sabato 16 dicembre 2017

Philip K. Dick sognatore d'armi e di conflitti


Paolo Virno parlando del futuro anteriore dice che “nella gran parte delle lingue europee c’è questo tempo verbale strano, per cui si tratta ciò che deve ancora avvenire come se fosse un passato (…) in base a questo sguardo postumo rispetto a ciò che deve ancora avvenire, puoi mettere in moto delle alternative.”1 Non credo si possa dare una (involontaria, in questo caso) definizione della fantascienza migliore di questa. Avrò potuto vivere o sopravvivere in un mondo totalmente soggiogato dalla scienza e dalla tecnica, o dai conflitti con armi sempre più distruttive, o in metropoli sempre più affollate, o…? E allora in base a queste domande coniugate a un futuro che si vuole ipoteticamente già passato si può “mobilitare dei possibili proprio perché quello che sembra un futuro lineare è sottoposto a giudizio e, semmai, mostra di essere meno allettante di quanto possa sembrare”. Ma questo è solo un aspetto della fantascienza, quello della facciata più nobile, che si presenta nella fantascienza cosiddetta più matura. Il corpo duro, vero e proprio fondamento del genere, è quello dei romanzi e racconti pulp, vicini a quella “cultura di massa che si abbevera di fumetti, giocattoli, armi e mostri del futuro”2 e qui quel ‘come sarà avvenuto quello che ancora deve avvenire’ sembra aver poca importanza. Ciò che conta sono le ansie, le aspirazioni come le paure e le meraviglie, in cui il secolo progressivo novecentesco sembra averci fatto irrimediabilmente precipitare. Una centrifuga di possibilità carpite da tutti i futuri possibili per renderci avvezzi a un rapido e onnipervasivo cambiamento del nostro stare nel mondo. Due modi della fantascienza che si susseguono ma anche coabitano loro malgrado. Philip K. Dick, scrittore prestato al genere (voleva fare, essere ben altro, uno scrittore serio, intellettuale apprezzato) prende entrambi i modi e li rende indistinguibili tra loro. Ma non ne fa una parodia; quel voler “far intendere ai suoi lettori che il romanzo di fantascienza deve accettare le sue umili origini e su di esse costruire un discorso ricco di implicazioni metanarrative e di suggerimenti etici”3 va preso molto più alla lettera di quanto suggerisce Carlo Pagetti. Non di un’umile origine che poi evolve in qualcosa di più maturo e rispettabile, quanto piuttosto del vero discorso costitutivo del genere; quello di uno strumento che nella sua apparenza grezza e infantile ci abitua (ci assoggetta?) a una forma di vita affatto inedita per la storia della nostra specie. Macchine a vapore, e poi  a combustibili fossili, il volo del più pesante dell’aria, il trasporto della nostra singola voce, la possibilità di cambiare la notte con il giorno, guerre con armi di distruzione di massa, lo spazio, l’enorme potenza dell’infinitamente piccolo, l’irrappresentabile olocausto, e altro ancora nell’arco di poco più di una manciata di decenni. Nella scala della storia evolutiva dell’uomo un’infinitesimale frazione di tempo. Da uscirne distrutti o, quantomeno, cognitivamente afasici! La fantascienza, nelle sue forme plurime (letteratura, cinema, fumetto, giochi e giocattoli, pubblicità,  camuffata da divulgazione scientifica, ecc.) ha avuto un ruolo essenziale nel passaggio al tempo del presente ininterrotto in cui stiamo vivendo oggi, e soprattutto ci ha reso più plastici al susseguirsi dei cambiamenti sempre più accelerati nella nostra vita quotidiana. Dick ha sognato tutto questo, in stato di trance come il protagonista di Mr. Lars, sognatore d’armi, ma al contrario di questi, al posto di entrare nella testa di un singolo sciroppato autore di fantascienza da quattro soldi è entrato nella testa di tutti gli scrittori, buoni o cattivi che siano, di fantascienza; ha rimescolato tutto quel che vi ha trovato  e potuto, e lo ha rivomitato freneticamente sull’immacolata carta bianca nella sua macchina da scrivere, anche lui, come Mr. Lars, con l’ausilio di qualche pillola (di troppo). Il suo desiderio di essere serio, di essere considerato tale (e amato in quanto tale) ha fatto il resto. Un flusso di storie di filosofia grossolana applicata a quell’enorme vortice di cambiamenti che stavano precipitando, tutti assieme, sulla testa di quel povero, ancora