“Insomma,
dovete tener presente che dopo tutto siamo fatti solo di polvere. Ammetterete
che non è molto se si vuole tirare avanti; e non dovremmo dimenticarcelo. Ma
anche tenendo conto di questo, che non è certo un bell’inizio, non ce la stiamo
cavando tanto male. Insomma, personalmente sono convinto che ce la possiamo
fare anche in questa situazione del cavolo in cui ci troviamo. Mi seguite?” LE TRE STIMMATE DI PALMER ELDRITCH
(1964). Detto in altre parole da un altro autore mezzo secolo prima: “’L’uomo è fatto di vile materia!’ Che noi
stendiamo o abbassiamo le braccia, che non sappiamo se volgerci a destra o a
sinistra, che siamo fatti di abitudini, di pregiudizi e di polvere, e tuttavia
avanziamo secondo le nostre forze per la nostra strada; qui sta appunto
l’umano!”(nota 1) Ma se questo essere polvere non ci impedisce
di percorrere quella strada che sentiamo come umana (se non proprio al di
sopra, comunque altra da quella specificamente animale e istintiva) in che cosa
potremmo distinguere tale natura particolare dalle altre? “-La misura di un uomo non è la sua intelligenza. Non è il livello che
può raggiungere nel sistema dei fenomeni di natura. La misura di un uomo è
questa: con quale rapidità sa reagire ai bisogni di un’altra persona? E quanto di
se stesso può dare? Quando il dare è autentico dare, non riceve nulla in
cambio, o almeno…”-“ NOSTRI AMICI DI
FROLIX 8 (1968-9) I nostri amici alieni di Frolix 8 ci forniscono una
risposta saggia, la capacità di aver cura dell’altro è ciò che ci rende umani.
È una risposta che in Dick è già presente fin dai suoi primi racconti come UMANO E’ del 1955 in cui una donna, il
cui marito odioso all’improvviso diviene affettuoso e premuroso, scopre che
questo è dovuto al fatto che un alieno si è sostituito a lui. Sospettato dalla
polizia, la moglie ne garantisce l’identità umana. Essere alieni non preclude
necessariamente possedere quelle caratteristiche che noi attribuiamo, o
vorremmo attribuire, all’umano in quanto tale. Ma Dick ci ha anche abituato a
non renderci le cose troppo facili e tutto si complica quando la natura
dell’altro si configura come artificiale (artefatto, costruito e quindi non
naturale). I replicanti o androidi, sono esseri artificiali, prodotti di
laboratorio, e sono privi di empatia. Se hanno ricordi, emozioni o altro,
questi sono stati implementati, a monte, nel loro programma. E se con gli
animali possiamo provare un certo disagio nello sfoggiare una nostra pretesa
superiorità, in quanto ‘umani’, con degli esseri artificiali, in qualche modo
inautentici, queste remore non possono sussistere. Ma Dick riesce a complicare
anche questo. “-Se risulto essere un
androide,- continuò a dire Phil Resch –la tua fede nel genere umano subirà un
rafforzamento. Ma siccome non credo che andrà così, ti suggerisco di cominciare
a farti un quadro ideologico che giustifichi” la crudeltà e la mancanza di
empatia anche in un essere autenticamente umano, MA GLI ANDROIDI SOGNANO LE
PECORE ELETTRICHE? (1966) Un essere che in tutto ci assomiglia, per quanto
crudele possa essere, è giusto che non venga considerato umano? Su quali basi
possiamo farlo? Se non riconosciamo come umano un essere che in tutto è simile
a noi tranne per una presunta natura non umana, come potremmo garantirci di non
essere a nostra volta esclusi, non riconosciuti in base a una qualche altra
presunta differenza? Razza, cultura, religione, colore…
Nota 1: Robert Musil, L'uomo senza qualità.
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