da altrove, non è nella storia, non
è possibile, non si da nella storia ma si da in un tempo in un luogo che è
fuori dalla storia. In Dick in un certo senso accade la stessa cosa. Non è che
il male vince. In Dick è presente la lotta tra il bene e il male ma anche il
bene diventa il suo contrario e viceversa. Cioè anche in Dick il bene usa
strumenti che lo rovesciano nel suo contrario, che diventano male. La causa che
ci sembra più buona travalica e diventa il suo opposto. In Dick non c’è
l’escatologia finale. Ma in un romanzo vedo una risposta. In <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Follia
per sette</i></b> <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">clan </i></b>c’è un’escalation di guerre continue che ci conduce alla follia
dei nostri giorni. Quando finisce la guerra? Quando una coppia, un uomo e una
donna ritrovano la strada dell’amore. La guerra è iniziata per la disarmonia di
una coppia. Sembra una ingenuità americana. Dick in sostanza dice: l’energia
cosmica che governa i rapporti personali è la stessa che governa il mondo e le
guerre, quindi se l’armonia c’è da una parte c’è anche dall’altra e viceversa.
Ingenuo? Probabilmente si, ma vorrei ricordare che la civiltà occidentale nasce
da una guerra di cui non capiremo mai le ragioni solo storiche ed economiche
perché a un certo punto ci dobbiamo fermare di fronte al mistero di una donna
che ha lasciato un uomo, o che è stata rapita ed è finita in un territorio
straniero. La guerra di Troia nasce da questo.”</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-bidi-font-style: normal;"><u><b>sabato 12 ottobre</b></u></span><br />
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Seconda conferenza</u></i>:
“L’esegesi religiosa in Philip K. Dick”.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Carlo
Formenti</span>: “ L’esegesi di Philip K. Dick è un’autoesegesi, cioè
un’esegesi della sua stessa opera riletta a posteriori come rivelazione
religiosa inconsapevole.” (…)</div>
<div class="MsoNormal">
“La cosmologia della gnosi mette in piedi una costruzione
totalmente negativa e paranoide dell’universo e del mondo , per cui il mondo in
cui tutti noi viviamo è in realtà un mondo fasullo, creato da un cattivo
demiurgo, da una deiezione della divinità che si è persa per strada la sua purezza
originaria, che è progressivamente degradata e nella sua ultima incarnazione ha
creato la materia e il mondo come carcere per dei frammenti divini dispersi che
vengono incastonati nella materia. In sostanza noi, gli esseri umani, non
saremmo altro che delle faville di questa unità divina originariamente dispersa
nella materia, che rammemorano questa loro origine con fatica, per visioni
frammentarie, che aspirano disperatamente a ricomporsi in questa divinità
originaria che incarna invece, non tanto il bene cristiano, quanto la
completezza, la totalità.” (…) </div>
<div class="MsoNormal">
“Dick, ancora prima di conoscere il pensiero gnostico,
condivideva con esso il pessimismo cosmico radicale, l’impossibilità di
arrivare a cogliere <st1:personname productid="la verità. Usciamo" w:st="on">la
verità. Usciamo</st1:personname> da una gabbia ma ne troviamo un’altra,
all’infinito, e questa è esattamente la simbologia della cosmologia gnostica.”
(…) </div>
<div class="MsoNormal">
“Qual è la via di fuga, la via di salvezza per quanto
piccola, a cui Dick allude nei suoi ultimi romanzi? Ebbene, paradossalmente
dopo aver costruito un’intera visione, attraverso decine di romanzi e centinaia
di racconti, in cui l’agente di questo inganno gnostico , di questa
mistificazione della realtà è la tecnica, quindi gli androidi, quindi i media,
come elementi di mistificazione di massa ecc.; la possibile chiave di salvezza
che compare in quest’ultimo ciclo è in qualche modo la stessa tecnologia, che
però non è più vista come una serie di strumenti, oggetti, potenze o procedure
ecc., ma è vista come sfera complessiva della tecnica e in particolare della
tecnica di comunicazione. L’insieme dei prodotti della scienza, della
tecnologia, del pensiero umano, arrivati a un determinato livello di
complessità, in un qualche modo si autonomizzano, assumono una loro identità e
autoconsapevolezza , diventando una specie di supercoscienza planetaria. Un
cervello planetario in cui conversano come cellule di un sistema nervoso tutti
i cervelli dell’umanità.” (…)</div>
<div class="MsoNormal">
“Una nuova frontiera che si apre, come nei sogni dei primi
colonizzatori che immaginavano l’America come l’Eden<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(…) Rinasce il sogno della rete dello cyber
spazio come nuovo Eden in cui andare a cercare una nuova possibile salvezza. E
Dick se l’è immaginata e inventata 30 anni prima che esistessero le tecnologie
che poi avrebbero sostenuto questo sogno.”</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Fabrizio
Chiappetti</span>:”Io credo che Dick sia il portatore di una sorta di
religiosità laica. Nel mercerismo di <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ma gli androidi sognano le pecore
elettriche?</i></b> Ne abbiamo la migliore esemplificazione.” (…) </div>
<div class="MsoNormal">
“ C’è un voler essere insieme, un donare reciprocamente il
proprio niente all’altro; il proprio niente che, ha certo un’eco religiosa, ma
in questo passaggio del romanzo invece forse traspare proprio tutta l’umanità
possibile di questo dono. E allora traspare un modo di percepire, di pensare
l’umano che è affine a quello che il poeta John Donne diceva con un verso:
“nessun uomo è un’isola”. Nessuno è così povero da non poter essere nulla,
davvero nulla per l’altro e in questa compartecipazione forse sta la chiave, il
cuore di questa religiosità laica, profonda che si trova in diverse pagine di
Philip K. Dick.” (…)</div>
<div class="MsoNormal">
“ Credo che in molte pagine di Dick emerga proprio questa
antropologia della relazione e che proprio in questa passione per l’umano , in
questa capacità di donarsi assolutamente anche nelle sconfitte, si trovi il nucleo
più interessante dell’opera di Dick; ricordando che ciò che resta sono le cose
donate, perché quello che si dona è qualcosa che si perde, scompare ma è anche
ciò che può resistere per sempre.”</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-bidi-font-style: normal;"><u><b>sabato 19 ottobre</b></u></span><br />
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Terza conferenza</u></i>:
“Leggere Dick oltre i generi”. Un esperimento: chiedere a un intellettuale, non
specialista di fantascienza, di leggere alcune opere di Dick e di confrontarsi
con un addetto ai lavori. In questo caso Edoarda Masi, una delle massime
esperte di cose cinesi in Italia e Carlo Pagetti, il massimo esperto di cose
dickiane in Italia.</div>
<div class="MsoNormal">
Il risultato: un pro e un contro che propongono punti di
vista inediti e per nulla scontati.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Edoarda
Masi</span>: “ Non condivido il modo di guardare il mondo di Dick. Non riesco a
capire dove c’è l’ironia e dove non c’è. La sua critica, così profonda e
disperata, della società in cui vive, critica lodevole e condivisibile, è però
una critica che si muove tutta dall’interno di quella società, senza sbocco,
quindi uno ha un senso di claustrofobia da un mondo da cui non si riesce a venire
fuori. Un mondo in cui, vedendo altri testi di Dick, può portare di fronte
all’uomo artificiale. A un certo momento se l’uomo artificiale è molto
perfezionato non si riesce più a capire il confine tra l’uomo reale e l’uomo
artificiale. Lo stesso robot è inconsapevole del suo essere robot. Che cosa è
questo? Questa è una simbologia. Questo uomo che non sa che cos’è in realtà
indica noi stessi come siamo diventati. E quindi indica l’incertezza
dell’identità che è nostra. E in questo senso Dick colpisce giusto. Però lui
non riesce a venirne fuori da questo. Non riesce ad avere, non dico una
speranza… perché poi al posto della speranza viene fuori, presi da altre
tradizioni, vengono fuori dei deliri mistici. E questo perché non c’è la via
d’uscita. Ora quando prima dicevo che lo vedevo vicino al decostruttivismo era
per questo motivo, una volta che si è presi dentro la trappola di una società
che ci si presenta come l’unica possibile e questa ci si presenta in termini
orribili, le scappatoie non ci sono più e la stessa critica si muove
all’interno di questa società. Non dico che oggi sia facile proporre delle
alternative, però, una vecchia europea di diversa formazione come me, sa o
pretende di sapere che tutto il nostro essere umano sta nella ricerca di queste
alternative e non soltanto nella distruzione disperata di quello che c’è,
perché è effettivamente orribile. E quindi l’uso migliore che riesco a fare
della letteratura di Dick è di documento. Di documento molto forte di quello
che è diventata la società americana prima e che sta diventando la società
mondiale sotto l’influsso della cultura americana. Allora come documento è
secondo me estremamente efficace, però soggettivamente l’autore non riesce a
portarmi fuori da questa gabbia, da questa scatola chiusa.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Carlo
Pagetti</span>: “Io non credo che spetti agli scrittori di dare delle vie
d’uscita. Io credo che spetti agli scrittori di indicare i problemi, di dare
una visione critica della vita. Dopo di che aggiungo però che secondo me Dick
non è poi così pessimista come sembra; tanto è vero che è giusto, come ha fatto
<st1:personname productid="la signora Masi" w:st="on">la signora Masi</st1:personname>,
collegarlo al postmodernismo, però alcuni studiosi marxisti americani, primo
fra tutti Fredric Jameson ha detto: attenzione Dick non è un postmoderno,
perché? Perché il postmoderno, almeno quello deteriore, costruisce sul nulla;
gioca col linguaggio, gioca con le parole e non ci dà nessun valore e invece
Dick ha dei valori etici che vengono fuori dalla sua narrativa.” (…)</div>
<div class="MsoNormal">
“Da questa sorta di incubo e labirinto della storia
certamente non si esce, qualunque immagine possa emergere della storia<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>certamente non c’è via d’uscita. E’ vero.
D’altra parte in questo, secondo me, Dick più che essere un postmoderno, l’ho
già detto altre volte facendo storcere il naso a qualcuno, è un vetero-modernista,
cioè è qualcuno che ha portato nella cultura di massa certe istanze del grande
modernismo dei primi decenni del secolo. Ha fatto questa geniale, almeno per
me, operazione di riprendere alcuni dei grandi temi, dei motivi del modernismo
e li ha riportati all’interno di un genere minore, come quello della
fantascienza.” (…)</div>
<div class="MsoNormal">
“Dalla storia con la S maiuscola, nei romanzi di Dick, non
si esce quasi mai. C’è in qualche modo una via d’uscita? La via d’uscita di
Dick è una via, tipicamente americana. (…) Dick riteneva che quantunque la
storia fosse un incubo, un labirinto da cui non c’era via d’uscita, l’individuo
e soprattutto il piccolo individuo, l’individuo della strada, dominato,
terrorizzato, sfruttato, incapace di capire i grandi giochi di potere che passano
continuamente sopra la sua testa, tuttavia conservasse una sua dignità
personale, la quale poteva permettergli in qualche momento di sfuggire alla
devastazione. In un suo intervento Dick parla di questo individuo e dice: ci
sono certi momenti di scelta, quest’individuo può fare una scelta, non riesce a
rovesciare la visione del caos che domina il mondo, riesce a bloccarlo un
momento, con le sue scelte individuali, che sono scelte piccole, che non
modificano il quadro generale. Tuttavia questo individuo, che spesso compare in
un modo o nell’altro, nei suoi romanzi, ha questo potere di illuminare
momentaneamente una realtà, effettivamente disperata, tragica e di ridare senso
all’esperienza individuale.” (…)</div>
<div class="MsoNormal">
“Esistono dei valori che perfino in un mondo totalmente
simulato e in qualche modo conquistato dalle macchine è possibile riconoscere
come autentici, e sono i valori della solidarietà, della dignità umana che non
può essere piegata neanche dagli inganni e dalle torture più crudeli. In questo
senso F. Jameson ha ragione, Dick non è un postmoderno.”</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Edoarda
Masi</span>: “Io prima ho dato oggettivamente luogo a un equivoco. Quando ho
detto: è un mondo claustrofobico senza uscita, non intendevo assolutamente
parlare di pessimismo. I più grandi autori, non solo del ‘900 ma anche
dell’’800, Dostoevskij, Kafka, Leopardi, sono forse degli ottimisti? Ma il
problema non è l’ottimismo o il pessimismo. Il problema, per me, non è il
rapporto tra l’ideologia e la scrittura, ma di quello che è interno alla
scrittura. Cioè dove non trovo come lettrice la via d’uscita e che quindi mi
rende questa lettura poco interessante… cioè non ho voglia di andare avanti
quando leggo queste cose è quando ci vorrebbero essere dei punti più lirici,
appunto più… e sono disastrosi perché sono appunto del cattivo misticismo,
intendo parlare di qualcosa che non è relativo ai contenuti cosiddetti ma è
interno alla scrittura. Cioè ad esempio, parlando dei grandi ci si capisce
meglio, se io legge Dostoevskij non è che quando sono alla fine dell’Idiota…,
si lui può avere la sua fede cristiana ecc. però in sostanza sono testi
fondamentalmente negativi, se uno guarda soltanto ai contenuti. Dov’è quello
che io dico che in loro c’è e c’è anche in autori minori ma che secondo me in
Dick non c’è. E’ quella, chiamiamola catarsi che è interna alla scrittura. Però
per dimostrare questo bisognerebbe fare tutta un’analisi dei testi che in
questa sede non si può fare. Quindi io posso soltanto dire quali sono le mie
impressioni di lettrice. (…) Quello che io chiamo claustrofobico è l’assenza
dell’elemento catarchico che è intimo alla scrittura artistica. C’è un saggio
molto bello di Franco Fortini su Leopardi dove parla della gioia che c’è nella
creazione di Leopardi e la gioia non è negli argomenti di cui Leopardi tratta
ma è nel fatto che riesce a trasformare in una forma letteraria, una forma di
poesia che a un certo momento è gioia per chi la crea e gioia per chi la legge;
ore questo, quando uno è disperato anche in quanto scrittore e non soltanto in
quanto essere umano, non viene fuori nella creazione. (…) Dick nell’insieme è
uno scrittore che non mi dice niente come scrittore, questo è il problema.
Allora io dico che come documento di un disperato e che però riesce in qualche
misura a rappresentare la disperazione collettiva, è reale, lo posso accettare.
Ma è molto limitato il limite entro cui come scrittore mi dice qualcosa. Questo
è il punto, e non il fatto che sia ottimista o pessimista, perché appunto
prendiamo Kafka... ma Kafka è uno scrittore che mentre lo leggi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>provi la gioia del leggere. E quindi
l'elemento catarchico è interno alla scrittura, non è un oggetto
ideologico." </div>
<div class="MsoNormal">
<span style="mso-bidi-font-style: normal;"><u><b>sabato 26 ottobre</b></u></span><br />
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><u>Quarta conferenza</u></i>:
“Feticcio e mondo artificiale in P. K. Dick”.</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Antonio
Caronia</span>: (la conferenza integrale di Antonio Caronia <a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.com/2014/11/antonio-caronia-feticcio-e-mondo.html">qui</a> e <a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.com/2014/11/antonio-caronia-feticcio-e-mondo_26.html">qui</a>) “Nei suoi romanzi Dick appositamente ci lascia senza strumenti,
non ci da mai alcun indizio, (…) c’è una situazione di indicibilità analoga a
molti (lo dico in termini molto superficiali) dei problemi affrontati dai
logici matematici nel corso degli anni ’20 e ’30 e la loro scoperta che
esistevano alcuni problemi formalmente indecidibili. Come tutti sapete, Kurt
Godel su questa questione delle proposizioni formalmente indicibili ha scritto
un saggio nel '31 o ’32 che ha cambiato tutto il modo di vedere i fondamenti
della matematica prima di allora. Dick non ha letto Godel, però da un certo
punto di vista noi ci troviamo di fronte a un vacillare del concetto stesso di
realtà, della stabilità del reale. Però da un certo punto in poi della sua
vita, Dick ha cominciato a pensare di aver trovato una risposta. Ci sono state
le famose esperienze mistiche (del febbraio marzo del ’74) in cui lui venne
visitato da questa misteriosa entità aliena e lui rifletté per un sacco di
tempo su questa cosa e scrisse quella monumentale opera inedita, che sono le
otto mila pagine della esegesi; nella quale ad un certo punto si convince di
aver strappato in qualche maniera il velo di maja e di aver scoperto che noi
viviamo in una sorte di continuo presente. In pratica viviamo tutti ancora nel
70 dopo Cristo e che tutta la storia del mondo da quella data agli anni ’70 in
cui lui scriveva quelle cose) è un’orrenda finzione, è una maschera ecc. Tutti
gli ultimi anni della vita di Dick sono caratterizzati da questa cosa. Io sono
contrario a chiamarla svolta mistica perché io cito sempre a questo proposito
una bellissima pagina dell’esegesi, che Sutin dita distesamente, e a ragione,
nella sua biografia di Dick dal titolo <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-bidi-font-family: Arial;">Divine
invasioni</span></i></b><span style="mso-bidi-font-family: Arial;">,</span> in
cui Dick discute con Dio (scritta nelle ultime settimane prima della sua
morte). E c’è un bellissimo duello con Dio, un duello dialettico (che ricorda
molto i filosofi medioevali) nel quale Dick dubita e dice: non so se tu ci sei
davvero. Non so se tu sei davvero la causa delle cose che mi sono successe, io
dubito. E Dio dice: fai bene, dubita, prova, dai una certa spiegazione, vedrai
che a un certo punto troverai un assurdo, troverai una catena infinita,
troverai un regresso all’infinito. Cioè una delle figure cattive del
ragionamento tipiche della logica aristotelica e poi della logica scolastica. E
Dick fa questa cosa e dice allora infinito; come lui trova questo regresso
all’infinito Dio gli dice: ecco l’infinito, io sono l’infinito, vai avanti fai
un’altra ipotesi e lui fa queste ipotesi. E in questo c’è questa cosa in cui si
vede che Dick non ha mai abbandonato una fiducia nella ragione, nella forza
della ragione, pur con tutti i suoi fallimenti. Pur con tutti i limiti che lui
stesso riconosce. Ci sono delle cose che non si possono fare. Non ci possiamo
cavare dalla palude come il barone di Munchausen. tirandoci per il codino.
