Paolo Virno parlando del futuro anteriore dice che “nella gran parte delle lingue europee c’è
questo tempo verbale strano, per cui si tratta ciò che deve ancora avvenire
come se fosse un passato (…) in base a questo sguardo postumo rispetto a ciò
che deve ancora avvenire, puoi mettere in moto delle alternative.”1 Non
credo si possa dare una (involontaria, in questo caso) definizione della
fantascienza migliore di questa. Avrò potuto vivere o sopravvivere in un mondo
totalmente soggiogato dalla scienza e dalla tecnica, o dai conflitti con armi
sempre più distruttive, o in metropoli sempre più affollate, o…? E allora in
base a queste domande coniugate a un futuro che si vuole ipoteticamente già
passato si può “mobilitare dei possibili
proprio perché quello che sembra un futuro lineare è sottoposto a giudizio e,
semmai, mostra di essere meno allettante di quanto possa sembrare”. Ma
questo è solo un aspetto della fantascienza, quello della facciata più nobile,
che si presenta nella fantascienza cosiddetta più matura. Il corpo duro, vero e
proprio fondamento del genere, è quello dei romanzi e racconti pulp, vicini a
quella “cultura di massa che si abbevera
di fumetti, giocattoli, armi e mostri del futuro”2 e qui quel
‘come sarà avvenuto quello che ancora deve avvenire’ sembra aver poca
importanza. Ciò che conta sono le ansie, le aspirazioni come le paure e le
meraviglie, in cui il secolo progressivo novecentesco sembra averci fatto
irrimediabilmente precipitare. Una centrifuga di possibilità carpite da tutti i
futuri possibili per renderci avvezzi a un rapido e onnipervasivo cambiamento
del nostro stare nel mondo. Due modi della fantascienza che si susseguono ma
anche coabitano loro malgrado. Philip K. Dick, scrittore prestato al genere
(voleva fare, essere ben altro, uno scrittore serio, intellettuale apprezzato)
prende entrambi i modi e li rende indistinguibili tra loro. Ma non ne fa una
parodia; quel voler “far intendere ai
suoi lettori che il romanzo di fantascienza deve accettare le sue umili origini
e su di esse costruire un discorso ricco di implicazioni metanarrative e di
suggerimenti etici”3 va preso molto più alla lettera di quanto
suggerisce Carlo Pagetti. Non di un’umile origine che poi evolve in qualcosa di
più maturo e rispettabile, quanto piuttosto del vero discorso costitutivo del
genere; quello di uno strumento che nella sua apparenza grezza e infantile ci
abitua (ci assoggetta?) a una forma di vita affatto inedita per la storia della
nostra specie. Macchine a vapore, e poi a combustibili fossili, il volo del più
pesante dell’aria, il trasporto della nostra singola voce, la possibilità di
cambiare la notte con il giorno, guerre con armi di distruzione di massa, lo
spazio, l’enorme potenza dell’infinitamente piccolo, l’irrappresentabile
olocausto, e altro ancora nell’arco di poco più di una manciata di decenni.
Nella scala della storia evolutiva dell’uomo un’infinitesimale frazione di
tempo. Da uscirne distrutti o, quantomeno, cognitivamente afasici! La
fantascienza, nelle sue forme plurime (letteratura, cinema, fumetto, giochi e
giocattoli, pubblicità, camuffata da
divulgazione scientifica, ecc.) ha avuto un ruolo essenziale nel passaggio al
tempo del presente ininterrotto in cui stiamo vivendo oggi, e soprattutto ci ha
reso più plastici al susseguirsi dei cambiamenti sempre più accelerati nella
nostra vita quotidiana. Dick ha sognato tutto questo, in stato di trance come
il protagonista di Mr. Lars, sognatore
d’armi, ma al contrario di questi, al posto di entrare nella testa di un
singolo sciroppato autore di fantascienza da quattro soldi è entrato nella
testa di tutti gli scrittori, buoni o cattivi che siano, di fantascienza; ha
rimescolato tutto quel che vi ha trovato
e potuto, e lo ha rivomitato freneticamente sull’immacolata carta bianca
nella sua macchina da scrivere, anche lui, come Mr. Lars, con l’ausilio di
qualche pillola (di troppo). Il suo desiderio di essere serio, di essere
considerato tale (e amato in quanto tale) ha fatto il resto. Un flusso di
storie di filosofia grossolana applicata a quell’enorme vortice di cambiamenti
che stavano precipitando, tutti assieme, sulla testa di quel povero, ancora
