Se ci è data oltre la vita
anche il dover morire allora qualche colpa dovremmo pure avercela. In GUARITORE GALATTICO (1967) “la morte e la colpa sono collegate”, “la
consapevolezza della colpa lo avvolse come un mantello di raso dorato. Una
vergogna talmente pura da possedere un che di archetipico, come se Joe stesse
rivivendo la vergogna primordiale di Adamo, il primo senso di evidenza sotto lo
sguardo di Dio”. In modo più o meno esplicito il senso di colpa attraversa
l’intero corpus dell’opera dickiana tanto che paradossalmente è spesso
impossibile isolarlo in momenti specifici. Morte, suicidio, peccato,
fallimento, masochismo, tutte voci che esprimono questa fatale sensazione di
qualcosa di sbagliato che è stato fatto, da noi o da altri, poco importa. Una
eredità di cui l’essere umano non potrà mai sbarazzarsi una volta per tutte.
Una forte ipoteca al desiderio assillante di libertà. Nel racconto SPERO DI ARRIVARE PRESTO (1980) un
astronauta costretto a viaggiare nello spazio in solitudine per dieci anni
senza poter stare in sospensione criogenica, per non impazzire viene aiutato
dal solito computer dell’astronave che lo fa stare in una specie di stato
ipnotico in cui rivivere creativamente i propri ricordi. Ma ogni sogno indotto
viene rovinato da un qualche senso di colpa pronto a saltar fuori
dall’inconscio profondo. Ogni occasione è buona perché il ricordo di una
qualunque azione di cui non essere proprio orgogliosi, e come non avercene, si
trasformi nella lacerante sensazione del rimorso.
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