Abbiamo bisogno di un fondamento che vada da qualche altra parte. E questa cosa
è obbiettivamente moderna, non ha nulla del gioco, a volte un po’ cinico, anche
se molto interessante, con il quale i narratori postmoderni giocano con l’idea
di realtà.”</div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial black" , "sans-serif";">Giorgio
Concato</span>: “Dick immagina che il mondo abbia avuto un altro corso,
rispetto a quello che conosciamo, a partire da un evento che è andato in un
altro modo, in genere dalla 2° guerra mondiale che è stata vinta da quegli
altri invece che da questi. E come sarebbero andate le cose allora?… E’ curioso
che attraverso questo espediente Dick<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>ricerchi come una dimensione ricorsiva della nostra realtà. Cioè il
possibile che sarebbe nato allora ci consente di leggere ricorsivamente<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la realtà nostra di oggi ma vedendola come
dietro allo specchio. Andando dietro al feticcio e leggendo i meccanismi reali
che poi determinano queste illusioni che il feticcio instaura al centro della
vita collettiva. E’ un espediente in cui l’immaginazione assume una valenza
critica, cioè la metafora, il suo uso critico ci consente di leggere al di là.
Nella dimensione del simulacro, presente in <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ma gli</i></b> <b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><i style="mso-bidi-font-style: normal;">androidi
sognano le pecore elettriche?</i></b> La situazione cambia. Nel simulacro c’è
un’allucinazione collettiva (non più di un solo soggetto) che si è instaurata e
si è impossessata di tutti i soggetti di una società. (…) C’è un aspetto che
resiste, che non è del tutti colonizzabile dal simulacro; Dick vede questa
natura che resiste in questa capacità di interiorizzare i significati. Questa
riserva di senso che si può dare alla realtà, questa capacità di
simbolizzazione della realtà non è completamente esaurita; tanto è vero che
Mercer può esserci o non esserci a seconda di come uno riesce a dargli vita,
della finzione che riesce a dargli. La compassione è un altro elemento che
resiste, che è irriducibile perché anche per un rospo meccanico si può provare
compassione. E quindi anche nel mondo dei simulacri la compassione è un
elemento che non viene completamente colonizzato.” <br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-EGEJ4d0Jj1o/W8dsY-Jyd2I/AAAAAAAAE_w/Ow-5Pf_t-44-ZlFFcnIHxyXLW14yiT0dACLcBGAs/s1600/IMG_0015.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1413" data-original-width="1000" height="400" src="https://3.bp.blogspot.com/-EGEJ4d0Jj1o/W8dsY-Jyd2I/AAAAAAAAE_w/Ow-5Pf_t-44-ZlFFcnIHxyXLW14yiT0dACLcBGAs/s400/IMG_0015.jpg" width="282" /></a></div>
<br /></div>
<br />Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-78922283808906032802018-09-16T20:34:00.001+02:002018-09-16T20:34:37.801+02:00Antonio Caronia - Philip K. Dick: Deus absconditus<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-s9griE5lrOQ/WzH9HakJv_I/AAAAAAAAE9U/CTfes2pAuqUe7iIqPeFkIyu8Pr-IMSu5gCLcBGAs/s1600/16.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="885" data-original-width="995" height="284" src="https://2.bp.blogspot.com/-s9griE5lrOQ/WzH9HakJv_I/AAAAAAAAE9U/CTfes2pAuqUe7iIqPeFkIyu8Pr-IMSu5gCLcBGAs/s320/16.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Una delle più vivaci argomentazioni sulla giustizia
di Dio (teodicea, secondo il termine di Leibniz) che mi sia capitato di leggere
si trova nelle prime pagine di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Valis</i>,
il romanzo scritto nel 1978, e pubblicato nel 1981, ispirato alle esperienze di
Dick del 2-3-74. Vale la pena leggerla per esteso.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-list: Ignore;">-<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Non c’era bisogno di tormentare Fat con
domande oziose del tipo: “Se Dio può fare tutto, può creare un fossato così
largo che non possa saltarlo? Avevamo un sacco di vere domande a cui Fat non
riusciva a dare una risposta. Il nostro amico Kevin iniziava sempre il suo
attacco allo stesso modo. “Cosa mi dici del mio gatto?” chiedeva Kevin.
Parecchi anni prima aveva portato a passeggio il suo gatto, verso sera. Quello
sciocco non gli aveva messo il guinzaglio e il gatto era schizzato sulla
strada, proprio sotto le ruote di una macchina di passaggio. Quando aveva
raccolto il corpicino, era ancora vivo, respirava fra una schiuma insanguinata
e lo fissava con gli occhi pieni di orrore. Kevin usava dire: “Il giorno del
giudizio, quando sarò chiamato davanti al gran giudice, io gli dirò: ‘Aspetta
un momento’, e tirerò fuori il mio gatto morto da sotto la giacca. ‘Come me lo
spieghi <i style="mso-bidi-font-style: normal;">questo</i>?’ gli chiederò”. (…)
Fat disse: - Nessuna risposta ti soddisferebbe. – Nessuna risposta che potresti
darmi tu – lo schernì Kevin. – Okay, Dio ha salvato la vita di tuo figlio:
perché non ha fatto in modo che il mio gatto corresse sulla strada cinque
secondi dopo? Troppo disturbo? Già, immagino che un gatto non abbia molta
importanza. (…) Conclude Kevin: L’universo è fottuto. Dio è impotente, o è
stupido, o non gliene frega niente. O tutte e tre le cose. È cattivo, scemo e
debole.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Questo naturalmente, non è il punto di vista di
Dick. È il punto di vista di Kevin, scettico e tendenzialmente cinico. Ma il
problema di fondo della teodicea è posto abbastanza correttamente: se Dio è un
essere infinitamente buono, come può permettere il male nel mondo? Come si sa
Philip Dick, filosofo autodidatta (oltre che personaggio esuberante e
contraddittorio), scelse la risposta gnostica, che complica un po’ le cose ma
ha il pregio, per chi crede in Dio, di “salvare le apparenze” (avrebbe detto
Galileo) meglio di altre: il creatore del mondo materiale non è Dio stesso, ma
un personaggio a sua volta creato da Dio (spesso indicato col nome di Demiurgo),
un’intelligenza che non è capace di contemplare direttamente Dio, e quindi di
creare cose perfette come lui, ma solo di creare una cosa pasticciata e
imperfetta come la materia. Anzi, il Demiurgo sarebbe l’ultimo di una scala di
esseri divini, ognuno creato da quello immediatamente superiore e ognuno,
quindi, leggermente degradato rispetto al suo creatore. Ora quello che è
interessante, nella teodicea di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Valis</i>
citata prima, è che l’interrogativo formulato all’inizio del brano non è: “Dio
è giusto o ingiusto?” ma “Dio è o non è onnipotente?” (“può creare un fossato
così largo etc. etc.?”); per quanto Dick definisca quest’ultima una “domanda
oziosa”, nella sua dichiarazione conclusiva Kevin continua a mescolare le
considerazioni etiche con quelle ontologiche. Il punto di partenza di Dick,
insomma, più che il dibattito sulla giustificazione del male nel mondo, sembra
riprendere il dibattito della tarda scolastica sugli eventuali limiti
dell’azione divina in relazione agli universali da lui stesso creati: potrebbe
Dio creare un mondo, per esempio, in cui le leggi della logica non valgono, o
questa azione gli sarebbe impedita dal fatto che, per loro stessa natura,
queste leggi valgono in tutti i mondi possibili? Quindi volendo ragionare
sull’idea e la presenza di Dio nell’opera di Dick, è probabilmente con
l’ontologia, prima che con l’etica, che dobbiamo fare i conti. Tanto più che la
narrativa di Philip Dick è fortemente permeata da un problema ontologico, e non
solo quella scritta dopo l’esperienza del 2-3-74, ma anche quella scritta
prima, sin dall’inizio della sua carriera. In un certo senso questo è banale.
Come ha sostenuto Brian McHale, tutta la fantascienza è una narrativa a
dominante ontologica, simile in questo alla narrativa postmoderna, e a differenza
della tradizione del romanzo modernista (e, tra i generi, del giallo), che sono
invece a dominante epistemologica. Queste ultime sono orientate a problemi
relativi alla nascita e alla trasmissione delle conoscenze sul mondo, dando per
scontata (relativamente) l’esistenza e l’unicità del mondo. La narrativa
postmoderna e fantascientifica si pone invece interrogativi sull’essenza del
mondo, e postula l’esistenza (o la possibilità) di più mondi, di più universi,
indagandone le condizioni di esistenza e le modalità di passaggio dall’uno
all’altro di questi mondi. Ma la tematica ontologica della narrativa di Dick ha
un’accentuazione molto particolare. Il tema della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">realtà</i> (la risposta alla domanda: “che cosa è reale e che cosa non
lo è?”) si intreccia infatti in Dick sin dall’inizio con il tema dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">autenticità</i>, sia per quanto riguarda
l’uomo che il mondo. I personaggi di Dick si chiedono costantemente: “il mondo
in cui io vivo e opero è quello vero? O non è il mascheramento di un’altra
realtà nascosta, segreta?”. In <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Tempo
fuori luogo</i> Ragle Gumm si rende conto che la cittadina in cui vive non è
una vera città, ma una specie di set cinematografico costruito a suo uso e
consumo; in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Le tre stimmate di palmer
Eldritch</i> Barney Mayerson sperimenta i mondi illusori creati dalla potenza
di Palmer: in <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ubik</i> Joe Chip riceve
oscuri messaggi dal suo capo Glenn Runciter (e forse dalla misteriosa entità
che dà il titolo al libro) che suggeriscono che il mondo in cui egli vive non
sia reale. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Nell’universo narrativo di
Dick (che egli si convinse sempre più, dopo la svolta del 1974, rappresentasse
l’universo reale), i vari mondi paralleli non sono “contigui” l’uno all’altro,
come nel modello di Borges esposto nel <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Giardino
dei sentieri che si biforcano </i>o nel film <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Ritorno al futuro</i> di Zemeckis, e neppure come succede, in fondo,
nei vari ciberspazi degli autori cyberpunk. Essi si dispongono piuttosto in
direzione “perpendicolare” all’universo di riferimento, e nell’esperienza di
questi mondi l’uomo sperimenta anche un altro scorrere del tempo. Quindi, a
rigore, quelli dickiani non potrebbero essere definiti “universi paralleli”, ma
più propriamente “universi ortogonali”: infatti, come afferma Dick nel saggio
“Uomo, androide e macchina” (pubblicato nel 1976 ma scritto nel ’75), “dalla
nostra esperienza del tempo – che si pone ortogonalmente rispetto alla reale
direzione del suo flusso – ricaviamo un’idea completamente errata della
sequenza degli eventi, della causalità, di che cosa è passato e di che cosa è
futuro, di dov’è diretto l’universo”. Quello che va sottolineato è che,
nonostante spesso dai suoi libri si ricavi l’impressione che la realtà è
indecidibile, Dick ha sempre tenuto fede all’idea che la realtà sia
conoscibile, e che le cose stiano in un modo, e uno solo (è questo che ci rende
riluttanti, nonostante le molte somiglianze, ad assimilarlo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">tout court</i> alla letteratura
postmoderna): l’importante, per lui, era riuscire a squarciare il “velo di
maya”, a leggere tra la trama sottostante all’apparenza degli eventi. Lasciamo
stare i pasticci su Parmenide, Kant e gli gnostici di cui a volte Philip Dick
infarciva i suoi scritti teorici. La sua filosofia era sempre ancorata a una
domanda molto forte e concreta di “giustificazione”, in tutti i sensi che la
parola ha in italiano. L’idea che la realtà sia costantemente alterata da un
complotto gestito da potenze invisibili lo avvicina, naturalmente, a Pynchon, a
Burroughs, a Ballard, a De Lillo. Lo allontana da loro l’impossibilità ad
acquietarsi nelle congetture, realizzate attraverso la scrittura, di questo
complotto. Ecco perché gli eventi del 2-3-74 furono così centrali, per lui,
ecco perché illuminarono non solo tutto ciò che aveva scritto, ma anche tutto
ciò che aveva vissuto prima di quella data, ecco perché si arrovellò, negli
ultimi otto anni della sua vita, a tentarne un’interpretazione. Eric S. Rabkin,
in un saggio a volte acuto ma ingeneroso su Dick di parecchi anni fa, diede
voce più chiaramente di altri marxisti della cattedra americani alla delusione
per aver scoperto che i romanzi di Dick, che negli anni sessanta e settanta <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>potevano apparire come critiche politiche
anticapitalistiche alla società americana, erano invece confuse riflessioni
esoteriche-metafisiche sul senso della storia: e scrisse, senza mezzi termini,
che negli ultimi anni della sua vita Dick era diventato pazzo, e aveva ceduto a
tentazioni irrazionalistiche. Giustamente Lawrence Sutin, il più attento
biografo di Dick, dopo aver studiato attentamente le più di seimila pagine
dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Esegesi</i>, il diario segreto di
Dick tenuto dal 1974 sino alla morte, invita alla cautela. Egli documenta come
Dick abbia passato più e più volte in rassegna ogni possibile interpretazione
degli eventi straordinari che visse nel febbraio e marzo del ’74 (e più
raramente in epoche seguenti fino al 78), comprese quelle più triviali e
materialistiche. Però, nonostante le esitazioni, è probabile che Dick sia morto
con la convinzione che in quei giorni Dio gli abbia parlato. Le ragioni per cui
arrivò (se ci arrivò) a questa definitiva convinzione, sono però tutt’altro che
irrazionali. Sutin dà molto rilievo a una pagina dell’<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Esegesi</i> del 17 novembre 1980: è l’ultimo colloquio di Dick con Dio,
in cui quest’ultimo lo convince che dietro gli eventi del 74 c’è lui. Sono
pagine molto belle (“una visione dickiana un po’ favola e un po’ elegia
meditabonda”, scrive Sutin), e gettano una luce indiretta sui processi della
creatività di Dick. Dio gli dice infatti:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-list: Ignore;">-<span style="font: 7.0pt "Times New Roman";">
</span></span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Io sono l’infinito. Ti farò vedere. Dove
io sono, c’è l’infinito; dove è l’infinito, io sono. Costruisci sistemi di
pensiero grazie ai quali capirai la tua esperienza del 1974. Scenderò in campo
contro la loro natura cangiante. Pensi che siano logici, ma non lo sono: sono
creativi, all’infinito.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">E Dick ingaggia un duello con Dio, ed escogita ogni
possibile spiegazione di quegli eventi, e ogni volta sperimenta un regresso
all’infinito. E ogni volta Dio dice: “Ecco l’infinito. Ecco, io sono. Riprova”.
Per Dick, Dio è il vuoto infinito. È l’essenza stessa del dubbio e della
ricerca. “’Infinito’, disse Dio. ‘Riprova. Sto aspettando.’” Dick aveva bisogno
di comprendere quegli eventi, che erano la chiave di volta della sua vita, ma
non poteva comprenderli se non riepilogando tutta la sua attività di scrittore,
di inventore di trame, di personaggi, di situazioni, di ipotesi sul mondo e
sulla storia. A questa attività potenzialmente infinita egli diede il nome di
Dio. Noi non abbiamo alcuna possibilità di entrare dentro la mente di Dick
(come dentro quella di alcun altro essere umano). Sappiamo che era un
esibizionista, un buffone egocentrico, un infelice. Ma possiamo saperlo solo
dalle testimonianze di chi lo conobbe, e da un incrocio fra le sue opere e la
sua vita. Non possiamo e non dobbiamo essere né gli psicoanalisti né i giudici
di Dick. Possiamo essere solo i suoi lettori, e possiamo sperimentare gli
effetti delle sue opere su di noi. Se i processi che lui descrive parlano di
noi, e ci illuminano su noi stessi, egli resta un grande scrittore, anche se
noi diamo nomi diversi da quelli che dava lui agli oggetti dell’esperienza e
del pensiero.<o:p></o:p></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: "times new roman" , serif; line-height: 115%;"><span style="font-size: x-small;"><br /></span></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="font-family: "times new roman" , serif; line-height: 115%;"><span style="font-size: x-small;">(Il
Manifesto – Alias, 16 febbraio 2002, col titolo “Una realtà imperfetta con un
dio di serie B”, ripubblicato in Universi Quasi Paralleli, CUT-UP Edizioni,
Roma 2009)</span><span style="font-size: 12pt;"><o:p></o:p></span></span></div>
<br />Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-70991018479974678362018-09-13T19:20:00.001+02:002018-09-13T19:20:48.646+02:00Nel nostro mondo di Ubik<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-Shi0gy4VcRs/W5qcBx2EC4I/AAAAAAAAE-w/QoMm8QgUXwApXy3Q1_iePXeXDLt61DqTQCLcBGAs/s1600/capitalismo%2B2%2B%25288%2529.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1191" data-original-width="947" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-Shi0gy4VcRs/W5qcBx2EC4I/AAAAAAAAE-w/QoMm8QgUXwApXy3Q1_iePXeXDLt61DqTQCLcBGAs/s320/capitalismo%2B2%2B%25288%2529.jpg" width="254" /></a></div>
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">In un recente articolo: </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">Megamacchine del neurocapitalismo. Genesi delle piattaforme globali</i><sup style="font-family: "Times New Roman", serif;">2</sup><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;"> </i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">l’autore Giorgio Griziotti</span><sup style="font-family: "Times New Roman", serif;">3</sup><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">
ricorda come Lewis Mumford introduca </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">“nel
1967 il concetto di megamacchina come complesso sociale e tecnologico che
modellizza le grandi organizzazioni e progetti dove gli umani diventano pezzi
intercambiabili o servo-unità”. </i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">Questi grandi complessi organizzativi di
messa al lavoro del capitale umano sarebbero rintracciabili fin dalla </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">“costruzione delle piramidi in Egitto”</i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">,
e troverebbero nella modernità il modello più rappresentativo</span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"> </span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">nei </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">“grandi
complessi militari-tecnocratici che gestiscono il potere nucleare.”</i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"> Per
Griziotti oggi, in questo nuovo millennio, tutto il mondo, tutta la vita si sta
assoggettando all’immensa megamacchina del capitalismo che controlla e
controllerà sempre di più ogni momento della nostra vita, non più solamente
dall’esterno ma soprattutto dal di dentro dei nostri corpi, incorporandosi in
noi, divenendo parte di noi e noi di esso. L’articolo è ricco di informazioni e
agghiacciante nelle conclusioni a cui inevitabilmente conduce. Non ho le
competenze necessarie per entrare nel merito di questa articolata descrizione
della gestazione e trasformazione di questa complessa megamacchina del
‘neurocapitalismo’ e al di là di segnalare, doverosamente, i meriti di una
descrizione che nulla concede alla bassa divulgazione e che peraltro riesce a
rendersi comprensibile a un pubblico di non esperti, qui vorrei indugiare su
una sollecitazione di carattere fantascientifico (meglio: dickiano) che il
testo offre esplicitamente in un punto in cui cita il racconto di Dick: </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">Minority Report</i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">,</span><sup style="font-family: "Times New Roman", serif;">4</sup><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"> ma che
inevitabilmente lo pervade, data la natura dell’argomento, nella sua totalità.
