giovedì 18 gennaio 2018

Sofferenza


Per la generazione del lavoro precario (e quindi anche dall’esistenza precaria), che caratterizza il mondo contemporaneo, il vissuto patologico che da ciò scaturisce è fonte di una incessante sofferenza diffusa. Ma per Franco Berardi Bifo proprio “questa sofferenza può diventare l’energia da cui ripartire; a cominciare da un’azione che non è politica ma che è essenzialmente terapeutica.”1 Si potrebbe proseguire con le parole di un personaggio di un racconto di Dick: “Se solo potessimo soffrire- pensò. –È questo che ci manca: la vera conoscenza del dolore” e ancora: “La sensazione era dolore assoluto… era questo che lo atterriva, che lo tratteneva. Era incredibile che la gente potesse deliberatamente cercarlo, invece di evitarlo. Afferrare quelle maniglie non era certamente l’atto di una persona che cerca di fuggire. Non era la fuga da qualcosa, ma la ricerca di qualcosa. E non il dolore come tale; Crofts non era così ingenuo da credere che i merceriani fossero banali masochisti. Era il significato del dolore che li attirava. I seguaci di Mercer soffrivano per qualcosa. A voce alta, disse: -Per loro la sofferenza è un mezzo per negare le loro esistenze private, personali. È una comunione nella quale tutti soffrono e sperimentano il martirio di Mercer, tutti insieme.- Come l’Ultima Cena, pensò. Questa è la chiave: la comunione, la partecipazione che sta alla base di tutte le religioni. O così dovrebbe essere. La religione lega i fedeli in un corpo unico, lasciando fuori tutti gli altri.” I SEGUACI DI MERCER (1964)  Un essere che si vuole privo di sofferenza è per Dick un essere che si vuole chiudere in sé stesso, che non vuole rinunciare a essere sempre identico a sé stesso. Pervicacemente incatenato alla propria identità. “-Perché il bambino non parla? Spiegamelo.- -Per sfuggire alla sua terribile visione, lui torna indietro, a giorni più felici: i giorni passati nel grembo materno, dove non c’è nessun altro, nessun cambiamento, non c’è il tempo e non c’è la sofferenza. La vita uterina. Si dirige là, verso l’unica felicità che abbia mai conosciuto, Manfred si rifiuta di lasciare quel luogo a lui caro.-“ NOI MARZIANI (1962) Quel “luogo caro” di una corporeità sentita come fortezza inespugnabile. Abusando ancora di Bifo possiamo concordare con lui che il “rivendicare il corpo non vuol dire rivendicare l’identità del corpo “ quanto piuttosto “rivendicarne proprio un divenire l’altro corpo attraverso l’erotismo, attraverso l’arte, attraverso la terapia, attraverso l’educazione, attraverso lo scambio culturale…”. La sofferenza è vitale perché fa parte della vita, ci connette alla vita reale. “Dio mi è testimone che non volevo soffrire per mano di Pris o di chiunque altro. Ma la sofferenza era l’indicazione che la realtà restava a portata di mano.” L’ANDROIDE ABRAMO LINCOLN (1962) Ma la sofferenza è ancora qualcosa che va oltre la realtà, che può riunirci a ciò che non c’è più, che è andato perduto per sempre: “ma soffrire è morire ed essere vivi allo stesso tempo. L’esperienza più assoluta, più totale che si possa provare. La forza. A volte giurerei che non siamo stati creati per superare un ostacolo simile. È troppo. Il corpo arriva quasi a distruggersi, con tutti quei sussulti, quelle contorsioni. Ma io voglio provare dolore. Versare lacrime. –Perché? – Jason non riusciva a capirlo; per lui era una cosa da evitare. Appena cominciava a provarla, se la dava a gambe. Ruth disse: -La sofferenza ti unisce di nuovo a ciò che hai perso. È una fusione.” SCORRETE LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO (1970).


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