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(Intervento dal pubblico): nella distinzione tra l’androide e l’uomo la
manualità che contraddistingue il secondo è quella componente che in definitiva
salva l’umano?
Salva si e no, io sono molto convinto di questa
cosa, tanto e vero che sto preparando un libro su Philip K. Dick con un mio
collega che uscirà il prossimo anno1, abbiamo fatto un piccolo
dizionario dickiano, in cui compaiono una ventina di termini chiave, uno di
questi è artigiano. Un romanzo molto significativo da questo punto di vista è
Guaritore galattico, c’è un personaggio che fa i vasi…, ora forse la cosa più
importante è il ruolo degli oggetti come ad esempio in L’uomo dell’alto castello. Ma perché sono importanti per lui? Perché
indicano una sorta, una specie di indicatore di utilità sociale. Questi
personaggi, che poi sono gli unici che si salvano… Concordo con Giuliano2
che Isidore fa parte si e no di questa categoria, Ma gli androidi sognano le pecore elettriche? è un romanzo
complesso, che confesso io avevo capito poco tanti anni fa e soltanto Blade
Runner e il tradimento che ne ha fatto (si chiama Sebastian nel film il
personaggio di Isidore) per quanto gli sceneggiatori abbiano tradito il romanzo, gli hanno
amputato la parte più interessante, che è quella di Mercer, quella che faceva
capire tutto il resto e quindi hanno dovuto ricorrere ad altre cose, però pur
in questo tradimento hanno mostrato un’ambiguità tra l’uomo e l’androide che
nel romanzo c’è meno ma che in altri suoi romanzi, se uno li mette insieme
fanno venir fuori la figura dell’androide senza quell’insopportabile, per me,
coté decadentista di Riddley Scott, la colombina che sale al cielo ce la poteva
risparmiare, ma chiudiamo la parentesi. Allora Isidore un po’ meno ma in tutti
questi altri personaggi c’è, quello che Dick ci vuole dire, perlomeno quello
che anche lui poi intendeva, che la manualità è un indice di rapporti sociali
basati, per dirla in termini marxiani, più sul valore d’uso che sul valore di
scambio. Usciamo fuori dalla socialità imposta… io capisco il fascino che Dick
esercita su molti psichiatri come per altro Ballard, quest’anno abbiamo fatto
parecchi convegni in giro su Ballard, c’era sempre uno psichiatra che stava
studiando Ballard e diceva delle cose interessanti poi però tra Freud e Jung e noi
ci stanno Deleuze e Guattari, ‘L’anti-edipo’ e ci sta tutta la critica a questo
concetto di mancanza sul quale secondo me la psicologia a volte casca, perché
credo che in gran parte il mondo di Dick sia difficilmente interpretabile
facendo leva sul concetto di mancanza, il mondo di Dick è un mondo troppo pieno
non è che ci manca qualcosa, ci sono troppe cose semai, non è che ce ne
mancano, ma è un discorso che ci porterebbe lontano. Dick aveva una visione
molto pratica delle cose… in genere chi è che si salva nei suoi romanzi? In L’uomo dell’alto castello si salva
Juliana che è quella che fa i gioielli, perché fa delle cose che poi alla gente
servono in qualche modo. In questo romanzo c’è tutta una critica da un punto di
vista del feticismo, stando più aderenti alla matrice marxiana, che non alla
visione freudiana. Tutta la storia delle armi antiche è una critica… nel
romanzo molti degli americani sopravvivono trafficando delle cose per cui i
giapponesi stravedono e sono oggetti, manufatti della cultura americana di un
tempo che non c’è più, statunitense non americana nativa, e allora ci sono
questi che fabbricano gli oggetti falsi e li vendono per veri. Questa è una
straordinaria critica del sistema delle merci, in un qualche modo anche se Dick
non era affatto marxista, non lo era mai stato però aveva assorbito tutta
quell’aura della controcultura americana che anch’essa era stata ben poco
influenzata dal marxismo ma più da altri filoni di critica anticapitalistica
non marxisti. La critica al sistema delle merci comunque c’è e io credo che la
figura dell’artigiano vada connessa con questo genere di cose, cioè con una
critica implicita di Dick, molto forte, almeno in un certo periodo della sua
vita, poi perse un po’ di interesse, nella filosofia di Valis non c’è più, si
parla d’altro. Lui cerca in questi romanzi veramente di risolvere il problema
ontologico, di dire cos’è la realtà, almeno in questa fase che io credo poi la
più felice narrativamente, la trilogia di Valis è molto bella però per altri
motivi, da un certo punto di vista il suo periodo migliore rimane quello dal
’63 al ’69, dal L’uomo dell’alto castello
fino a Ubik più altre cose molto
importanti dopo. Artigianato, feticismo, manualità questi sono temi in cui in
qualche modo mostra, se mostra, qualche possibile via di fuga.