Parlando della </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">Global Community</i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"> di
Zuckerberg e del suo impegno per la ricerca sull’Intelligenza Artificiale ci
avverte che: </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">“Anche se ci vorranno ancora
anni, scrive Zuckerberg, perché l’IA diventi un vero agente semiotico in grado
di capire e valutare il senso di tutti i contenuti del social network in modo
da poter intervenire opportunamente, questo resta l’obiettivo di FB ‘per
combattere il terrorismo mondiale’. La promessa di costruire l’infrastruttura
sociale che aiuterà la Global Community di FB a ‘identificare i problemi prima
che avvengano’ va nello stesso senso e si ispira direttamente a Minority
Report.” </i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"> </span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">È un esempio calzante, ma
se dalla situazione particolare di FB ci confrontiamo con la realtà più
generale presa in esame dall’articolo, cioè quella </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">“messa al lavoro della vita tramite la tecnologia della Web2.0” </i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">e
soprattutto quell’</span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">”asservimento
macchinico che ‘consiste nel mobilitare e nel modulare le componenti
pre-individuali, pre-cognitive e pre-verbali della soggettività, e fa
funzionare gli affetti, le percezioni e le sensazioni come parti o elementi di
una macchina.’</i><sup style="font-family: "Times New Roman", serif;">5</sup><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">”</i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"> più
che a questo vecchio racconto sarebbe </span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"> </span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">opportuno riferirsi a una delle sue opere
chiave: il romanzo Ubik.</span><sup style="font-family: "Times New Roman", serif;">6</sup><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"> Le premesse di questo mondo
bioipermediatico</span><sup style="font-family: "Times New Roman", serif;">7 </sup><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">non ci portano tanto a una distopia da grande
fratello elevata all’ennesima potenza, spettro fantascientifico ormai
depotenziato come gran parte degli scenari della science fiction novecentesca,
quanto a un mondo caotico, confuso, denso di contraddizioni e ambiguità. I
Zuckerberg e i Trump, acerrimi rivali nel nostro mondo, si possono equiparare,
nel mondo di Ubik, agli Hollis e ai Runciter con le loro rispettive funzioni di
spionaggio e controspionaggio che governano la vita di tutti gli individui. La
funzione di Hollis è quella di un potere tendente al controllo della vita nelle
sue singole componenti umane (spiandone le menti e pianificando coercitivamente
il loro futuro) mentre quella di Runciter si qualificherebbe come il bisogno di
governare questo processo, più che combatterlo (Runciter steso si avvale, come
il suo avversario, di telepati e precog, per i suoi bisogni). Che Runciter, per
chi legge il romanzo, appaia il più simpatico dei due, collima con il fatto che
un Zuckerberg </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">“in contrasto coi populismi
nazionalisti di cui Trump è il capofila” </i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">risulti infine </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">“in un certo senso più ‘moderno’ ed
attraente (o forse solo più accettabile) agli occhi di generazioni di nativi
digitali.” </i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">Il mondo della semi-vita di Ubik, in cui tutto sprofonda è un
mondo di cadaveri viventi e, come ancora Mumford ci ricorda: </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">“…se ogni cosa, eccettuata la tecnica, è un
sogno nebuloso, che cosa resta dell’uomo se non un cadavere vivente…?”</i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">.</span><sup style="font-family: "Times New Roman", serif;">8</sup><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;"> </span><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">È in questo riconoscersi cadavere vivente che
il protagonista Joe Chip, sfigato personaggio seriale dickiano, ritrova la
forza di resistere ai poteri che lo vogliono assoggettato a una docile
ubbidienza. Quel cadavere vivente, il corpo, è ciò che noi siamo, e potremo
essere corpo collettivo, resistente, solo a partire da questa ritrovata
consapevolezza. Tutta l’opera dickiana, del resto, tende a ritrovare il
possibile aggancio della dimensione culturale, che sempre più si esprime in
un’esplosione dell’immaterialità, con quella della materia, e del corpo in prima
istanza. Senza questo antidoto ubikiano temo che l’idea di una possibile
‘liberazione’ del ‘comune’, cioè di raggiungere quei </span><i style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">“modi per rendere veramente autonoma la Global Community e tutte le
altre comunità delle piattaforme del Capitalismo” </i><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 12pt;">auspicata da Griziotti,
rimanga una bella, ma ancora un’altra, irraggiungibile utopia dell’avvenire.</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: L. Mumford, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Arte e tecnica, </i>Universale Etas, Milano 1980, p. 96<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 2: <a href="http://effimera.org/megamacchine-del-neurocapitalismo-genesi-delle-piattaforme-gobali-giorgio-griziotti/">http://effimera.org/megamacchine-del-neurocapitalismo-genesi-delle-piattaforme-gobali-giorgio-griziotti/</a>
<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 3: di cui ho recensito il libro <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Neurocapitalismo</i>: </span><a href="http://www.labottegadelbarbieri.org/neurocapitalismo-e-cura/">http://www.labottegadelbarbieri.org/neurocapitalismo-e-cura/</a>
<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nota 4:
racconto del 1956 portato sugli schermi da Steven Spielberg nel 2002<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 5: M. Lazzarato, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Le macchine</i>, 10/2006 </span><span class="apple-converted-space"><span style="background: white; color: #4c4c4c; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 13.5pt; line-height: 115%;"> </span></span><span style="background: white; color: #4c4c4c; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><a href="http://eipcp.net/transversal/1106/lazzarato/fr">http://eipcp.net/transversal/1106/lazzarato/fr</a></span><span style="background: white; color: #4c4c4c; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 13.5pt; line-height: 115%;"> <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="background: white; color: #4c4c4c; font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 6: per
un’analisi del romanzo rimando al mio </span><a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2014/08/ubik_30.html">http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2014/08/ubik_30.html</a><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nota 7: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Bioipermedia è termine d3erivato
dall’assemblaggio di bios/biopolitica e ipermedia, come una delle attuali
dimensioni della mediazione tecnologica. Le tecnologie connesse e indossabili,
i cui oggetti popolano il territorio, ci sottomettono ad una percezione
multisensoriale in cui spazio reale e virtuale si confondono estendendo ed
amplificando gli stimoli emozionali.” </i>G. Griziotti, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Neurocapitalismo </i>Mimesis 2016, p. 120<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 8: L. Mumford, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Arte e tecnica, </i>cit. p.40<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><o:p></o:p></i></span></div>
<br />Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-89848604984693605442018-02-28T11:55:00.001+01:002018-02-28T11:55:27.394+01:00Ubik: la sceneggiatura<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-fzMFQGzmmVk/WpaHzC2d2rI/AAAAAAAAE1Q/y2z0dUDRzXsVOuw6G8BtBHvpzH2KXWsUgCEwYBhgL/s1600/5%2Ba.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1030" data-original-width="600" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-fzMFQGzmmVk/WpaHzC2d2rI/AAAAAAAAE1Q/y2z0dUDRzXsVOuw6G8BtBHvpzH2KXWsUgCEwYBhgL/s320/5%2Ba.jpg" width="186" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Iniziata a fine settembre e completata entro
l’ottobre del 1974 la sceneggiatura di Ubik, a Philip K. Dick mancava solo di
ricevere il saldo del pagamento pattuito con il regista francese Jean-Pierre
Gorin.<sup>1</sup> Come ricorda Paul Williams<sup>2</sup> <i>“ahimè, il pagamento non arrivò mai; dapprima Gorin addusse una
malattia di fegato, poi la perdita di entusiasmo da parte dei suoi sostenitori
finanziari, e infine sparì dalla scena. Il film non venne mai girato.” </i>Questa
sceneggiatura è stata pubblicata un’unica volta in Italia da Fanucci nel 1998
insieme al romanzo nella traduzione di Gianni Montanari per poi scomparire
nelle nuove edizioni delle opere complete di Dick da parte della stessa
Fanucci. Strano destino per un’opera così importante, la riduzione filmica di
uno dei romanzi chiave di Dick (del 1966) scritta alla fine di quell’anno, il
1974, cruciale per lo stesso Dick. Il 2.3.74 segna un punto di svolta per la
vita e l’opera di Dick e quel lavoro di adattamento cinematografico, a ragion
di logica, non può non contenere al proprio interno elementi più che
significativi per lo svolgersi successivo della sua produzione letteraria. Tentare un primo confronto tra romanzo e sceneggiatura, in quest’ottica, può
rivelare sorprese e spunti essenziali ancora assenti dall’indagine critica
svolta sulle sue opere.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ubik inizia nella sala delle mappe (predisposte al
monitoraggio della collocazione spaziale dei telepati dell’organizzazione
spionistica di Hollis) negli uffici della Runciter Associates a New York,
l’organizzazione antispionistica di Glen Runciter. Al posto del solo tecnico
incaricato al turno notturno del romanzo nella sceneggiatura si trovano tre
addetti che <i>“ricordano le streghe
dell’inizio del Macbeth, tranne che sono tutti uomini”.</i> Vale la pena
riportare per esteso la loro descrizione e quella dell’ambiente di lavoro: <i>“I loro abiti sono diversi dai nostri, ma
non sono come le uniformi da sala di comando di Star Trek nei film di
fantascienza; l’UOMO BIONDO indossa una camicia di velluto scuro e pantaloni
sportivi gialli, l’UOMO CALVO una camicia di seta bianca con maniche
pieghettate, l’UOMO MAGRO un comune camice da lavoro con le stesse iniziali
R.A. cucite sul petto. La stanza è di medie dimensioni. Sentiamo un ronzio di
apparecchiature. Le posizioni delle luci cambiano incessantemente; ogni tanto
uno dei tre uomini indica con una penna, o fa un cenno col capo, verso una
particolare luce colorata che ha cambiato posizione. Di quando in quando le
loro labbra si muovono come se i tre uomini discutessero di ciò che vedono, ma
non sentiamo nulla a causa del continuo rumore elettronico di sottofondo.
Insieme ai tre uomini notiamo sempre più che una luce verde si sposta da
sinistra a destra. Poi di colpo la luce scompare; si ode un suono simile a un gong,
soffocato, ma tutti e tre sobbalzano visibilmente.” </i>(p. 279) Il resto
corrisponde: S. Dole Melipone, il maggior telepate dell’organizzazione
avversaria è scomparso. Runciter, svegliato nel cuore della notte, decide di
andare a trovare la moglie defunta tenuta in semi-vita al Moratorium di Zurigo.
Non viene ripreso dal romanzo il particolare che Melipone cambi profilo
fisionomico ogni mese; evidentemente
l’idea stava per essere usata, con ben altro peso, nel romanzo <i>Un oscuro scrutare.</i><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il Moratorium Diletti Fratelli viene descritto come <i>“una via di mezzo fra il Tempio Mormone e il
drive-in californiano. </i>Al suo esterno, tra i viali percorsi dalle persone
in visita <i>“ci sono animali impagliati che
si muovono quando qualcuno si avvicina, con gesti rigidi e meccanici, dando
all’intera struttura – incluse le stesse persone – un aspetto curiosamente
artificiale.” </i>I volti delle persone sono seri <i>“l’unica gioia autentica è quella che appare sul viso di un bimbetto
che insegue un papero bianco…. Il quale si rivela dotato di ruote quando si
allontana rapido. È fasullo.” </i>Un richiamo agli animali artificiali di <i>Ma gli androidi sognano le pecore
elettriche? </i><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">C’è anche un inedito paragone tra vita prenatale e
semi-vita: <i>“-Herbert: Cosa c’è lì dentro?
–Segretaria: Il mio bambino –Herbert: Anche lui è in semi-vita, per così dire.
Segretaria: Sì, Herr.”</i><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Jory, l’essere che si intromette nella comunicazione
tra Runciter e la moglie Ella, viene descritto con un timbro vocale <i>“più rozzo e goffo, un timbro raschiante e
sgradevole, con sfumature di metallica ferocia” </i>e poco più avanti, ancora un riferimento
all’artificiale e al non umano quando Jory chiede se la sonda pilotata da
androidi è stata lanciata verso Proxima. Scompare il tentativo di Von Vogelsang
di far ragionare Jory per indurlo ad abbandonare la mente di Ella. Nella
versione romanzo c’è una sorta di giustificazione dell’invasione di Jory, come
una cosa che va al di là delle sue intenzioni ma che è dovuta solamente a una
questione di potenza mentale: una mente più forte che naturalmente sopraffà
quella più debole (la semi-vita ha una naturale scadenza e pertanto man mano si
esaurisce e indebolisce). <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’evento più importante per lo sviluppo del romanzo
è l’incontro tra Joe Chip (il braccio destro di Runciter) e il nuovo talento
che deve essere assunto nell’organizzazione, Pat Conley. La descrizione di Pat,
invecchiata di cinque anni, nella sceneggiatura si fa più problematica e
minacciosa:<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pat (descrizione nel romanzo):
<i>“non più di diciassette anni, slanciata e
con due grandi occhi scuri, e la pelle color rame. (….) indossava una camicia
di lavoro in un surrogato di tela e un paio di jeans, con due pesanti stivali incrostati
di qualcosa che sembrava vero fango. Un groviglio di lucidi capelli spinto
indietro sulla nuca era annodato con un fazzoletto di seta rossa. Le maniche
arrotolate della camicia mostravano braccia robuste e abbronzate. Alla cintura
di finto cuoio portava un coltello, un telefono portatile, un pacchetto di
razioni d’emergenza e acqua. Sull’avambraccio nudo e scuro spiccava un
tatuaggio. CAVEAT EMPTOR, diceva. Chip si chiese cosa volesse dire.” </i>(p.
40)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pat (descrizione sceneggiatura): <i>“capelli neri, grandi occhi intensi, snella,
sui 23 anni – ma la sua espressione è rigida e affilata, uno sguardo cattivo,
uno sguardo da stronza, uno sguardo che tradisce potere più che calore. È un
viso rannuvolato, oscurato da un’aurea di indifferenze; c’è intelligenza, e la
capacità di essere gentile, ma il motore che lo spinge è teso più al dominio
che alla ricerca di un rapporto con coloro che la circondano. Questa è Pat
Conley. È come se stessimo guardando una ragazza adolescente cresciuta, quanto
a forza e giudizio ma non in saggezza. Più furba e matura delle solite
masticatrici di gomma che si vedono per la strada, Pat si presenta quasi
palpabilmente come una forza con la quale si devono fare i conti”<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Occorrerebbe analizzare nel dettaglio i numerosi
cambiamenti nella sceneggiatura riguardanti i rapporto tra Joe e Pat, qui ne
evidenzieremo solo altri due momenti: <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">-<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 7pt; font-stretch: normal; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il ruolo di Pat, la sua capacità di controllare
il futuro modificando il passato, descritto come un fattore anti-psi necessario
per ristabilire quell’equilibrio messo in crisi dai vari telepatici, precog,
ecc., viene nella sceneggiatura ridotto a una semplice battuta tra Joe e
Ashwood (lo scopritore di talenti): <i>“-
Chip: Runciter non</i> <i>avrebbe dovuto
assumerti a provvigione, Ashwood. Un giorno o l’altro entrerai qui tirandoti
dietro un caprone. (…) Un caprone capace di resuscitare i morti. – Ashwood:
(soddisfatto) un caprone capace di impedire a qualcuno di resuscitare i morti.”
</i>(p. 317) Il ‘pungiglione della morte’ non può essere sconfitto perché è
intrinsecamente legato alla vita, alla possibilità stessa che la vita non cessi
di propagarsi, di continuare a scorrere.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 36.0pt; mso-list: l0 level1 lfo1; text-indent: -18.0pt;">
<!--[if !supportLists]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">-<span style="font-family: "times new roman"; font-size: 7pt; font-stretch: normal; line-height: normal;">
</span></span><!--[endif]--><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’efficacia del potere di Pat viene
subito dimostrato nella riunione con Runciter e l’intero gruppo destinato a
partire per la missione sulla Luna, in un veloce flash Runciter ha
un’allucinazione e viene improvvisamente catapultato in un altro luogo, in una
strada affollata. Al ritorno il passato è stato modificato e si apprende che
Pat e Joe sono già sposati da più di un anno. Nella sceneggiatura l’episodio
‘allucinatorio’ si svolge mentre sono sulla Luna, ed è vissuto in prima persona
da Joe invece che da Runciter.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Un altro punto importante
di divergenza tra i due testi è nella descrizione dello stato di malessere che
subentra nei superstiti dell’organizzazione al ritorno sulla Terra. Nel romanzo
è un susseguirsi ordinato e progressivo di una sensazione di affaticamento che
porterà uno ad uno tutti i protagonisti, ad eccezione di Joe, alla morte.
Emblematico l’episodio che vede l’antiprecog Al Hammond accorgersi di percepire
la realtà in modo diverso da Joe e divenire <i>“cosciente
di un insidioso, filtrante senso di raffreddamento” </i>(p. 146). Al va al
gabinetto dell’albergo, vede la scritta di Runciter in cui dice loro che lui è
vivo e sono loro ad essere morti, e lo fa vedere a Joe dicendogli: <i>“Così ora conosciamo la verità.”</i> (p.
149) Di lì a poco Al morirà, da solo, nel cesso. Nella sceneggiatura è invece
Joe a star male e ad avere percezioni alterate (l’ascensore che regredisce da
moderno ad antico), e sarà lui ad andare nel gabinetto e a trovare la scritta
di Runciter e a farla vedere a Al. E solo allora romanzo e sceneggiatura ritorneranno a coincidere. Al dirà a Joe che adesso
conoscono la verità e a quel punto comincerà a star male e finirà per morire
nel cesso. Nella sceneggiatura Joe sta male da subito e darà la colpa di questo
alla sua volontà di fallimento. Ma la scoperta della verità non lo ucciderà,
saranno gli altri, quelli più sicuri di loro stessi, a morire. Sono proprio
l’insicurezza e il sentirsi continuamente fallito che permette a Joe di
sopravvivere; per lui la verità: il fatto che sono già morti, non lo sorprende,
o quanto meno, non lo coglie impreparato. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Nel finale la storia
cambia completamente; nel romanzo dopo l’ennesimo tentativo andato a vuoto nel
cercare l’Ubik in una farmacia, ormai esausto e sentendosi prossimo alla fine,
Joe incontra alla fermata di un tram una ragazza che gli consegna un pacchetto.