molto antiquato, homo sapiens, ne è stato il risultato. Mr. Lars, sognatore d’armi è forse uno dei romanzi che più di ogni
altro si presta a questa funzione di tritatutto. Poco considerato dalla critica
giustamente Pagetti lo riscatta in
pieno e ne fa un’apprezzabile lettura densa di spunti e con una doverosa (e
troppo spesso assente in altri traduttori) disamina delle proprie scelte nel
lavoro di traduzione. Quel che più mi interessa qui è però la considerazione
finale di Pagetti sul gioco della Creatura del Labirinto (l’arma empatica che
sconfiggerà gli alieni, e non solo loro) vista come una “straziante metafora della prigione dell’esistenza” quel “Labirinto da cui – come nella vita – non
c’è uscita.”4 È un’interpretazione del dramma esistenziale
dell’essere umano, che pur valida nella sua accezione più generale, rimane
limitata nell’ottica propriamente dickiana. In Dick non c’è esistenzialismo che
tenga. Non c’è rassegnazione. Il gioco della vita non è riconducibile a un
labirinto se non per chi pensa che ci sia comunque una via d’uscita che porti
da qualche altra parte che non sia la vita stessa. La partita, in realtà, si
gioca tutta qui, bella o brutta, questa è l’unica partita che ci è consentita
giocare. Tutto sommato non è poca cosa di fronte al nulla. Dick canta la vita,
tutti i suoi personaggi, nonostante il peso del fallimento che li accompagna
sempre, lottano e per ciò vivono, come parte del processo della vita. Sono
dentro, sono parte di qualcosa che vale la pena di essere indagato, interrogato
e quindi vissuto da pari a pari, da uomo a dio (che poi è la stessa cosa)
nell’infinita povertà, altissima povertà di entrambi. Dick costantemente
interroga il divino da lui stesso immaginato e ‘fecondato’. Mr. Lars interroga
Orville, il derivato industriale di un suo progetto che doveva servire per
costruire un’arma; un po’ come internet che doveva servire a scopi militari per
divenire poi un enorme gioco collettivo. Lars/Dick chiede al buon vecchio
Orville se faceva un errore a compiangere se stesso: “Chi sono io? (…) cosa sono diventato?” “Lei è un reietto. Un
vagabondo. Un esule.” La lapidaria risposta. Ma ancora: “Lei è Waffenlos, disarmato… in senso
figurato e in senso letterale. Lei non produce armi, come la sua ditta finge di
fare ufficialmente. E lei è Waffenlos in un altro senso, più biologico. Lei è
indifeso. Come il giovane Sigfrido, prima di uccidere il drago, beve il suo
sangue e capisce la canzone dell’uccellino, o come Parsifal, prima di
apprendere il suo nome dalle fanciulle dei fiori, lei è innocente. Forse in
senso malvagio.” Le osservazioni di
Pagetti sul sottotesto erotico sono certo pertinenti e la soluzione di tradurre
il sostantivo plowshare (vomere) coniugato da Dick in forma di verbo con
‘fecondare’ rende giustizia della prima traduzione di Galassia che sbrigava la
questione con un fuorviante ‘fare a pezzi’ o ‘amputare’, come se si trattasse
di un tradimento o svilimento del progetto originale dell’arma in una sorta di
sottoprodotto commerciale. Ma in realtà non c’è nulla di erotico in
sottotraccia, è già tutto in superficie, alla luce del sole. E il semi-finale
del romanzo vede il buon vecchio Orville suggerire a Mr. Lars: “si porti questa ragazza in camera da letto
e consumi un rapporto sessuale con lei” in una vera e propria anticipazione
del finale di Eyes Wide Shut di Kubrick. Tutt’altro che un sottofondo, il
sesso, i corpi che si desiderano, si confrontano e soprattutto confliggono sono
al centro di questo vero e proprio dramma sotto mentite spoglie parodiche. Lilo
Topchev non è una semplice amante, l’ennesimo oggetto del desiderio che
sostituisce il precedente corpo usurato dall’abitudine; è la donna, la rivale
che si dimostra capace di fecondare il corpo e lo spirito di Mr. Lars. È sì,
per Dick, l’amore che insieme al potere “governano
la storia dell’umanità”, ma è il conflitto, la capacità di confliggere che
rende possibile quel “principio
risanatore, banalmente definito ‘amore’”.
Nota 1: Tania Rispoli, Tra teoria politica e antropologia materialistica. Intervista a
Paolo Virno (qui)
Nota 2: Carlo Pagetti, Introduzione in Philip K. Dick, Mr.
Lars sognatore d’armi,
Nota 3: Ibidem
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