Philip K. Dick al Leoncavallo |
_ (dal pubblico): Dick scrive male e i suoi libri scritti agli inizi della sua vita sono brutti, poco interessanti. Ha sofferto nel non essere un vero scrittore.
Dick voleva fare lo scrittore e non lo scrittore
di fantascienza. Lui è partito con l’intenzione di voler scrivere narrativa
realistica, voleva raccontare, descrivere la provincia americana; aveva dello
scrittore, del vero scrittore, narratore, alcune caratteristiche fondamentali,
tra cui l’acutezza di osservazione e la paranoia osservativa. In qualche modo
poi aveva altre doti che altri scrittori non hanno, era molto chiacchierone,
per l’umorismo non si sa, perché bisogna essere amici suoi a volte per ridere
alle cose sue, però era brillantissimo in conversazione e alle volte un po’
buffonesco, almeno da certe testimonianze che rimangono dei suoi amici. Però
nonostante questo l’atteggiamento di fondo dello scrittore ce l’aveva. Fa
alcuni tentativi e vede che nessuno gli pubblica nulla e poi per caso gli
pubblicano dei racconti di fantascienza. Dick per molti anni ha avuto questo
come cruccio, poi quando ha sposato Anne Williams Rubinstein che era una
poetessa, anche se pare mediocre, comunque era una che scriveva, faceva parte
del mondo intellettuale californiano per cui lui in tutti quegli anni ha
cercato di farsi accreditare come scrittore vero. Però da un certo momento in
poi, il fatto che avesse comunque un relativo successo nella fantascienza,
L’uomo dell’alto castello ebbe un premio Hugo, premio che gli appassionati
danno agli scrittori, non è certo il premio Nebula, molto più prestigioso
perché se lo danno fra di loro gli scrittori, il premio Hugo lo danno gli
appassionati e quindi a volte vengono premiate delle ciofeche che non si può
neanche dire, però a chi piace la fantascienza… però per chi conferma un minimo
di distanza critica… però in quel caso il premio fu giusto. Quando cominciarono
a invitarlo nelle convention di
fantascienza, un po’ questo trip di inferiorità gli è passato, qualche
soddisfazione ce l’aveva e poi quando i professori universitari canadesi di
Science-Fiction Studies cominciarono a pubblicare saggi su di lui, Ursula K. Le
Guin figlia di un grande antropologo e scrittrice affermata lo stima e scrive
cose su di lui, come Stanislav Lem che dice che Dick è un grande ecc. Insomma…
Alcuni studiosi marxisti, marxisti da cattedra si
potrebbe dire, parafrasando i marxisti da cattedra dell’Ottocento, di
impostazione marxista che vivevano prevalentemente in Canada, tra cui uno che
viene invece dal centro Europa, uno che ora vive in Italia e si chiama Darko
Suvin, un Croato, uomo di vasta cultura ecc., diedero vita a una rivista
chiamata appunto Science-Fiction Studies, però Science-Fiction è scritto col
trattino in mezzo, perché loro erano appunto universitari e dovevano
distinguersi dal povero Cristo che leggeva Scince Fiction senza trattino,
quindi Science trattino Fiction Studies , così sono fatti gli universitari,
senza offesa naturalmente, almeno molti di loro insomma. Però erano testi, a
volte un po’ noiosetti, c’era un abuso ad esempio di critica strutturalista,
faccio mea culpa perché pure io ho scritto un saggio3 su Dick
facendo uso del quadrato aristotelico, sono peccati di gioventù, anche se
giovane non ero più. Allora pur con tutti questi limiti gli autori privilegiati
da questo gruppo furono Ursula K. Le Guin e Philip K. Dick. Dal punto di vista
dello stile sono d’accordo con lei ma questo ci serve per capire che ci sono
tanti tipi diversi di scrittori e di scrittura, allora scrive male in che
senso? E’ uno che scrive rapido, non a cottimo ma di gran getto. Scrive in modo
diverso da come scrive male Stephen King, dirò una cosa impopolare, anche
Stephen King scrive male, ma per una ragione opposta a quella di Dick, perché
Stephen King è pretenzioso, cioè pretende di usare uno stile da grande
letteratura e non ne ha i mezzi e quindi casca spesso, fa delle cose mediocri
che a me danno più fastidio… se voi prendete ‘L’ombra dello scorpione’, la
versione in cui quando è diventato
famoso ha finalmente ripristinato le parti che un provvidenziale editor gli
aveva tagliato nei primi tempi e da 350 pagine lo riporta a 600 pagine, è una
cosa irritante. Dick è tutt’altro, Dick a volte è un po’ sciatto. Se prendete
un altro scrittore importante delle ultime leve, uno scrittore cyberpunk,
William Gibson, siamo agli antipodi. Gibson ha uno stile molto estetizzante,
una cura della parola centellinata. E’ difficilissimo tradurre Gibson, infatti
abbiamo più volte lamentato come sia stato sconciato ‘Neuromante’ in italiano,
dato da tradurre a due onesti artigiani, uno dei quali non c’è neanche più, non
è per infierire quindi, ma persone che non erano in grado di tradurre uno così.