È una bomboletta di Ubik: <i>“Lei mi ha
portato qui dal futuro, grazie a quello che ha appena fatto all’interno di
questa farmacia. Lei mi ha convocato direttamente dalla fabbrica. Signor Chip,
posso spruzzarla io, se lei è troppo stanco.” </i>(p. 252) L’Ubik ridona vita a
Joe che potrà ancora, quando ne avrà necessità, richiamare la ragazza grazie
all’appunto scritto sull’etichetta della bomboletta: <i>“Credo che si chiami Myra Laney. Guarda sul lato opposto del
contenitore per l’indirizzo e il numero di telefono.” </i>(p. 254) L’ultimo
sintetico capitolo ci riporta al mondo dei vivi, nel Moratorium, dove Glen
Runciter richiede di parlare con la moglie Ella. Nel dare una mancia al tecnico
si accorge che le monete portano l’effigie di Joe Chip. Una trasformazione
della realtà era in atto e quello <i>“era
soltanto l’inizio”</i> (p. 256). L’ultima parola del finale è ‘l’inizio’ di una
nuova storia, di un nuovo mondo; probabilmente non più bello né più brutto
dell’altro, comunque diverso. La sceneggiatura rimescola completamente le
carte. Joe non incontra alla fermata del tram una ragazza con l’Ubik, incontra
direttamente Ella che non ha nulla da consegnargli. Insieme si dirigono verso
un locale, il Matador, e nonostante la riluttanza di Joe <i>“Chip: Questo non è il Matador. Ella: L’insegna dice che lo è. Chip:
(afferrandola per un braccio) È la luce
rossa fumosa. Il prossimo grembo… per
te. Quello sbagliato” </i>Ella vi entra e Joe la segue. Nel finale, nel mondo
dei vivi, ci troviamo nel reparto maternità (del Moratorium?) dove la
segretaria di Herbert ha partorito. <i>“Runciter:
È tornata. Ha superato perfettamente il passaggio, e adesso è qui con noi.” </i>L’esperimento
è riuscito. <i>“È chiaramente Runciter a
dirigere le operazioni; questo è un piano suo… per così dire, la sua creatura.”
</i>(p. 491) Ella è tornata in vita, la morte è stata sconfitta, ma il denaro,
anche qui, è denaro Joe Chip! <i>“L’inquadratura
è ancora sulla moneta Joe Chip; diventa un fermo immagine.” </i>(p. 492)
L’ultima sequenza, priva di colonna sonora, è sull’etichetta della bomboletta
spray che recita: <i> IO SONO UBIK, PRIMA CHE L’UNIVERSO FOSSE, IO
SONO. HO CREATO I SOLI. HO CREATO I MONDI. HO CREATO LE FORME DI VITA E I
LUOGHI IN CUI ESSI VIVONO. IO LE MUOVO NEL MODO CHE PIU’ MI AGGRADA. VANNO DOVE
DICO IO, FANNO CIO’ CHE IO COMANDO. IO SONO IL VERBO E IL MIO NOME NON E’ MAI
PRONUNCIATO, IL NOME CHE NESSUNO CONOSCE. IO SONO CHIAMATO UBIK, MA QUESTO NON
E’ IL MIO NOME. IO SONO. IO SARO’ IN ETERNO. Dissolvenza.<o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La sceneggiatura di
Ubik per un film da fare prepara e anticipa il film Valis che ha un ruolo
determinante nel romanzo omonimo del 1978. Noi tutti <i>“facciamo parte di un film” </i>anche se questo è solo <i>“un modo di dire di Berkley”</i><sup>3</sup>
e quando qualcosa interrompe lo scorrere di questa <i>“pellicola che chiamiamo realtà”</i> è importante unire tutti gli
sforzi perché si ricominci <i>“a proiettare
il film”</i><sup>4</sup>. Non c’è nulla dietro la pellicola, tranne una luce,
quella che ci permette di vivere come immagini proiettate su uno sfondo. Tutto
qua! Dopo il 2/3/74 non c’è più commercio possibile di bombolette salvifiche,
non ci può più essere; il mondo è quello di Joe Chip e delle sue nuove monete
falsificate. L’accento si sposta definitivamente sull’infrazione del <i>nomos</i>, della legge.<sup>5 </sup>Nulla
sarà più come prima, nel bene come nel male, le vecchie utopie ridotte a puri
prodotti in vendita anche “on-line” (basta </span><span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">telefonare</span><sup style="font-family: "Times New Roman", serif;">6</sup><span style="font-family: "times new roman", serif; font-size: 12pt;"> direttamente alla
fabbrica se la farmacia ne è sprovvista) sono ormai inefficaci. L’ultima
sequenza in dissolvenza sull’etichetta di Ubik è un addio, una fine; il nuovo
inizio è il fermo immagine sulla moneta Joe Chip: un nuovo modo di vivere, una
nuova forma di vita, tutta da imparare e sperimentare attraverso pratiche di
lotta e resistenza a quella cosa che chiamiamo potere, che ci attraversa e si rifiuta
di ergersi là, dove noi vorremmo che sia, permettendoci così di affrontarlo e,
possibilmente, distruggerlo definitivamente. Dick è uno degli strumenti che, in
questa nuova era, possono esserci più utili in questo difficile compito</span><span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 12pt;">, e
Ubik, nelle sue molteplici sfaccettature, nelle diverse prospettive da cui può
essere osservato: nel romanzo, nella sceneggiatura, nel ruolo che riveste
nell’Esegesi, è, tra le sue opere, forse la più efficace per le domande
necessarie alla costruzione di una nuova forma di vita capace di resistere alla
cieca distruttività di cui ogni potere, che ha saputo sedare ogni forma di
conflitto, è intrinsecamente succube. </span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: Jean-Pierre
Gorin <a href="https://fr.wikipedia.org/wiki/Jean-Pierre_Gorin"><span style="color: blue;">https://fr.wikipedia.org/wiki/Jean-Pierre_Gorin</span></a>
<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 2: P. Williams,
prefazione p. 262 in P. K. Dick, <i>Ubik. Il
romanzo e la sceneggiatura inedita. </i>Fanucci, Roma, 2002<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 3: P. K. Dick, La trasmigrazione di Timothy Archer, Oscar Mondadori, 2000, p. 179.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 4: P. K. Dick,
Scorrete lacrime, disse il poliziotto, Oscar Mondadori, 2000, p.132.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-left: 18.0pt;">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 5:</span><span style="font-size: xx-small;"><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: x-small; line-height: 115%;"> </span><a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2014/08/ubik_30.html" style="font-size: small;">http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2014/08/ubik_30.html</a><span style="font-family: times new roman, serif;"> </span></span><br />
<span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;">Nota 6: In Dick la rete
telefonica è anticipazione della rete informatica (v. <a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/06/telefono.html"><span style="color: blue;">http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/06/telefono.html</span></a></span><span style="font-size: 10pt; line-height: 115%;"> )</span><br />
<br /></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-51262500204816632452018-02-06T11:53:00.000+01:002018-02-06T11:53:21.410+01:00Umano<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-CQFZkPd4IuA/WnjQg0P7BJI/AAAAAAAAE0I/ijuaOQZhTCQabzAZyCi2GE64y6NMBzyGACLcBGAs/s1600/umano.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1286" data-original-width="1000" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-CQFZkPd4IuA/WnjQg0P7BJI/AAAAAAAAE0I/ijuaOQZhTCQabzAZyCi2GE64y6NMBzyGACLcBGAs/s320/umano.jpg" width="248" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Insomma,
dovete tener presente che dopo tutto siamo fatti solo di polvere. Ammetterete
che non è molto se si vuole tirare avanti; e non dovremmo dimenticarcelo. Ma
anche tenendo conto di questo, che non è certo un bell’inizio, non ce la stiamo
cavando tanto male. Insomma, personalmente sono convinto che ce la possiamo
fare anche in questa situazione del cavolo in cui ci troviamo. Mi seguite?” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">LE TRE STIMMATE DI PALMER ELDRITCH</span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
(1964). Detto in altre parole da un altro autore mezzo secolo prima: <i>“’L’uomo è fatto di vile materia!’ Che noi
stendiamo o abbassiamo le braccia, che non sappiamo se volgerci a destra o a
sinistra, che siamo fatti di abitudini, di pregiudizi e di polvere, e tuttavia
avanziamo secondo le nostre forze per la nostra strada; qui sta appunto
l’umano!”</i><sup>(nota 1)</sup> Ma se questo essere polvere non ci impedisce
di percorrere quella strada che sentiamo come umana (se non proprio al di
sopra, comunque altra da quella specificamente animale e istintiva) in che cosa
potremmo distinguere tale natura particolare dalle altre? <i>“-La misura di un uomo non è la sua intelligenza. Non è il livello che
può raggiungere nel sistema dei fenomeni di natura. La misura di un uomo è
questa: con quale rapidità sa reagire ai bisogni di un’altra persona? E quanto di
se stesso può dare? Quando il dare è autentico dare, non riceve nulla in
cambio, o almeno…”-“ </i><b>NOSTRI AMICI DI
FROLIX 8 </b>(1968-9) I nostri amici alieni di Frolix 8 ci forniscono una
risposta saggia, la capacità di aver cura dell’altro è ciò che ci rende umani.
È una risposta che in Dick è già presente fin dai suoi primi racconti come <b>UMANO E’ </b>del 1955 in cui una donna, il
cui marito odioso all’improvviso diviene affettuoso e premuroso, scopre che
questo è dovuto al fatto che un alieno si è sostituito a lui. Sospettato dalla
polizia, la moglie ne garantisce l’identità umana. Essere alieni non preclude
necessariamente possedere quelle caratteristiche che noi attribuiamo, o
vorremmo attribuire, all’umano in quanto tale. Ma Dick ci ha anche abituato a
non renderci le cose troppo facili e tutto si complica quando la natura
dell’altro si configura come artificiale (artefatto, costruito e quindi non
naturale). I replicanti o androidi, sono esseri artificiali, prodotti di
laboratorio, e sono privi di empatia. Se hanno ricordi, emozioni o altro,
questi sono stati implementati, a monte, nel loro programma. E se con gli
animali possiamo provare un certo disagio nello sfoggiare una nostra pretesa
superiorità, in quanto ‘umani’, con degli esseri artificiali, in qualche modo
inautentici, queste remore non possono sussistere. Ma Dick riesce a complicare
anche questo. <i>“-Se risulto essere un
androide,- continuò a dire Phil Resch –la tua fede nel genere umano subirà un
rafforzamento. Ma siccome non credo che andrà così, ti suggerisco di cominciare
a farti un quadro ideologico che giustifichi” </i>la crudeltà e la mancanza di
empatia anche in un essere autenticamente umano,<i> </i><b>MA GLI ANDROIDI SOGNANO LE
PECORE ELETTRICHE?</b> (1966) Un essere che in tutto ci assomiglia, per quanto
crudele possa essere, è giusto che non venga considerato umano? Su quali basi
possiamo farlo? Se non riconosciamo come umano un essere che in tutto è simile
a noi tranne per una presunta natura non umana, come potremmo garantirci di non
essere a nostra volta esclusi, non riconosciuti in base a una qualche altra
presunta differenza? Razza, cultura, religione, colore…<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , sans-serif; line-height: 115%;"><span style="font-size: x-small;">Nota 1: Robert Musil, <i>L'uomo senza qualità. </i></span></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-41674416654986266462018-01-18T18:14:00.000+01:002018-01-18T18:14:37.655+01:00Sofferenza<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-fIL4XQrEW1U/WmDB6U87FnI/AAAAAAAAExc/xvmpzw9allEokDIVpUkOWjG0nJxOhhXPwCLcBGAs/s1600/sofferenza.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="810" data-original-width="987" height="262" src="https://1.bp.blogspot.com/-fIL4XQrEW1U/WmDB6U87FnI/AAAAAAAAExc/xvmpzw9allEokDIVpUkOWjG0nJxOhhXPwCLcBGAs/s320/sofferenza.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Per la generazione del
lavoro precario (e quindi anche dall’esistenza precaria), che caratterizza il
mondo contemporaneo, il vissuto patologico che da ciò scaturisce è fonte di una
incessante sofferenza diffusa. Ma per Franco Berardi Bifo proprio “questa
sofferenza può diventare l’energia da cui ripartire; a cominciare da un’azione
che non è politica ma che è essenzialmente terapeutica.”<sup>1 </sup>Si
potrebbe proseguire con le parole di un personaggio di un racconto di Dick: <i>“Se solo potessimo soffrire- pensò. –È
questo che ci manca: la vera conoscenza del dolore” </i>e ancora: <i>“La sensazione era dolore assoluto… era
questo che lo atterriva, che lo tratteneva. Era incredibile che la gente
potesse deliberatamente cercarlo, invece di evitarlo. Afferrare quelle maniglie
non era certamente l’atto di una persona che cerca di fuggire. Non era la fuga
da qualcosa, ma la ricerca di qualcosa. E non il dolore come tale; Crofts non
era così ingenuo da credere che i merceriani fossero banali masochisti. Era il
significato del dolore che li attirava. I seguaci di Mercer soffrivano per
qualcosa. A voce alta, disse: -Per loro la sofferenza è un mezzo per negare le
loro esistenze private, personali. È una comunione nella quale tutti soffrono e
sperimentano il martirio di Mercer, tutti insieme.- Come l’Ultima Cena, pensò.
Questa è la chiave: la comunione, la partecipazione che sta alla base di tutte
le religioni. O così dovrebbe essere. La religione lega i fedeli in un corpo
unico, lasciando fuori tutti gli altri.” </i><b>I SEGUACI DI MERCER </b>(1964)
Un essere che si vuole privo di sofferenza è per Dick un essere che si
vuole chiudere in sé stesso, che non vuole rinunciare a essere sempre identico
a sé stesso. Pervicacemente incatenato alla propria identità. <i>“-Perché il bambino non parla? Spiegamelo.-
-Per sfuggire alla sua terribile visione, lui torna indietro, a giorni più
felici: i giorni passati nel grembo materno, dove non c’è nessun altro, nessun
cambiamento, non c’è il tempo e non c’è la sofferenza. La vita uterina. Si
dirige là, verso l’unica felicità che abbia mai conosciuto, Manfred si rifiuta
di lasciare quel luogo a lui caro.-“ </i><b>NOI
MARZIANI </b>(1962) Quel “luogo caro” di una corporeità sentita come fortezza
inespugnabile. Abusando ancora di Bifo possiamo concordare con lui che il “rivendicare
il corpo non vuol dire rivendicare l’identità del corpo “ quanto piuttosto
“rivendicarne proprio un divenire l’altro corpo attraverso l’erotismo,
attraverso l’arte, attraverso la terapia, attraverso l’educazione, attraverso
lo scambio culturale…”. La sofferenza è vitale perché fa parte della vita, ci
connette alla vita reale. <i>“Dio mi è
testimone che non volevo soffrire per mano di Pris o di chiunque altro. Ma la
sofferenza era l’indicazione che la realtà restava a portata di mano.” </i><b>L’ANDROIDE ABRAMO LINCOLN </b>(1962) Ma la
sofferenza è ancora qualcosa che va oltre la realtà, che può riunirci a ciò che
non c’è più, che è andato perduto per sempre: <i>“ma soffrire è morire ed essere vivi allo stesso tempo. L’esperienza
più assoluta, più totale che si possa provare. La forza. A volte giurerei che
non siamo stati creati per superare un ostacolo simile. È troppo. Il corpo
arriva quasi a distruggersi, con tutti quei sussulti, quelle contorsioni. Ma io
voglio provare dolore. Versare lacrime. –Perché? – Jason non riusciva a
capirlo; per lui era una cosa da evitare. Appena cominciava a provarla, se la
dava a gambe. Ruth disse: -La sofferenza ti unisce di nuovo a ciò che hai
perso. È una fusione.” </i><b>SCORRETE
LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO </b>(1970).<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: <a href="http://effimera.org/rifiuto-del-lavoro-corporeita-ironia-anna-stiede-intervista-franco-berardi-bifo/">http://effimera.org/rifiuto-del-lavoro-corporeita-ironia-anna-stiede-intervista-franco-berardi-bifo/</a>
<o:p></o:p></span></div>
</div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-3421822026633681292017-12-16T22:51:00.004+01:002017-12-19T20:07:21.598+01:00Philip K. Dick sognatore d'armi e di conflitti <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/--OUzLLv1U2k/WjWPj1JRDKI/AAAAAAAAEtw/Ev08MxTAijYvtB1RisEYMtqmPeV6eQUPgCLcBGAs/s1600/391%2Bc.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1091" data-original-width="787" height="400" src="https://2.bp.blogspot.com/--OUzLLv1U2k/WjWPj1JRDKI/AAAAAAAAEtw/Ev08MxTAijYvtB1RisEYMtqmPeV6eQUPgCLcBGAs/s400/391%2Bc.jpg" width="287" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Paolo Virno parlando del futuro anteriore dice che <i>“nella gran parte delle lingue europee c’è
questo tempo verbale strano, per cui si tratta ciò che deve ancora avvenire
come se fosse un passato (…) in base a questo sguardo postumo rispetto a ciò
che deve ancora avvenire, puoi mettere in moto delle alternative.”</i><sup>1 </sup>Non
credo si possa dare una (involontaria, in questo caso) definizione della
fantascienza migliore di questa. Avrò potuto vivere o sopravvivere in un mondo
totalmente soggiogato dalla scienza e dalla tecnica, o dai conflitti con armi
sempre più distruttive, o in metropoli sempre più affollate, o…? E allora in
base a queste domande coniugate a un futuro che si vuole ipoteticamente già
passato si può <i>“mobilitare dei possibili
proprio perché quello che sembra un futuro lineare è sottoposto a giudizio e,
semmai, mostra di essere meno allettante di quanto possa sembrare”.</i> Ma
questo è solo un aspetto della fantascienza, quello della facciata più nobile,
che si presenta nella fantascienza cosiddetta più matura. Il corpo duro, vero e
proprio fondamento del genere, è quello dei romanzi e racconti pulp, vicini a
quella <i>“cultura di massa che si abbevera
di fumetti, giocattoli, armi e mostri del futuro”</i><sup>2</sup> e qui quel
‘come sarà avvenuto quello che ancora deve avvenire’ sembra aver poca
importanza. Ciò che conta sono le ansie, le aspirazioni come le paure e le
meraviglie, in cui il secolo progressivo novecentesco sembra averci fatto
irrimediabilmente precipitare. Una centrifuga di possibilità carpite da tutti i
futuri possibili per renderci avvezzi a un rapido e onnipervasivo cambiamento
del nostro stare nel mondo. Due modi della fantascienza che si susseguono ma
anche coabitano loro malgrado. Philip K. Dick, scrittore prestato al genere
(voleva fare, essere ben altro, uno scrittore serio, intellettuale apprezzato)
prende entrambi i modi e li rende indistinguibili tra loro. Ma non ne fa una
parodia; quel voler <i>“far intendere ai
suoi lettori che il romanzo di fantascienza deve accettare le sue umili origini
e su di esse costruire un discorso ricco di implicazioni metanarrative e di
suggerimenti etici”</i><sup>3 </sup>va preso molto più alla lettera di quanto
suggerisce Carlo Pagetti. Non di un’umile origine che poi evolve in qualcosa di
più maturo e rispettabile, quanto piuttosto del vero discorso costitutivo del
genere; quello di uno strumento che nella sua apparenza grezza e infantile ci
abitua (ci assoggetta?) a una forma di vita affatto inedita per la storia della
nostra specie. Macchine a vapore, e poi a combustibili fossili, il volo del più
pesante dell’aria, il trasporto della nostra singola voce, la possibilità di
cambiare la notte con il giorno, guerre con armi di distruzione di massa, lo
spazio, l’enorme potenza dell’infinitamente piccolo, l’irrappresentabile
olocausto, e altro ancora nell’arco di poco più di una manciata di decenni.