molto antiquato, homo sapiens, ne è stato il risultato. Mr. Lars, sognatore d’armi è forse uno dei romanzi che più di ogni altro si presta a questa funzione di tritatutto. Poco considerato dalla critica  giustamente Pagetti lo riscatta in pieno e ne fa un’apprezzabile lettura densa di spunti e con una doverosa (e troppo spesso assente in altri traduttori) disamina delle proprie scelte nel lavoro di traduzione. Quel che più mi interessa qui è però la considerazione finale di Pagetti sul gioco della Creatura del Labirinto (l’arma empatica che sconfiggerà gli alieni, e non solo loro) vista come una “straziante metafora della prigione dell’esistenza” quel “Labirinto da cui – come nella vita – non c’è uscita.”4 È un’interpretazione del dramma esistenziale dell’essere umano, che pur valida nella sua accezione più generale, rimane limitata nell’ottica propriamente dickiana. In Dick non c’è esistenzialismo che tenga. Non c’è rassegnazione. Il gioco della vita non è riconducibile a un labirinto se non per chi pensa che ci sia comunque una via d’uscita che porti da qualche altra parte che non sia la vita stessa. La partita, in realtà, si gioca tutta qui, bella o brutta, questa è l’unica partita che ci è consentita giocare. Tutto sommato non è poca cosa di fronte al nulla. Dick canta la vita, tutti i suoi personaggi, nonostante il peso del fallimento che li accompagna sempre, lottano e per ciò vivono, come parte del processo della vita. Sono dentro, sono parte di qualcosa che vale la pena di essere indagato, interrogato e quindi vissuto da pari a pari, da uomo a dio (che poi è la stessa cosa) nell’infinita povertà, altissima povertà di entrambi. Dick costantemente interroga il divino da lui stesso immaginato e ‘fecondato’. Mr. Lars interroga Orville, il derivato industriale di un suo progetto che doveva servire per costruire un’arma; un po’ come internet che doveva servire a scopi militari per divenire poi un enorme gioco collettivo. Lars/Dick chiede al buon vecchio Orville se faceva un errore a compiangere se stesso: “Chi sono io? (…) cosa sono diventato?” “Lei è un reietto. Un vagabondo. Un esule.” La lapidaria risposta. Ma ancora: “Lei è Waffenlos, disarmato… in senso figurato e in senso letterale. Lei non produce armi, come la sua ditta finge di fare ufficialmente. E lei è Waffenlos in un altro senso, più biologico. Lei è indifeso. Come il giovane Sigfrido, prima di uccidere il drago, beve il suo sangue e capisce la canzone dell’uccellino, o come Parsifal, prima di apprendere il suo nome dalle fanciulle dei fiori, lei è innocente. Forse in senso malvagio.”  Le osservazioni di Pagetti sul sottotesto erotico sono certo pertinenti e la soluzione di tradurre il sostantivo plowshare (vomere) coniugato da Dick in forma di verbo con ‘fecondare’ rende giustizia della prima traduzione di Galassia che sbrigava la questione con un fuorviante ‘fare a pezzi’ o ‘amputare’, come se si trattasse di un tradimento o svilimento del progetto originale dell’arma in una sorta di sottoprodotto commerciale. Ma in realtà non c’è nulla di erotico in sottotraccia, è già tutto in superficie, alla luce del sole. E il semi-finale del romanzo vede il buon vecchio Orville suggerire a Mr. Lars: “si porti questa ragazza in camera da letto e consumi un rapporto sessuale con lei” in una vera e propria anticipazione del finale di Eyes Wide Shut di Kubrick. Tutt’altro che un sottofondo, il sesso, i corpi che si desiderano, si confrontano e soprattutto confliggono sono al centro di questo vero e proprio dramma sotto mentite spoglie parodiche. Lilo Topchev non è una semplice amante, l’ennesimo oggetto del desiderio che sostituisce il precedente corpo usurato dall’abitudine; è la donna, la rivale che si dimostra capace di fecondare il corpo e lo spirito di Mr. Lars. È sì, per Dick, l’amore che insieme al potere “governano la storia dell’umanità”, ma è il conflitto, la capacità di confliggere che rende possibile quel “principio risanatore, banalmente definito ‘amore’”.

Nota 1: Tania Rispoli, Tra teoria politica e antropologia materialistica. Intervista a Paolo Virno (qui) 
Nota 2: Carlo Pagetti, Introduzione in Philip K. Dick, Mr. Lars sognatore d’armi,
Nota 3: Ibidem

Nota 4: Ivi p. 17

(La trama di Mr. Lars sognatore d'armi (qui al n. 19)