Nella scala della storia evolutiva dell’uomo un’infinitesimale frazione di
tempo. Da uscirne distrutti o, quantomeno, cognitivamente afasici! La
fantascienza, nelle sue forme plurime (letteratura, cinema, fumetto, giochi e
giocattoli, pubblicità, camuffata da
divulgazione scientifica, ecc.) ha avuto un ruolo essenziale nel passaggio al
tempo del presente ininterrotto in cui stiamo vivendo oggi, e soprattutto ci ha
reso più plastici al susseguirsi dei cambiamenti sempre più accelerati nella
nostra vita quotidiana. Dick ha sognato tutto questo, in stato di trance come
il protagonista di <i>Mr. Lars, sognatore
d’armi</i>, ma al contrario di questi, al posto di entrare nella testa di un
singolo sciroppato autore di fantascienza da quattro soldi è entrato nella
testa di tutti gli scrittori, buoni o cattivi che siano, di fantascienza; ha
rimescolato tutto quel che vi ha trovato
e potuto, e lo ha rivomitato freneticamente sull’immacolata carta bianca
nella sua macchina da scrivere, anche lui, come Mr. Lars, con l’ausilio di
qualche pillola (di troppo). Il suo desiderio di essere serio, di essere
considerato tale (e amato in quanto tale) ha fatto il resto. Un flusso di
storie di filosofia grossolana applicata a quell’enorme vortice di cambiamenti
che stavano precipitando, tutti assieme, sulla testa di quel povero, ancora
molto antiquato, homo sapiens, ne è stato il risultato. <i>Mr. Lars, sognatore d’armi</i> è forse uno dei romanzi che più di ogni
altro si presta a questa funzione di tritatutto. Poco considerato dalla critica<sup>
</sup>giustamente Pagetti lo riscatta in
pieno e ne fa un’apprezzabile lettura densa di spunti e con una doverosa (e
troppo spesso assente in altri traduttori) disamina delle proprie scelte nel
lavoro di traduzione. Quel che più mi interessa qui è però la considerazione
finale di Pagetti sul gioco della Creatura del Labirinto (l’arma empatica che
sconfiggerà gli alieni, e non solo loro) vista come una <i>“straziante metafora della prigione dell’esistenza” </i>quel <i>“Labirinto da cui – come nella vita – non
c’è uscita.”</i><sup>4</sup> È un’interpretazione del dramma esistenziale
dell’essere umano, che pur valida nella sua accezione più generale, rimane
limitata nell’ottica propriamente dickiana. In Dick non c’è esistenzialismo che
tenga. Non c’è rassegnazione. Il gioco della vita non è riconducibile a un
labirinto se non per chi pensa che ci sia comunque una via d’uscita che porti
da qualche altra parte che non sia la vita stessa. La partita, in realtà, si
gioca tutta qui, bella o brutta, questa è l’unica partita che ci è consentita
giocare. Tutto sommato non è poca cosa di fronte al nulla. Dick canta la vita,
tutti i suoi personaggi, nonostante il peso del fallimento che li accompagna
sempre, lottano e per ciò vivono, come parte del processo della vita. Sono
dentro, sono parte di qualcosa che vale la pena di essere indagato, interrogato
e quindi vissuto da pari a pari, da uomo a dio (che poi è la stessa cosa)
nell’infinita povertà, altissima povertà di entrambi. Dick costantemente
interroga il divino da lui stesso immaginato e ‘fecondato’. Mr. Lars interroga
Orville, il derivato industriale di un suo progetto che doveva servire per
costruire un’arma; un po’ come internet che doveva servire a scopi militari per
divenire poi un enorme gioco collettivo. Lars/Dick chiede al buon vecchio
Orville se faceva un errore a compiangere se stesso: <i>“Chi sono io? (…) cosa sono diventato?” “Lei è un reietto. Un
vagabondo. Un esule.” </i>La lapidaria risposta. Ma ancora: <i>“Lei è Waffenlos, disarmato… in senso
figurato e in senso letterale. Lei non produce armi, come la sua ditta finge di
fare ufficialmente. E lei è Waffenlos in un altro senso, più biologico. Lei è
indifeso. Come il giovane Sigfrido, prima di uccidere il drago, beve il suo
sangue e capisce la canzone dell’uccellino, o come Parsifal, prima di
apprendere il suo nome dalle fanciulle dei fiori, lei è innocente. Forse in
senso malvagio.” </i> Le osservazioni di
Pagetti sul sottotesto erotico sono certo pertinenti e la soluzione di tradurre
il sostantivo plowshare (vomere) coniugato da Dick in forma di verbo con
‘fecondare’ rende giustizia della prima traduzione di Galassia che sbrigava la
questione con un fuorviante ‘fare a pezzi’ o ‘amputare’, come se si trattasse
di un tradimento o svilimento del progetto originale dell’arma in una sorta di
sottoprodotto commerciale. Ma in realtà non c’è nulla di erotico in
sottotraccia, è già tutto in superficie, alla luce del sole. E il semi-finale
del romanzo vede il buon vecchio Orville suggerire a Mr. Lars: <i>“si porti questa ragazza in camera da letto
e consumi un rapporto sessuale con lei”</i> in una vera e propria anticipazione
del finale di Eyes Wide Shut di Kubrick. Tutt’altro che un sottofondo, il
sesso, i corpi che si desiderano, si confrontano e soprattutto confliggono sono
al centro di questo vero e proprio dramma sotto mentite spoglie parodiche. Lilo
Topchev non è una semplice amante, l’ennesimo oggetto del desiderio che
sostituisce il precedente corpo usurato dall’abitudine; è la donna, la rivale
che si dimostra capace di fecondare il corpo e lo spirito di Mr. Lars. È sì,
per Dick, l’amore che insieme al potere <i>“governano
la storia dell’umanità”</i>, ma è il conflitto, la capacità di confliggere che
rende possibile quel <i>“principio
risanatore, banalmente definito ‘amore’”.</i><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: Tania Rispoli, <i>Tra teoria politica e antropologia materialistica. </i>Intervista a
Paolo Virno <a href="http://www.filosofia-italiana.net/wp-content/uploads/2016/06/Rispoli_Virno.pdf">(qui)</a> <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 2: Carlo Pagetti, <i>Introduzione</i> in Philip K. Dick, <i>Mr.
Lars sognatore d’armi, </i><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 3: <i>Ibidem<o:p></o:p></i></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 4: Ivi p. 17<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><b>(La trama di Mr. Lars sognatore d'armi <a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/p/ubik.html">(qui al n. 19)</a> </b></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-8546588475043201902017-05-13T10:24:00.002+02:002017-05-13T10:24:59.658+02:00Razionalità <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-9C6FEeGK0tA/WRbCkaehYII/AAAAAAAAEd0/hsaio-PaheQFHJ1y4m-ds-N4xMq041jBACLcB/s1600/x%2B-%2BCopia%2B-%2BCopia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-9C6FEeGK0tA/WRbCkaehYII/AAAAAAAAEd0/hsaio-PaheQFHJ1y4m-ds-N4xMq041jBACLcB/s320/x%2B-%2BCopia%2B-%2BCopia.jpg" width="171" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La razionalità come capacità
umana di andare oltre la pura percezione e di prescindere dallo stato
emozionale per distinguere tra il vero e il falso e di sottoporre a verifica il
risultato raggiunto è il bersaglio principale di gran parte della fantascienza
degli anni ’50 (sia letteraria che cinematografica) indicando nel massimo
risultato che questa facoltà umana ha prodotto, la modernità tecnico
scientifica, la più grande minaccia alla sopravvivenza dell’umanità stessa. La
produzione dickiana di quegli anni, in gran parte racconti, gioca con questa
paura; limitandoci a due esempi: nel racconto <b>NON-O </b>(1958) saranno le <i>“masse
emotive”</i> formate dalla gente comune ad opporsi al mondo della super-logica
(e delle super armi) dei mutanti, esseri “<i>totalmente
logici e privi di qualunque empatia”.</i> Nel racconto del 1955 <b>PSI </b>al posto dell’emotività delle masse,
la donna, essere emotivo per eccellenza <i>“gli
uomini costruiscono le macchine, organizzano la scienza, la città. Le donne
hanno le loro pozioni e le loro misture”</i>. Negli anni ’60 il termine
razionalità e irrazionalità praticamente scompare, occorrerà arrivare alle
opere più tarde per vedere riproporre in forma nuova entrambi i termini: in <b>VALIS</b> (1978) una presenza aliena (o
forse divina) è causa di una esperienza limite per il protagonista Horselaver
Fat, che così la descrive: <i>“l’universo
poteva essere irrazionale, ma qualcosa di razionale era penetrato dentro di
esso, come un ladro di notte penetra in una casa addormentata.”</i> Razionale e
irrazionale non sono più due facili visioni da mettere in contrapposizione, il
problema si complica, la razionalità stessa ha bisogno paradossalmente di una
cosa irrazionale come la fede, come dimostra sempre un personaggio di Valis <i>“Fra tutti noi, Kevin è quello che possiede
meno irrazionalità, e, quel che più conta, più fede.” </i><o:p></o:p></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-45399470315543317952017-05-05T17:34:00.000+02:002017-05-05T17:34:32.399+02:00Tatuaggio<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-71McEFNmQiY/WQujJjDEPyI/AAAAAAAAEdY/95ruNtf9qjc-_kapf0oDRtM_X6XvNZR-ACLcB/s1600/tatuaggio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="235" src="https://2.bp.blogspot.com/-71McEFNmQiY/WQujJjDEPyI/AAAAAAAAEdY/95ruNtf9qjc-_kapf0oDRtM_X6XvNZR-ACLcB/s320/tatuaggio.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Sull’avambraccio
nudo e scuro spiccava un tatuaggio, CAVEAT EMPTOR” </span></i><b><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">UBIK </span></b><span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1966). Direttamente
inciso sul corpo di Patricia Conley, l’ultima neoassunta precog
dell’Associazione Runciter, sta l’avvertenza di porre la dovuta cautela
all’acquisto. Ma Joe Chip non ne conosce il significato e quindi non può
mettere sull’avviso il suo datore di lavoro Glen Runciter. Quasi ad anticipare
la moda dilagante dei nostri giorni, nei romanzi dickiani, i tatuaggi si
affacciano più volte. <i>“Quando vennero
portati panini e caffè e la cameriera se ne fu andata, uno dei ragazzi si girò
sulla sedia per guardarli in faccia. Ragle notò che i tatuaggi sulle guance
riprendevano il disegno sui braccialetti. Osservò quelle linee intricate e
infine riconobbe le figure. Erano state copiate dai vasi attici. Atena e la sua
civetta. Kore che sorge dalla Terra.”</i><b>
TEMPO FUOR DI SESTO </b>(1958).<i> </i>La
mitologia greca, ma ancora risalendo più indietro nel tempo, la figura del
labirinto: <i>“Più avanti c’era una bottega
di tatuaggi, moderna ed efficiente, con una parete interamente illuminata;
all’interno il titolare usava l’ago elettrico senza esercitare attrito sulla
pelle, ma semplicemente sfiorandola mentre disegnava una specie di labirinto.
Perché no? Si disse Eric. Che cosa mi potrei fare incidere, quale motto o
immagine che mi dia sollievo in questo momento insolitamente difficile? In
questo momento in cui aspettiamo che arrivino i listariani a prendersi il
pianeta? Impotenti e spaventati come siamo, diventiamo tutti dei vigliacchi.” </i>(…)
<b>ILLUSIONE DI POTERE </b>(1963). E ancora
il tatuaggio “Persus 9” si ritrova in quel vero labirinto senza uscita che è <b>LABIRINTO DI MORTE </b>(1968). Tatuaggio
come immagine per ottenere sollievo, come avvertimento, minaccia o marchio di
sottomissione alla tirannia di una vita che si avverte essere senza senso e
senza scopo?<o:p></o:p></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-41964709363578564852017-04-27T11:02:00.000+02:002017-04-27T11:02:36.783+02:00Paura<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-w_f8Y0TGxNw/WQGzG0Iu3DI/AAAAAAAAEdI/Q_esGg5GOGsAqCcPgQ2P1bYtBnDhrWdaACLcB/s1600/paura.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-w_f8Y0TGxNw/WQGzG0Iu3DI/AAAAAAAAEdI/Q_esGg5GOGsAqCcPgQ2P1bYtBnDhrWdaACLcB/s320/paura.jpg" width="177" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "Arial","sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Esistono diverse forme di
paure: la paura che ti fa confrontare con la realtà costringendoti a prendere
delle decisioni, che però non sempre possono essere facilmente trasmesse agli
altri, come nel racconto del 1954 <b>COLAZIONE
AL CREPUSCOLO </b><i>“Tim non riusciva a
rispondere. Loro non avrebbero capito, perché non avrebbero voluto capire. Non
avrebbero voluto sapere. Avevano solo desiderio di essere rassicurati. Lo
leggeva nei loro occhi. Paura. Miserabile, patetica paura. Avevano la
sensazione di qualcosa di orribile… e avevano paura. Scrutavano il suo viso in
cerca di aiuto. In cerca di parole di conforto. Di parole che avrebbero
scacciato la loro paura.” </i>C’è la paura che annichilisce, impedendo
l’azione, impedendo di vivere una vita degna di chiamarsi tale: <i>“La paura può portare a commettere più
errori dell’odio o dell’invidia. Se hai paura, non ti butterai mai
completamente nelle braccia della vita. La paura ti spinge sempre a frenarti in
qualcosa.” </i><b>SCORRETE LACRIME, DISSE
IL POLIZIOTTO </b>(1970). E c’è una paura che fa correre all’indietro la
lancetta del tempo, quasi a ripercorrere a ritroso la strada dell’evoluzione:<i> “La paura lo privò della sensazione di
essere umano, di essere un uomo. Non era una paura umana quella, era la paura
di un piccolo animale. Lo rigettò indietro, trasportandolo in ere passate,
Sradicò dal presente il suo io, il suo essere. Dio, pensò Joe, la paura che sto
provando è una paura vecchia di milioni di anni.” </i><b>GUARITORE GALATTICO </b>(1967). E la paura dell’esistenza in sé, quella
che ci portiamo dietro fin dalla nascita, inseparabile compagna della vita: <i>“Quando considero il breve arco della mia
vita, inghiottito nell’eternità che lo precede e lo segue, il minuscolo spazio
che io occupo, o addirittura vedo, sprofondo nell’immensità senza fine di spazi
che non conosco. E che non mi conoscono, provo paura.” (…) “Era paura come
condizione esistenziale assoluta: la base stessa della sua vita. Era stato
separato, strappato via da una qualche fusione che noi non potevamo immaginare…
almeno in quel momento.” </i><b>L’ANDROIDE
ABRAMO LINCOLN </b>(1962). E infine la paura delle creature inermi, che
vorrebbero potersi esprimere, e patire, come gli umani, ma non possono: <b>ROOG </b>racconto del 1953 <i>“Parla della paura; parla della lealtà;
parla di un’oscura minaccia e di una brava creatura che non riesce a comunicare
a coloro che ama la consapevolezza di quella minaccia.” </i>(Philip. K. Dick). <o:p></o:p></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-47345459209526103272017-04-24T10:17:00.000+02:002017-07-23T21:09:23.804+02:00Esegesi 16 - Un primo bilancio <div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/--ljsISNCmm4/WO0JGKW7CsI/AAAAAAAAEbw/sweWmc3mBhoXwPSJvRQong5mu9nBKqUdwCLcB/s1600/16.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="282" src="https://4.bp.blogspot.com/--ljsISNCmm4/WO0JGKW7CsI/AAAAAAAAEbw/sweWmc3mBhoXwPSJvRQong5mu9nBKqUdwCLcB/s400/16.jpg" width="400" /></a></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<i>"L'opera è qualcosa di più dell'opera:</i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<i>il soggetto che scrive fa a sua volta</i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<i>parte dell'opera."</i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<i>Michel Foucault</i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<i><br /></i></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ho provato, nelle quindici puntate precedenti, a
sondare alcuni possibili percorsi da intraprendere per cominciare a orientarsi
nell’intricata materia mentale dell’Esegesi dickiana. ‘Autolavaggio
spirituale’, ‘montagna di spazzatura’, comunque la si voglia definire questo
enorme lavorio intellettuale che Dick ha partorito nelle notti che dalla sua
esperienza del 2.3.74 proseguiranno fino alla sua morte nel marzo del 1982,
difficilmente possono essere liquidate come farneticazioni di una mente
psicotica o in preda alle allucinazioni derivate da farmaci e droghe.
Comparando questo enorme flusso di coscienza narrativa con le sue opere risulta
impossibile non vederne i forti intrecci che li legano assieme. Quella
narrativa che Antonio Caronia non ha esitato a definire, senza mezzi termini,
filosofica è un dispositivo capace di interrogarci sull’oggi più di quanto
facciano tanti discorsi più propriamente filosofici. Come ha scritto Michel
Foucault: <i>“L’uomo di lettere, colui che
scrive, nella nostra società, è come il folle del re; perché, dopo tutto, che
cos’è la letteratura? Un uomo di lettere, un romanziere, inventa una storia,
non racconta la storia, non dice le cose, dice qualcosa che non esiste, parla
nel vuoto. Tuttavia la parola letteraria è fatta per svelare qualcosa che la
pesante gravità dei nostri discorsi filosofici non può dire, e questo qualcosa
è una specie di verità al di sotto della verità. Sapete bene, dopo tutto, che
il destino degli uomini è stato descritto meglio da un romanziere o da un uomo
di teatro che non da filosofi e scienziati”. </i>Una verità sotto la verità,
quella che ci governa, che agisce nelle nostre vite, nei nostri corpi. Scrivere
per la verità, come ha dichiarato di fare lo stesso Dick, comporta vivere una
vita senza protezioni, utopiche o trascendentali che siano; significa oggi, in
un mondo, un po’ troppo frettolosamente definito come disincantato, attrezzarsi
per costruirci una sorta di ‘materialismo dalle spalle larghe’, un materialismo
paradossalmente spirituale. E Dick è uno di quegli artigiani, che sembrano
provenire dal futuro per rifornirci degli strumenti necessari a far si che al
nostro presente non succeda di regredire nel passato come tragicamente succede
nel mondo di Ubik. La funzione dell’autore, o meglio, la funzione-autore (è lo
stesso Dick che dubita si possa parlare dell’esistenza dell’autore in quanto
tale) sembra essere proprio questa:
rendere conto delle proprie esperienze, per Dick quella cosiddetta ‘mistica’
del 2.3.74, (ma per altri possono valere diverse esperienze limite o vissute
come tali) sapendo che sarà un tentativo fallimentare ma che comunque deve
essere fatto. Perché questo è l’unico modo per ottenere un mutamento spirituale
per essere capaci di crescere cambiando. Che Philip K. Dick nell’ultima fase
della sua vita si sia fatto prendere da manie religiose è un favola; il
religioso, la fuga dalla realtà, la trascendenza consolatoria alligna in tanti
contesti, anche in quelli reputati più laici, di quanto non sembri. Ma proprio
in questa mole di interrogativi, di messa in discussione dei propri credi,
delle proprie e altrui teorie, esaltazioni di risposte trovate e delusioni
conseguenti, si tocca con mano la capacità e il coraggio di avere un rapporto
con la realtà, nella coscienza che per quanto illusoria questa possa essere, i
suoi effetti su di noi sono indiscutibilmente reali. Scetticismo e pragmatismo
sono indubbiamente inscindibili in Dick. Non c’è nessun ‘pacco’ di cose inutili in Dick; che ci piaccia o no
continuiamo (pur se spesso a nostra insaputa) a interrogarci sul senso, sul
significato e il destino della nostra vita. È un’interrogazione destinata al
fallimento, ma senza questo fallimento continuo, la vita cessa di esistere. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Si interrompe qui questa prima parte di questo lavoro, si riprenderà a SETTEMBRE con un "<b>Indice analitico ragionata dell’Esegesi</b>". Un elenco di voci che
cercheranno di mettere in evidenza alcuni tra i temi più importanti che
attraversano l’Esegesi: <i>amore,
arborizzazione, campo, causalità, computer, conoscenza, Dio, entropia,
esperienza, evento, evoluzione, fantascienza, figura/sfondo, film, filosofia,
futuro, identità, informazione, labirinto, libertà, logos, marxismo, memoria,
mimetismo, misteri, ologramma, paradosso, psicosi, realtà, sofferenza, sordo,
tempo, verità e forse qualcun altro ancora.</i><o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<b><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></b></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-20649035706671919692017-04-20T09:59:00.000+02:002017-04-20T09:59:25.086+02:00Spaesamento <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-OCGRJm8HMnc/WPfNYkH6OYI/AAAAAAAAEcw/_OIIIj1eMjI5Al8Iq2Hpn-1gTmWEUcOXgCLcB/s1600/spaesamento.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="239" src="https://3.bp.blogspot.com/-OCGRJm8HMnc/WPfNYkH6OYI/AAAAAAAAEcw/_OIIIj1eMjI5Al8Iq2Hpn-1gTmWEUcOXgCLcB/s320/spaesamento.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">"-Qualcosa non va- affermò Ragle.</span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">-Non dico in te, in me o in altre persone.</span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Dico in generale.- -Il tempo- citò Ragle</span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">è fuor di sesto.-"</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b>Tempo fuor di sesto </b>(1958)<i> </i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Eccolo.
Impresso a caratteri neri sulla carta giallastra. Lo sfiorò con le dita,
muovendo le labbra in silenzio. Avevano chiamato suo padre Donald anziché Joe.
E l’indirizzo era sbagliato. Il 1386 di Fairmount Street invece del 1724 di
Pine Street. Il nome di sua madre era indicato come Sarah Barton, mentre era
Ruth. C’era tuttavia la cosa fondamentale. Theodore Barton, del peso di tre
chili e mezzo, venuto alla luce al Country Hospital. Anche questo era sbagliato
però. Era una notizia alterata, distorta. Ogni cosa era stata deformata.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">LA CITTA’ SOSTITUITA </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1953)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Piccole cose, dettagli,
particolari che non quadrano. Sono questi i sintomi di una malattia che ha per
oggetto il mondo in cui viviamo; che dovrebbe avere un aspetto che ci
rassicura, ci conferma e che invece all’improvviso apre delle crepe, piccole
fessure da cui sembrano trasparire scenari inconsueti o incoerenti. Lo sfondo
in cui si colloca il nostro operare non sembra essere più lo stesso. Non più
ovvio.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Tutto
sembrava sotto controllo. Sembrava… ma c’era qualcosa che non andava. Hamilton
ne era convinto. Dentro di lui c’era la netta, sgradevole sensazione che
qualcosa di importante fosse fuori posto.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">L’OCCHIO
NEL CIELO </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1955)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Avanzò
lentamente ed entrò nell’ufficio interno. L’ufficio era stato cambiato. Ne ero
certo. Alcune cose erano state alterate, mutate, riordinate in altro modo.
Niente di ovvio, niente su cui potesse puntare il dito. Ma sentiva che era
qualcosa di diverso.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> SQUADRA RIPARAZIONI racconto </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1954).<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“-Sono
in un mondo sfasato- pensò. –Le cose stanno diventando strane.-“ </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">DIVINA INVASIONE </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1980)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Ma la cosa più inquietante
in tutto questo è che i meccanismi di difesa, le strategie per riconquistare
l’ovvio della vita, cioè l’abitudine delle cose consolidate, che sono così
perché sono sempre state così, sembra essere in definitiva solo una strategia
volta più a riconquistare l’illusione della realtà che la realtà vera e
propria.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Quello
che mi spaventava a questo punto, pensò, è guardare fuori dalla finestra del
mio appcon discreto e defilato e vedere l’uomo di Pechino che passeggia sul
marciapiede, non da solo ma accompagnato da altri come lui.
Decise di non guardare, tanto per restare al sicuro. Di non affacciarsi
per un po’. Invece si concentrò su quel che restava della sua colazione, per
quanto insipida fosse diventata. Un compito da niente, ma familiare; lo aiutava
a ripristinare la qualità simmetrica della realtà.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">SVEGLIATEVI DORMIENTI </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1963)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il familiare non è la
certezza del vero, è solo la consuetudine dell’abitudinario. Una diga, una
barriera nei confronti di una realtà incerta, non scontata che incombe e può
esondare. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Sentiva
in testa voci che cantavano sonore: una musica tremenda, come se la realtà che
lo circondava fosse inacidita. Ora ogni cosa – le automobili veloci, i due
uomini, la sua stessa auto con il cofano alzato, l’odore dello smog, la luce
luminosa e calda del mezzogiorno – tutto era diventato rancido, come se il suo
mondo si fosse tutto putrefatto. Non tanto divenuto all’improvviso, a causa di
tutto ciò, pericoloso o spaventoso, ma piuttosto come se fosse nell’atto di
marcire, sprofondare alla vista al suono all’odore. Sentiva voglia di vomitare,
e chiuse gli occhi e rabbrividì.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">SCRUTARE</span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> <b>NEL BUIO </b>(1973)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Il mondo non più appaesato
non è un mondo falso, distorto, ma è al contrario il mondo che torna ad essere
se stesso. L’umano che lo abita e lo rende abitabile deve sforzarsi e
concentrarsi per farlo rimanere così come siamo abituati che sia.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Avvertì
il vuoto in modo ancora più acuto, perché attorno a lui ogni cosa era
deteriorata.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Dove
sono? Fuori dal mio mondo, dal mio spazio e dal mio tempo.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Questa
condizione ipnagogica. La capacità di concentrazione diminuisce e prevale uno
stato crepuscolare; il mondo visto semplicemente sotto i suoi aspetti
simbolici, archetipici, del tutto confuso con il materiale inconscio. Tipico
del sonnambulismo provocato dall’ipnosi. Devo smetterla con questo scivolare in
mezzo alle ombre; rimettere a fuoco la concentrazione e quindi ristabilire il
centro dell’ego.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">LA
SVASTICA SUL SOLE </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1961)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="line-height: 115%;"><i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">"-C'è qualcosa che non va- disse Barton, scosso.</span></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<span style="line-height: 115%;"><i><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;">Cominciò a tremare. -C'è qualcosa di orribilmente sbagliato.-"</span></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<span style="line-height: 115%;"><span style="font-family: "arial" , "helvetica" , sans-serif;"><b>Tornando a casa</b><b style="font-style: italic;"> </b>racconto (1959)</span><i style="font-family: "Courier New", Courier, monospace;"> </i></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-16541253247960680622017-04-17T10:07:00.000+02:002017-04-17T10:07:11.781+02:00ESEGESI 15 - La morte stessa morirà<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-_E7eIh4pkrE/WO0JVoLUu2I/AAAAAAAAEb0/qLHKTnll6Ys28ChA3aEBiM7osIH2gKHWwCLcB/s1600/15.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-_E7eIh4pkrE/WO0JVoLUu2I/AAAAAAAAEb0/qLHKTnll6Ys28ChA3aEBiM7osIH2gKHWwCLcB/s320/15.jpg" width="299" /></a></div>
<br />
<br />
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“La
morte stessa uccisa; la morte stessa morirà. Il miracolo promesso è alla fine
giunto, nel tempo lineare.”</span></i><sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(941) </span></sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">‘Morte
dov’è il tuo pungiglione? Tomba dov’è la tua vittoria?’ il leitmotiv paolino
della ‘Lettera ai Corinzi’ che riverbera in numerosi romanzi dickiani cerca
costantemente la sua risoluzione nelle infinite pagine dell’Esegesi: <i>“Siamo addormentati, ma stiamo per
svegliarci. ‘Non dormiremo tutti, ma saremo cambiati in un momento, in un
batter d’occhio… e poi giungeremo a superare le parole che sono scritte: ‘Morte
dov’è il tuo (…)’”</i><sup>(941) </sup>La promessa della morte, della stessa
morte che cerca il suo avveramento: essere incinta di nuova vita, <i>“la vecchiaia è gravida, la morte è incinta,
tutto ciò che è limitato e caratteristico, fisso e pronto, precipita nel
‘basso’ corporeo per essere ripreso e rinascere.”</i><sup>1 </sup> Il ‘basso’ dickiano è il kipple, la
spazzatura, l’immondizia, dove spesso Dick afferma vi trovi rifugio, alberghi
il sacro. Non c’è risposta fuori dal verminaio della vita, dove morte e nuova
vita si rincorrono in un ciclo ininterrotto. Il sacro non può prescindere dal
terreno sporco e contaminato dell’umano. <i>“Nel
momento stesso in cui cedo alla tentazione di rispondere alla domanda: tu come
te lo immagini l’al di là?, lo immagino sotto la suggestione che fa parte della
cultura di un mondo di viventi. E non esco da questa prigione. Da questa
prigione non è dato uscire se non contro la nostra volontà, con la morte.”</i><sup>2
</sup>E Dick è un o di quelli che non cede a questa tentazione. Non c’è né nei
suoi romanzi né nei suoi scritti più privati, come l’Esegesi appunto, alcuna
visione oltremondana. La morte non è una porta verso l’al di là, è sempre un
morire interno alla vita. L’unico possibile superamento dell’eterno rincorrersi
della vita con la morte è nella promessa offerta dal tempo lineare (il tempo
dell’Occidente) di una fine dei tempi da realizzarsi con la resurrezione
cristiana, piuttosto che con la realizzazione dell’utopia marxiana (la fine
della storia ecc.). Ma, appunto, sono promesse e per di più consumate, ormai
usurate tanto quanto l’idea di un tempo lineare, progressivo, il cui vero
rischio è inevitabilmente quello della morte della morte e conseguentemente
della stessa vita. Insomma, la morte pare non essere qualcosa di poi così
imperituro; va protetta e vanno difesi i suoi prodotti: i morti. Di questi
morti noi siamo i custodi e di questi morti noi siamo fatti. <i>“Noi consistiamo di milioni di strati di
accrescimento formati (aggiunti) nel corso di migliaia di anni: siamo come
cirripedi. Viaggiamo lungo quest’asse spaziale di strati di depositi uno sopra
l’altro e non facciamo che crescere e crescere (‘l’uomo contiene – non il
bambino – ma l’uomo antecedente’ afferma Joe Chip</i><sup>3</sup>…<i> e a ragione!)</i><sup>375<o:p></o:p></sup></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: Michael Bachtin, L’opera di Rabelais,
Einaudi, 19 p. 61<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 2: dall’intervista di Fausta Leoni a Ernesto De
Martino in <i>Religioni Oggi</i> 1968<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 3: protagonista del romanzo <i>Ubik </i>(1966).<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><b>Tra 7 giorni: L'Esegesi 16 - Un primo bilancio</b></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-45021035734931556322017-04-13T10:16:00.002+02:002017-04-13T10:16:47.435+02:00Manualità<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-7z2KNSnbElw/WNog2ARWB4I/AAAAAAAAEak/C-e8zvwy6H0pxBKqpUzurF-ICnXLhR_zwCLcB/s1600/458%2B-%2BCopia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-7z2KNSnbElw/WNog2ARWB4I/AAAAAAAAEak/C-e8zvwy6H0pxBKqpUzurF-ICnXLhR_zwCLcB/s320/458%2B-%2BCopia.jpg" width="290" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Avere una buona manualità,
un sapere incorporato che si esprime al massimo grado nell’uso esperto delle
proprie mani nel costruire un manufatto, o nel ripararlo, in un mondo sempre
più tecnologizzato, non è più un requisito indispensabile per poter salire la
scala sociale. <i>“I lavori manuali non
godono di grande considerazione. Perché non ti dedichi a qualcosa di
intellettuale? Non sarebbe meglio se tornassi a scuola e ti prendessi una
laurea?” </i><b>CRONACHE DEL DOPOBOMBA </b>(1963).
Il sapere manuale può addirittura essere visto come un pericolo, un’abnormità: <i>“Quest’uomo è diverso. Sa aggiustare tutto,
fare tutto. Non si serve della conoscenza, della scienza, cioè di una serie di
nozioni ordinatamente classificate. Non sa nulla. Nella sua testa non esiste
alcuna traccia di cultura, di preparazione. Lavora per intuizione… il suo
potere è nelle sue mani, non nella sua testa. È una specie di jolly, un
factotum. Le sue mani! Come un pittore, un artista. Tutto nelle sue mani…” </i><b>L’UOMO VARIABILE </b>racconto del 1953. Può
addirittura fomentare rivolte, come in <b>VULCANO 3 </b>(1959-60): <i> “-Porrà termine alla setta della tecnocrazia?-
domandò Fields. –Il mondo non deve essere più forgiato a misura di soli
esperti, gestito da e per coloro che vedono nella conoscenza verbale l’unica
religione. Sono più che stufo di quella roba mentale; mi dà la nausea… Come se
abilità manuali quali tirare su un muro non possono costituire un degno
argomento di conversazione. Come se tutta la gente che lavora con le mani…- Si
interruppe. –Sono stanco di vedere sminuito questo genere di persone.-“ </i>Oppure
può essere un buon motivo per andarsene, evadere in un altro mondo, un’utopia
che potrebbe però rivelarsi, alla fine, un incubo: <i>“Vuoi cominciare una nuova vita, per servirti della tua mente e delle
tue mani, dei doni che Dio ti ha dato? Pensaci, amico, pensaci bene. Che cosa
te ne fai di quelle mani, di quelle capacità, in questo momento? Eh? Che cosa
te ne fai?- Cosa se ne stava facendo lui? Premeva bottoni con le mani, bottoni,
uno dopo l’altro, quando si accendeva una luce verde sul cruscotto. Lavoro di
verifica e manutenzione, in una linea automatica pubblica. Bottoni, luci verdi,
bottoni. Un lavoro che qualsiasi macchina avrebbe fatto meglio di lui. E, in
effetti, c’era una macchina che accendeva luci verdi, e un’altra macchina che
controllava se il suo lavoro veniva svolto nella maniera migliore, e un’altra
macchina…” </i><b>UTOPIA, ANDATA E RITORNO </b>(1963).
La manualità ha un gran peso nell’opera di Dick; come scrive Antonio Caronia:<sup>
</sup><i>“La sua narrativa abbonda (…) di
artigiani: gente che lavora la materia (dal legno, ai metalli, all’argilla),
riparatori, intagliatori, bricoleurs, vasai. (…) Insomma, non ‘belle arti’ ma
‘arti applicate’ (come si sarebbe detto ancora cinquant’anni fa). È un campo di
attività in cui confluiscono abilità tecniche, e anche artistiche ma, Dick ne è
convinto, non capacità scientifiche.”</i><sup> 1 </sup>Ma questo non deve farci
cadere nell’equivoco di un Dick arcaico, che vuole tornare ai vecchi
consolidati valori del passato. Un Dick recalcitrante a voler entrare nella
modernità; anche l’esaltazione della manualità può aver fini ben poco nobili: <i>“Un giorno venne il dottor Todt e ispezionò
quello che aveva fatto il nostro gruppo. E mi disse: -Hai delle buone mani-. È
un grande momento, Juliana. La dignità del lavoro; le loro non sono semplici
parole al vento. Prima di loro, prima dei nazisti, tutti guardavano dall’alto
in basso il lavoro manuale; anch’io. Aristocratici. Il Fronte del Lavoro ha
posto fine a tutto questo. Per la prima volta ho visto le mie mani.” </i><b>LA SVASTICA SUL SOLE </b>(1961). Ma forse
in Dick più che un ipotetico rifiuto della scienza o del mentale c’è il rifiuto
di considerare questi come incorporei, immateriali, pure astrazioni. Il sapere,
che ci piaccia o no, è sempre qualcosa che si fa corpo. In alternativa c’è solo
la malattia, come nel pianista Kongrossian <b>I
SIMULACRI </b>(1963) che con la forza del pensiero sostituisce le mani per
suonare, ma che inevitabilmente sprofonda nell’<a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/10/invisibilita.html">invisibilità</a>.<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: Antonio Caronia e
Domenico Gallo, <i>Philip K. Dick. La
macchina della paranoia, </i>Agenzia X, Milano, 2006, p.101.<i><o:p></o:p></i></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-91155292583658195482017-04-10T10:30:00.001+02:002017-04-10T10:30:21.729+02:00ESEGESI 14 - Tracce di memoria dal futuro<div class="MsoNormal">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/--zlOjhiRbb4/WNonrx6H9-I/AAAAAAAAEa8/8UoH3gLzEkcUe0NEFCD09dH8iBzhfdwJwCLcB/s1600/14.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="190" src="https://1.bp.blogspot.com/--zlOjhiRbb4/WNonrx6H9-I/AAAAAAAAEa8/8UoH3gLzEkcUe0NEFCD09dH8iBzhfdwJwCLcB/s400/14.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
</div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Ci
stiamo facendo il culo al servizio di qualche struttura assoluta, scopo, meta o bisogno; forse quello
che ho visto è una creazione continua e noi siamo operai involontari collocati
qua e là, come un milione di api attorno alla struttura, che martelliamo e
seghiamo mettendocela tutta, e il progetto non ci è visibile (lo è solo
all’architetto). Le nostre istruzioni sono in un qualche modo dentro le nostre
teste… ho la netta intuizione, probabilmente giusta, che la nostra serie
originale di engrammi, i molti programmi messi in cantiere e poi inibiti alla
nascita, vengano continuamente aggiornati
e raffinati durante il sonno; mentre ognuno di noi dorme viene istruito
attraverso lo stato del sogno: nel complesso le persone sembrano non
soffermarsi mai sul fatto che molto spesso sembra che i sogni abbiano a che
fare con il futuro. La ragione è ovvia: è nel futuro che i compiti di cui ci
informano i sogni avranno luogo.”</span></i><sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(128)</span></sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">
Gli engrammi sono tracce di memoria, <i>“modificazioni
che avvengono nel cervello, sia fugaci sia durature, che risultano dalla
codificazione neuronale di un vissuto”. </i>Praticamente
si possono definire come contrassegni di un determinato evento e
contribuirebbero <i>“a rappresentare quel
che noi soggettivamente viviamo come ricordo di qualcosa”.</i><sup>1 </sup>Ovviamente
coabitano dentro il nostro cervello milioni di questi engrammi e il problema,
che la scienza non ha ancora risolto, è di come alcuni di essi possano passare
da uno stato di inattività latente a uno stato di attività che ci fa ricordare
un dato evento. Questa attività cerebrale che per la scienza collega il passato
con il presente per Dick collegherebbe il futuro con il presente. Queste
istruzioni vengono reiterate nei sogni allo scopo di ripetere l’addestramento
originale, quello che ci porterà a reagire in un dato modo quando un segnale
apposito nell’ambiente ce lo segnalerà. Se per un errore si dovesse mancare un
segnale spunterebbe <i>“fuori un intero universo alternativo”.</i><sup>(129) </sup>Quindi l’engramma sarebbe un programma
che dal futuro verrebbe a implementarsi nel passato di una persona per poter
farla reagire in un dato modo in un determinato tempo. Un percorso prestabilito
tracciato dai segnali necessari. La cosa importante però è che sono segnali
disinibitori, cioè non innescano riflessi condizionati ma servono a portare
alla memoria un addestramento (programma) originario, quel che si deve fare in
quell’occasione. Tutto sommato un sistema alquanto macchinoso <i>“un modo tutt’altro che economico e ordinato
per Dio di gestire le cose.”</i> In definitiva una programmazione troppo
incline alla possibilità di un errore (di una libera scelta dell’individuo?).<o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: Nicolas Pethes, Jens Ruchatz, <i>Dizionario della memoria e del ricordo, </i>Bruno
Mondadori, Milano 2002, p. 164.<o:p></o:p></span><br />
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span>
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><b>Tra 7 giorni: ESEGESI 15 - La morte stessa morirà</b></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-78627655501929170472017-04-06T09:50:00.001+02:002017-04-06T09:50:56.033+02:00Telepatia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-onn1ESzhdYk/WNohcPy_6hI/AAAAAAAAEas/YRseEiulo6gUoVfft2kriJaik4rwa-1wgCLcB/s1600/telepatia.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="265" src="https://4.bp.blogspot.com/-onn1ESzhdYk/WNohcPy_6hI/AAAAAAAAEas/YRseEiulo6gUoVfft2kriJaik4rwa-1wgCLcB/s400/telepatia.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">La telepatia è un tema in Dick che ha una grossa affinità con quello
della <a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2017/03/paranoia.html">paranoia</a>: <i>“-Noi
schizofrenici abbiamo questo problema, captiamo l’ostilità inconscia degli
altri.- -Capisco. Il fattore telepatico. Con Clay andò sempre più peggiorando
finché…- Lo guardò. –L’esito paranoide.- -È la cosa peggiore della nostra
condizione, questa coscienza del sadismo e dell’aggressività sepolti e rimossi
negli altri intorno a noi, perfino negli estranei. Come vorrei che non
l’avessimo, lo percepiamo perfino nei ristoranti…-“ </i><b>NOI MARZIANI </b>(1962). Il telepate è effettivamente un mestiere molto
difficile, in cui la capacità acquisita tramite l’addestramento e il duro
lavoro risultano importanti forse ancor più delle potenzialità innate: <i>“Un telepate doveva imparare ad avere la
pelle robusta. In pratica, doveva imparare a sintonizzarsi sui pensieri consci,
positivi, di un individuo, tralasciando la mistura assortita dei suoi processi
mentali inconsci. Sbirciando in quella regione, si poteva trovare praticamente
di tutto… e quasi in chiunque. Ogni dattilografo che transitava per il suo
ufficio aveva pensieri fuggevoli di distruggere il proprio superiore per
prendere il suo posto… e alcuni miravano anche più in alto; strutture mentali
ricche di fantastiche illusioni personali esistevano anche negli uomini e nelle
donne più miti…” </i><b>NOSTRI AMICI DI
FROLIX 8 </b>(1968-9). E forse in realtà la telepatia è qualcosa che tutti
possono imparare: <i>“Secondo la teoria di
convergenza di Balkani, esisteva una scorciatoia che consentiva un contatto tra
le particelle di materia a prescindere dalla distanza che le separava. Era
attraverso questo punto di convergenza che le vibrazioni dell’aura si
trasformavano in telepatia a largo raggio. Quindi, sempre secondo questa
teoria, Balkani era riuscito ad addestrare un discreto numero di persone – tra
cui Percy X – rendendole capaci di penetrare la mente anche a distanze
considerevoli. Di fatto, però, la teoria implicava che chiunque, nelle
condizioni adeguate, avrebbe potuto stabilire un contatto telepatico. In fin
dei conti tutti hanno una relazione con il punto di convergenza.”</i><b> LA CONQUISTA DI GANIMEDE </b>(1964).
Oppure si può acquisire per caso: <i>“Con un
sospiro, il signor Lee disse: -La scatola empatica l’ha trasformata per un
momento in un telepate involontario. È stato un colpo per lei.- Gli batté sulla
spalla. –La telepatia e l’empatia sono due versioni della stessa cosa.” </i><b>I SEGUACI DI MERCER </b>racconto del 1964.
Ma per i telepati di mestiere non è solo un lavoro duro e faticoso, è anche un
mondo, una forma di vita da cui è impossibile separarsi (e nel caso lo fosse
sarebbe estremamente doloroso): <i>“Dai suoi
occhi trapelava una sofferenza interiore. –Ormai è finita, è come diventare
improvvisamente ciechi. Dopo l’intervento ho urlato e pianto per un sacco di
tempo. Non riuscivo ad abituarmi e sono crollata.-“ </i><b>LOTTERIA DELLO SPAZIO</b> (1953-4). In ogni caso la telepatia vista da
quelli che ne sono privi, risulta essere un potere malvagio e opprimente: <i>“-Tutti odiano i Tel- disse Sally. –È un
potere cattivo, sporco. Scrutare nella mente degli altri è come guardarli
quando fanno il bagno o si vestono o mangiano. Non è naturale.- Curt sorrise.
–Sono diversi dai Precog? Non puoi definire naturali nemmeno i nostri poteri.-
-La precognizione ha a che fare con eventi, non con persone- disse Sally.
–Sapere cosa sta per succedere non è peggio del sapere quello che è già
successo.-“ nel racconto </i><b>IL MONDO
DEI MUTANTI </b>(1954). E ancora: <i>“-Sto
captando molte stranezze nella sua mente- -Esca dalla mia mente- ribatté brusco
Jason, con un senso di repulsione. Non gli erano mai piaciuti i telepati
impiccioni, spinti solo dalla curiosità, e quel tipo non faceva eccezione.” </i><b>SCORRETE LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO </b>(1970).
Ovviamente c’è anche chi si serve dei telepati, come, ad esempio, la polizia: <i>“Un poliziotto stava estraendo una barretta
telepatica, un sensore che avrebbe captato e registrato i suoi pensieri per dar
modo alla polizia di controllarli.” </i><b>GUARITORE
GALATTICO </b>(1967). Se ne servono perfino quelli che combattono i mutanti: <i>“…i castrati telepatici tollerati perché
erano utili nella difesa contro altri mutanti.” </i><b>LE ILLUSIONI DEGLI ALTRI </b>racconto del 1957. Ma per chiunque, anche
per chi non ha nulla da nascondere, l’idea di poter essere violati nel luogo
ritenuto più sacro e intimo, la nostra mente, risulta intollerabile: <i>“-Le abbiamo inserito nella testa un
trasmettitore telepatico che ci tiene costantemente informati.- Un
trasmettitore telepatico, fatto con un plasma vivo che era stato trovato sulla
Luna. Rabbrividì di disgusto. Quella cosa viveva dentro di lui, dentro al suo
cervello, si nutriva, ascoltava, si nutriva…” </i>nel racconto del 1966 <b>MEMORIA TOTALE</b>. E allora ecco che,
anche sapendo di fare una cosa illegale, la voglia di opporsi, di resistere si
fa avanti, costi quel che costi: <i>“SALVE!
QUESTO SCHERMO ANTISONDA LE VIENE INVIATO COI COMPLIMENTI DEL FABBRICANTE E
NELLA SINCERA SPERANZA CHE POSSA ESSERE DI QUALCHE VALORE PER LEI. GRAZIE.
Nient’altro. Nessuna ulteriore informazione. Aveva riflettuto a lungo. Doveva
metterlo? Non aveva mai fatto niente. Non aveva fatto nulla da nascondere,
nessuna slealtà all’Unione. Però l’idea lo affascinava. Col cappuccio, la sua
mente sarebbe stata soltanto sua. Nessuno avrebbe potuto scrutarla. La sua
mente sarebbe di nuovo appartenuta a lui, privata, segreta. Avrebbe potuto
pensare come preferiva: una successione sterminata di pensieri a uso e consumo
suo, e di nessun altro.” </i><b>IL
FABBRICANTE DI CAPPUCCI </b>racconto del 1955. <o:p></o:p></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-1022850964516521082017-04-03T09:41:00.001+02:002017-04-03T09:41:32.165+02:00ESEGESI 13 - Oh Ho, Oh On<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-AfmDIS4zzSw/WNAlAmwZV7I/AAAAAAAAEZ0/AufLSMHoU3EDbNBdYcEQFGR-veRiRxCNwCLcB/s1600/13.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="217" src="https://1.bp.blogspot.com/-AfmDIS4zzSw/WNAlAmwZV7I/AAAAAAAAEZ0/AufLSMHoU3EDbNBdYcEQFGR-veRiRxCNwCLcB/s400/13.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Ci
chiama alla ribellione<o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">per
la libertà,<o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">il
piccolo vaso d’argilla<o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">che
ha forgiato l’universo.”</span></i><sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(859)<o:p></o:p></span></sup></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Adoreremo
il potere per sé, confondendo il potente con il sacro? Tutto quello che è
colossale è un inganno. Nella spazzatura rifiutata scintilla la piccola,
assennata, limpida voce. Possiamo ignorarla e adorare il potere. Ma l’ironia è
che l’adorazione del potere ci deruba del nostro stesso potere: è tutto
debitamente preteso da YHWH</span></i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">.<sup>1 </sup><i>Adorare il potere esterno significa perderlo da sé, la disparità
diviene assoluta. Ho On aveva ragione: il vaso più umile è quello davvero più
sacro.”</i><sup>(467)</sup> Il piccolo vaso d’argilla, oggetto umile e sacro,
che si trova disseminato in numerosi romanzi di Dick<sup>2</sup> evolve nella
stesura dell’Esegesi da simbolo di una riconciliazione possibile tra ciò che è
stato creato e colui che l’ha creato (ricordiamoci come <i>“nella Cabalà, si parla di Shviràth hskrlin, di quei vasi rotti nel
momento della creazione”</i>)<sup>3 </sup>in una figura, all’opposto, di
‘ribellione per la libertà’. Il vasaio non ripara più, l’artigiano evolve
nell’artista creatore e l’artista in colui che pensa e agisce la propria
ribellione. Ovviamente questo è solo un’azzardata ipotesi interpretativa che
vale quanto un’altra, o forse meno; rimane comunque che Oh On o Oh Ho è <i>“il nome di una vaso d’argilla fatto da Dick
per un amico” </i>e che <i>“in una
precedente visione ipnagogica, Dick sentì il vaso, che si identificò come ‘Oh
Ho’, che gli parlava in un tono arrogante e irritato di argomenti spirituali.
In seguito Dick teorizzò che il nome ‘Oh Ho’ poteva riferirsi alla frase greca
Oh On, che significa ‘Colui che è’. La frase ‘ho on’ appare in Esodo, 3:14,
quando Dio si identifica come ‘io sono chi sono’ (nel greco della versione dei
Settanta: egò eimi ho on).” </i><sup>(1278 glossario) </sup>Avere a che fare
direttamente con ‘colui che è’ tramite un artefatto è già un atto di un
rapporto diverso col trascendente, un atto materiale che comporta un fare e un
disfare. <i>“Sostituite ogni ‘è’ con ‘fa’ e
l’ontologia svanisce.”</i><sup>(664) </sup>Forse non c’è atto di ribellione più
grande!<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: “YHWH nella Bibbia ebraica il vero nome di
Dio” dal Glossario p. 1293<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 2: VASO </span><a href="http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/11/vaso.html">http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/11/vaso.html</a>
<o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 3: Elie Wiesel, <i>Credere non credere, </i>La Giuntina, Firenze, 1986<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><b>Fra 7 giorni Esegesi 14 - Engrammi, tracce di memoria dal futuro</b></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-55274090077533672462017-03-30T09:33:00.000+02:002017-03-30T09:33:39.446+02:00Moda<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-WQB6jxSoAh8/WNQJ62997sI/AAAAAAAAEaU/mX7L8fCYcwsa2TkEnZWdC1m8E7Mf3eSRwCLcB/s1600/moda.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://4.bp.blogspot.com/-WQB6jxSoAh8/WNQJ62997sI/AAAAAAAAEaU/mX7L8fCYcwsa2TkEnZWdC1m8E7Mf3eSRwCLcB/s400/moda.jpg" width="282" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Nella società del biopotere”
ci ricorda Antonio Caronia in un suo seminario su Michel Foucault: “lo Stato ha
un tale potere, una tale possibilità di
intervento sui processi vitali, sui processi della vita che non si
interessa più di rendere così banalmente uniforme la società”, come accadeva
nella società disciplinare, “la gente può vestire come vuole, può avere anche
le preferenze sessuali che vuole, (…)
perché tanto è andato più a fondo il potere, controlla un livello che prima non
controllava. (…) È l’intera vita degli esseri umani come specie che diventa
oggetto di una pratica di amministrazione. Si possono finalmente amministrare i
geni della vita.”<sup>1 </sup>Il mondo che Dick descrive nelle sue opere è un
mondo di transizione, di passaggio tra questi due diversi tipi di potere, ed è
per questo che anche le più colorate descrizioni dei costumi sessuali, della
moda, dei consumi ecc. non sono mai fini a se stessi, ma significano. Stanno lì
a raccontare come un determinato periodo storico caratterizza le proprie forme,
le proprie modalità di appartenenza a una specifica vita comunitaria.
Quella che segue è una selezione di esempi riguardanti i modi del
vestire: frammenti di un caleidoscopio che caratterizza l’apparente libertà di
una società altamente omologata nelle sue effettive pratiche di vita.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Così
questo è il tipo su cui tutti vanno scrivendo, disse Erickson tra sé.
Sembrerebbe migliore di noi altri e indossa un completo in pelle di grillotalpa
marziano.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">SVEGLIATEVI
DORMIENTI </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1963)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“La
cameriera indossava le lunghe calze di fibra e la sexmicetta, che erano i due
indumenti femminili maggiormente di moda in quel periodo. La sexmicetta era una
tunica corta che lasciava un seno, quello destro, scoperto, e il capezzolo era
elegantemente infilato in un raffinato ornamento svizzero, composto di
numerosissime parti miniaturizzate; l’ornamento, che aveva la forma di una
grande gomma di matita d’oro, con il suo perfetto foro centrale, suonava della
musica semiclassica e brillava di una serie di luci dai diversi colori,
brillanti e attraenti, che gettavano una trama luminosa sul pavimento, davanti
alla cameriera, illuminandole la strada, in modo da permetterle di passare tra
le affollatissime tavole del ristorante.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">UTOPIA,
ANDATA E RITORNO </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1963)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“La
sbirciò di nascosto e la trovò attraente. I suoi corti capelli color bronzo
creavano un gradevole contrasto con la pelle grigio chiara. Inoltre, la ragazza
aveva una delle vite più sottili che Joe avesse mai visto, che, come tutto il
resto del corpo, risaltava generosamente nella camicetta e nei pantaloni di
schiuma-spray permoform.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">GUARITORE
GALATTICO </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1967)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“La
porta della stanza si spalancò di colpo. –Che volo!- esclamò ansante Rachel
Rosen, facendo il suo ingresso avvolta in un lungo soprabito a squame di pesce
sotto cui s’intravedeva una parure identica di calzoncini e reggiseno.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">MA GLI ANDROIDI SOGNANO LE PECORE
ELETTRICHE? </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1966)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">E gli svariati esempi in <b>UBIK </b>(1966):<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Lei
ricorda questo annuncio, signor Runciter? Mostra un marito tornato a casa dal
lavoro; indossa ancora la sua fascia da vita color giallo elettrico, il
gonnellino a petalo, calze al ginocchio e un berretto a visiera militare.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Una
ragazza ossuta con gli occhiali e i capelli lisci giallo-limone, vestita con un
paio di bermude e una mantiglia di merletto nero, con l’aggiunta di un cappello
da cow-boy.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Una
donna più anziana, dalla pelle scura e piuttosto bella, con un paio di occhi scaltri
e leggermente stravolti, che indossava un sari di seta, un obi di nylon e dei
calzini troppo corti.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Un
ragazzino adolescente dai capelli lanosi perennemente avvolto da una cinica
nube di orgoglio; questo abbigliato con una camicia a fiori giganteschi e con
calzoni da sci in spandex.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“signora
trentenne e mascolina dalla pelle color sabbia che sfoggiava calzoni in finta
vigogna e una camicetta sulla quale era stampato un ritratto sbiadito di Lord
Bertrand Russell.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Accanto
alla finestra, infilato nei soliti eleganti pantaloni in scorza di betulla, la
cintura in corda di canapa, una maglietta trasparente e un alto cappello da
ferroviere in testa”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Un
uomo calvo, munito di una barbetta caprina, indicò se stesso. Portava un
antiquato paio di calzoni di lamé dorato stretti ai fianchi, eppure riusciva ad
apparire elegante: forse il merito ricadeva anche sui bottoni della sua camicia
verdealga, grossi come uova. Trasudava a ogni modo una grande dignità, una
nobiltà superiore alla media. Joe ne fu impressionato.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“un
individuo magro con la faccia seria che sedeva eretto sulla sua sedia, le mani
sulle ginocchia. Indossava un costume tirolese in poliestere, copricalzoni di
cuoio stile cow-boy decorati con finte stelle d’argento e teneva i lunghi
capelli avvolti in una reticella. Ai piedi un paio di sandali.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Un
giovanotto dal naso sottile, abbigliato con una maxigonna e dalla testa davvero
piccola, non più grande di un melone”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“un
tizio flaccido di mezz’età con i piedi enormi, i capelli impomatati e la pelle
fangosa, senza contare un pomo d’Adamo particolarmente sporgente, che per
l’occasione sfoggiava un abito da lavoro color culo di babbuino.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Panciuto,
tozzo e con le gambe grosse, Stanton Mick avanzò verso di loro. Indossava
calzoni da donna a mezza gamba color fucsia, pantofole in pelo di yak rosa, una
camicia senza maniche in pelle di serpente e un nastro nei capelli tinti di
bianco che arrivavano fino alla cintola.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Una
persona simile a un coleottero, abbigliata con tipici indumenti del Vecchio
Continente: una toga di tweed, pantofole, una sciarpa scarlatta e un berrettino
rosso con elica stile anni Cinquanta.”<o:p></o:p></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Indossava
calzoni alla zuava di feltro verde, calze grigie da golf, un giubbotto senza
collo in pelle di tasso e un paio di scarpe senza lacci in finto cuoio”<o:p></o:p></span></i></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: </span><a href="https://archive.org/details/MichelFoucault_PerUnaGenealogiaDelSoggetto">https://archive.org/details/MichelFoucault_PerUnaGenealogiaDelSoggetto</a>
Lezione 11 (1.33’)<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-44075242699432125682017-03-27T10:05:00.000+02:002017-03-27T10:05:03.844+02:00ESEGESI 12 - Nel cuore della notte<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-I1GxbJu0Bt4/WNAkRAMkslI/AAAAAAAAEZs/ssLqQqYqgg08Ksu_IHyb3Mv7dQC2avc0wCLcB/s1600/12.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="282" src="https://3.bp.blogspot.com/-I1GxbJu0Bt4/WNAkRAMkslI/AAAAAAAAEZs/ssLqQqYqgg08Ksu_IHyb3Mv7dQC2avc0wCLcB/s400/12.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Angel Archer è il primo personaggio che assurge al
ruolo di protagonista nell’ultimo dei romanzi di Dick, l’opera ‘testamento’ La
trasmigrazione di Timothy Archer. Angel, per Gabriele Frasca, è la <i>“coscienza infelice” </i>che non solo saprà
divincolarsi dalla <i>“struttura delirante”</i>
creata dall’ossessiva ricerca della <i>“verità
vera”</i> da parte dell’ultimo Dick, ma che saprà anche offrire <i>“al proprio autore, attraverso un esplicito
flusso di pensieri, l’occasione, prima che la morte lo metta a tacere per
sempre (…), di una straordinaria consapevole confessione.”</i><sup>1</sup>
Quello che in sostanza Frasca ci dice della confessione di Dick tramite Angel è
che tutta questa ossessiva ricerca del vero altro non è che un <i>“pacco”</i> (a packaged fraud)<sup>2 </sup>e
che questa <i>“fame”</i> di assoluto è ciò
che rende la vita non vissuta e quindi inutile. L’ultimo romanzo, come lascito
dickiano, si presenta perciò nella forma di monito a non seguire le sue orme;
un romanzo dipinto <i>“col pennello del
Flaubert più acido, quello di Bouvard et Pécuchet per intenderci” </i>che
raccontando dei rotoli del Mar Morto e <i>“della
misteriosa setta dei zadochiti, finisce col diventare l’ennesima ‘idea
prevalente’ che consegna, col dovuto anticipo, gli ‘stupidi’ alla morte.”</i><sup>3</sup>
Quel che sembra possa desumersi da questa articolata e stimolante critica di
Frasca è che l’ultimo Dick, quello di Valis (ma anche di conseguenza tutta
quella vena di ricerca sulla ‘verità’ che attraversa l’intera sua opera) altro
non è che la dimostrazione dello spreco di un’esistenza vissuta nella ricerca
del motivo del nostro esistere e patire. Un fallimento che si salva in extremis
con questo testamento confessione che consente di ribaltare la sentenza su
tutto questo lavorio intellettuale rivedendolo come una sorta di antidoto
(Ubik), capace di smontare il grande sciocchezzaio delle futili parole e
permettendo così di <i>“avere il coraggio di
assumere ciò che va assunto, e poi, con altrettanto coraggio, in un’epoca in
cui la massiccia dose di informazioni ci arreda costantemente la vita
coartandoci al passato ‘narcisistico’, (…) espellere tutto il resto.”</i><sup>4
</sup>Ma ora che abbiamo a disposizione l’Esegesi, anche se solo in forma
parziale, possiamo renderci conto che la febbricitante ricerca dickiana non
termina col testamento di Archer; il sciocchezzaio dei Bouvard et Pécuchet
continua, come continua la vita e, forse, quest’ultima continua proprio perché
caparbiamente non si vuole accettare di <i>“espellere
tutto il resto”</i>. In altri termini: se fosse possibile espellere dalla vita
ciò che non serve cosa rimarrebbe? </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><i>“Nel cuore della notte ho avuto
un’intuizione straordinaria.”</i><sup>(1240)</sup><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: Gabriele Frasca, <i>Come rimanere rimasti, </i>in <i>Trasmigrazioni.
I mondi di Philip K. Dick, </i>a cura di V. M. De Angelis e U. Rossi, Le
Monnier, Firenze 2006 p. 251 (lo stesso testo ampliato in: G. Frasca, <i>L’oscuro scrutare,</i> Meltemi, Roma 2007)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 2: ivi, p. 249<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 3: ivi, p.251<o:p></o:p></span></div>
<span style="font-family: "times new roman", serif; font-size: 10pt;">Nota 4: ivi, p. 258</span><br />
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><b>Tra sette giorni: Esegesi 13 - Oh Ho, Oh On</b></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-29070595102411029212017-03-23T10:03:00.000+01:002017-03-23T10:03:44.158+01:00Verità <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-Y_0eX2KIRi8/WM-irA3ND3I/AAAAAAAAEZE/KojALtZqpWMxIP1OTVUl2rI_flkBc1YmQCLcB/s1600/verit%25C3%25A0.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="265" src="https://4.bp.blogspot.com/-Y_0eX2KIRi8/WM-irA3ND3I/AAAAAAAAEZE/KojALtZqpWMxIP1OTVUl2rI_flkBc1YmQCLcB/s400/verit%25C3%25A0.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Papageno:
-Figlia mia, cosa dovremmo dire ora?- <o:p></o:p></span></i></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Pamina:
-La verità. Questo diremo.-“</span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> <o:p></o:p></span></b></div>
<div align="right" class="MsoNormal" style="text-align: right;">
<b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">MA
GLI ANDROIDI SOGNANO LE PECORE ELETTRICHE? </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">(1966)<i><o:p></o:p></i></span></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Tu
conoscerai la verità, pensò Adams, e grazie ad essa sarai libero.” </span></i><b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">LA PENULTIMA VERITA’ </span></b><span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(1964)
<sup>1 </sup>Ma forse nella traduzione italiana si sarebbe potuto anche
scrivere: “…grazie ad essa non potrai essere assoggettato, reso schiavo.”
Essere libero, nel mondo dickiano, è un’affermazione un po’ troppo forte. La
verità è qualcosa in sé pericolosa, che
potrebbe portare a effetti molto simili a quelli di una crisi psicotica: <i>“-Hai avuto un episodio psicotico,
stanotte?- -Neanche lontanamente. Ho avuto un momento di verità assoluta.” </i><b>I GIOCATORI DI TITANO </b>(1963). Ma se è
chiaro, almeno per chi frequenta spesso la narrativa dickiana, che la verità
assoluta (la realtà ultima che sta dietro tutte le cose) non è accessibile se
non, appunto, come allucinazione psicotica o visione mistica, la verità, quella
più prosaica, quella sulla condizione umana, non è detto che sia meno
pericolosa: <i>“La verità! Che cosa voleva
dire? Come per un bambino che si arrampicasse sulle ginocchia di un Babbo
natale in un grande magazzino, sapere la verità sarebbe stato come piombare a
terra stecchiti. Era questo che volevo?” </i><b>L’ANDROIDE ABRAMO LINCOLN </b>(1962); <i>“Pensavo che un dottore, come un avvocato o un prete, potesse superare
lo shock di vedere la vita così com’è: pensavo che la verità fosse il suo pane
quotidiano.”</i> <b>ILLUSIONE DI POTERE </b>(1963);
e ancora: <i>“-È strano- disse Juliana. –Non
avrei mai pensato che la verità la facesse arrabbiare.- La verità, si disse.
Terribile come la morte. Ma più difficile da trovare.” </i><b>LA SVASTICA SUL SOLE </b>(1961). E anche quando si prova a prendere
delle contromisure, a governare le pretese della verità, il risultato non può
che essere sconcertante: <i>“-Jones può
benissimo dissentire. Può credere a quello che vuole; può credere che la terra
è piatta, che Dio è una cipolla, che i bambini nascono nelle buste di plastica.
Può avere l’opinione che preferisce; ma quando comincia a spacciarla per Verità
Assoluta….- -lo sbattete in prigione- disse Nina rigida. –No- la corresse
Cussick. –Tendiamo la mano, diciamo semplicemente: dimostra o stai zitto.
Conforta i fatti quello che vai dicendo. Se vuoi dire che gli ebrei sono la radice
di tutti i mali – devi provarlo. Lo puoi dire, se riesci a dimostrarlo.
Altrimenti, fila ai lavori forzati.-“ </i><b>E
JONES CREO’ IL MONDO </b>(1954). La verità è in effetti una materia difficile
da trattare e alle volte è meglio preferirle delle rassicuranti menzogne: <i>“-Ma certo,- Jason provò un moto di
simpatia. La verità. Aveva spesso riflettuto, è sopravalutata come virtù. Nella
maggioranza dei casi, una bugia comprensiva ottiene risultati migliori ed è più
misericordiosa.” </i><b>SCORRETE LACRIME,
DISSE IL POLIZIOTTO </b>(1970). Ma Dick è sempre pronto a ripensarci e in uno
dei suoi ultimi romanzi <b>DIVINA INVASIONE </b>(1980) ribalta
nuovamente la questione:<i> “-La grigia
verità è meglio del sogno- disse lui. –E anche questa è verità. La verità
ultima, definitiva, è che la verità è meglio anche della più pietosa delle
menzogne. Non mi fido di questo mondo perché è troppo dolce.” </i><o:p></o:p></span></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<span style="font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: La precedente
traduzione dell’Editrice Nord di Mauro Cesari (per gentile concessione della
casa editrice La Tribuna, Piacenza) ha questa diversa versione: <i>“Conoscerai la verità, pensò Adams, e la
verità ti renderà schiavo.” </i> Maurizio
Nati ripristina la traduzione corretta di <i>“Yes
hall know the truth, Adams thought, and
by this thou shalt enslave.” <o:p></o:p></i></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-6220805619125624457.post-4908915440087729552017-03-20T09:21:00.002+01:002017-03-20T09:21:20.337+01:00ESEGESI 11 - Sul bordo<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-TT1z4xzEG5g/WLXOKdfj-dI/AAAAAAAAEXQ/YE7aGv2jOwE33twzIAYrFixxUbLybzgjgCLcB/s1600/11%2B%2528Marisa%2529.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="256" src="https://1.bp.blogspot.com/-TT1z4xzEG5g/WLXOKdfj-dI/AAAAAAAAEXQ/YE7aGv2jOwE33twzIAYrFixxUbLybzgjgCLcB/s320/11%2B%2528Marisa%2529.jpg" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">disegno di Marisa Bello</td></tr>
</tbody></table>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Sì,
sono sul bordo della realtà;<o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">livello
dopo livello, ognuno più<o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">ontologicamente
reale del precedente,<o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">e
poi… il nulla. Il vuoto.<o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">Solo
un debole vento che smuove la realtà,<o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">che
la strattona.<o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">E
magari un luccichio di colore, <o:p></o:p></span></i></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">per
un attimo.</span></i><sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(866)</span></sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">“Nelle
storie di Dick, fra tutta l’angoscia per gli universi che si disintegrano e la
realtà instabile, c’è sempre la sensazione di una realtà ultima nascosta sotto
la contraffazione.”</span></i><sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;">(130 nota)</span></sup><span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 12.0pt; line-height: 115%;"> Gabriel Mckee, l’autore di questa nota porta
come esempio della fede in un assoluto da parte di Dick le figure di Ubik, di
Colui che Cammina sulla Terra<sup>1 </sup>e di Wibur Mercer<sup>2</sup>. <i>“Contrariamente alle apparenze qualcosa è
davvero reale” </i>e questo collocherebbe, in definitiva, Dick<i> “nella tradizione dei mistici apofatici</i><sup>3</sup><i> come Meister Eckart o l’anonimo autore di
La nube della non conoscenza</i><sup>4</sup>.” Ora, se non c’è dubbio che Dick
parli spesso di una realtà altra, che sta dietro, nascosta, è altrettanto vero
che questa realtà ultima viene sottoposta dallo stesso Dick a un tale spingi e
tira che alla fine il tirare, al contrario della realtà che viene tirata,
risulta essere l’unica vera realtà. <i>“Heidegger
dice: ‘perché c’è qualcosa invece del nulla?’ Al che chiedo: ‘perché Heidegger
pensa che ci sia qualcosa invece di nulla?’ Il tirare è reale e il campo della
realtà che viene tirato non lo è. Così che ciò che è genuinamente reale viene
indicato dal suo effetto sul ‘campo della realtà’ (che non è reale), ma che
cos’è che tira io non ne ho idea.”</i><sup>(890)</sup> Allora su quale bordo di
realtà si situa Dick e che tipo di fessura è quella che si è prodotta
dall’esperienza del 2.3.74? Una fessura da cui guardare la realtà, quella vera,
ultima come suggerisce Mckee, o quella che affaccia al baratro della follia di
una realtà non più condivisa, o ancora qualcosa
di altro? Qualcosa d’altro che sia più simile allo sguardo del genealogista
foucaultiano che a quello del mistico; uno sguardo che si apra alla
consapevolezza che <i>“il mondo non è una rappresentazione che consenta di
mascherare una realtà più vera e nascosta dietro le quinte. Il mondo è così
come esso appare.”</i><sup>5 </sup>Dick confessa che ha <i>“dovuto sviluppare un amore per il disordine e la confusione, vedendo
la realtà come un grande enigma da fronteggiare gioiosamente, non con la paura
ma con infaticabile fascinazione. Quello che serviva di più era la messa a
prova della realtà, e la disponibilità ad affrontare l’esperienza che si
autonega: ovvero le autentiche contraddizioni, con qualcosa che è allo stesso
tempo vero e non vero.”</i><sup>(738)</sup> Cioè qualcosa che si può indagare
ma che non può avere nessuna pretesa di autenticità, men che meno rimandabile a
una qualsivoglia autenticità dietro le quinte. La realtà del chiosco di bibite
in ‘Tempo fuori di sesto’ si dissolve lasciando al suo posto un foglietto con
su scritto chiosco di bibite, non aprendo un varco verso una qualche alterità.
Banalmente rimane un nome, una nominazione. Un’illusione non nasconde altro che
se stessa, ma il rapporto di questa con noi stessi è tutt’altro che illusorio: <i>“tutto quello che bisogna fare è credere
totalmente che lo schema ‘X’ esiste e se ‘X’ è potenzialmente reale passerà per
autentico. Questo richiede una relazione spingi-tira fra la persona e la
realtà. Non può, diciamo far nascere una fenice azzurra ex nihilo; la persona
deve entrare in un progressivo, intricato dialogo con la realtà in cui c’è
risposta fra entrambe le parti. (questo presume capacità di sentire, volontà e
intenzionalità nella realtà). È richiesta
la messa alla prova della realtà, non la sua assenza. Sta soppesando le
sue parti flessibili più morbide, dove cederà, quanto e in qual modo.”</i><sup>(739-740)</sup>
Possiamo anche considerarla illusione ma è un’illusione i cui effetti non
possono essere che reali.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 1: Labirinto di morte (1968)<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "times new roman" , "serif"; font-size: 10.0pt; line-height: 115%;">Nota 2: Ma gli androidi sognano le pecore
elettriche? (1966)</span><span class="lemma"><span style="font-size: 10pt; line-height: 115%;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span class="lemma"><span style="font-size: 10pt; line-height: 115%;">Nota 3: </span></span><span class="lemma"><span style="font-family: "times new roman" , serif; font-size: 10pt; line-height: 115%;">pervenire alla conoscenza di Dio tramite
negazioni: Dio non è…</span></span><span class="lemma"><span style="font-size: 10pt; line-height: 115%;"> <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/apofatico/"> http://www.treccani.it/enciclopedia/apofatico/</a> </span></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt;">
<span style="color: #252525; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 9.0pt;">Nota 4: </span><i><span style="color: #252525; font-size: 10.0pt;">The Cloude of Unknowyng</span></i><span style="color: #252525; font-size: 10.0pt;">) è una guida spirituale pratica scritta
nel XIV secolo da un anonimo inglese</span><span class="apple-converted-space"><span style="color: #252525; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 9.0pt;">. Il
testo è scaricabile qui: <a href="http://gianluca05.altervista.org/alterpages/files/nubenonconoscenza.pdf">http://gianluca05.altervista.org/alterpages/files/nubenonconoscenza.pdf</a> </span></span></div>
<br />
<div style="background: white; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt;">
<span style="color: #252525; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 9.0pt;">Nota 5: H. L. Dreyfus – P. Rabinow, <i>La ricerca di Michel Foucault, </i>La casa Husher, Firenze, 2010, p.166<o:p></o:p></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt;">
<span style="color: #252525; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 9.0pt;"><b><br /></b></span></div>
<div style="background: white; margin-bottom: 6.0pt; margin-left: 0cm; margin-right: 0cm; margin-top: 6.0pt;">
<span style="color: #252525; font-family: "arial" , "sans-serif"; font-size: 9.0pt;"><b>Tra 7 giorni: Esegesi 12 - Nel cuore della notte</b></span></div>
Giuliano Spagnulhttp://www.blogger.com/profile/17363539847543924336noreply@blogger.com0