Tradurre Dick è relativamente più semplice, non ha tutte queste ricercatezze
linguistiche, ma la scrittura di Dick… Dick aveva un modo magico e
terribilmente convincente di tradurre sulla pagina e anche rapidamente,
schizzando con poche… cioè se lo traslate nella pittura, un po’ come Leonardo,
scusate, ma insomma uno che non finisce le cose alle volte, le lascia
abbozzate, ma c’è un fuoco interno, lui è talmente convinto e ha talmente ben
organizzati i temi e le robe narrative nella sua testa che anche con quel modo
di scrittura le cose traspaiono e voi e noi e tutti quelli che lo leggiamo
siamo affascinati, non riusciamo a staccare gli occhi dalla pagina, non
riusciamo a mettere via il libro. Io ci ho messo anni ad accorgermi che Dick
aveva questo problema, perché i primi libri di Dick che ho letto credevo che
fossero delle grandi cose anche dal punto di vista dello stile, mi aveva
fregato. Poi uno legge e rilegge, ormai sono quasi trent’anni che non faccio
altro, tra le tante altre cose. Ci sono rimasto male pure io all’inizio, poi ho
riflettuto e mi sono detto: bene c’è una scrittura alla Proust e una alla
Balzac. Dick sta tra i due, anche Balzac ha alle volte delle cose tirate via,
anche Dickens, non c’è niente di strano, niente di male. Siccome noi tutti
veniamo dopo Mallarmé, dopo Rilke, non è che tutti devono scrivere come loro,
sono modelli e stili che vanno bene però ce ne sono anche altri, c’è Joyce, che
io amo tantissimo, col suo sperimentalismo verbale ecc. e ci sono altri modelli
di scrittura, Dick è uno di questi e ci insegna a essere modesti… è uno stile
anche quello, diverso da altri, con opzioni diverse.
Su Blade Runner vi ho già detto, cioè Blade Runner
è un tradimento fondamentale un film poco dickiano da un certo punto di vista
perché sottolinea cose che in Dick non ci sono e preoccupazioni che Dick non
ha. Io continuo a sostenere che il film più onestamente dickiano, e non
sputatemi addosso, sia Total Recall, perché Total Recall ha dentro la squadra
che fece la sceneggiatura un grande personaggio, si chiama Dan O’Bannon che è
all’origine di un grande film, Heavy Metal, grande film, se non siete d’accordo
con me (parola non udibile), insomma un vero dickiano. Totale Recall sotto, ma
neanche sotto, Dick faceva avventura, tutta questa roba di Marte è atmosfera
veramente dickiana. Poi ci sono un sacco di cose che nel raccontino non ci
sono, perché il racconto We can remember
it for you wholesale è di 15 pagine per cui è ovvio che per fare un film di
un’ora e mezza… è come adesso Minority Report, ci sono delle cose che nel
racconto non c’erano. Ma tutte le cose che hanno aggiunto gli sceneggiatori in
Total Recall sono cose plausibilmente dickiane, fanno parte del suo universo.
Gli altri mi sembrano tutti un po’… Streamers è un filmetto, il regista non è un
gran ché, è mediocre lui. Confessions d’un Barjo non l’ho visto. Minority Report, trovo che
Spielberg ha fatto il suo lavoro e quindi ha ovviamente fallito. Del resto
Spielberg ha fatto due grandi film all’inizio, poi dopo Duel e dopo Lo squalo…
Cosa ha fatto Spielberg? Non ha utilizzato due delle cose principali che ci
sono in quel racconto, cioè il discorso politico contro la società orwelliana e
il discorso filosofico sulla possibilità. Minority Report vuol dire rapporto di
minoranza, c’è un rapporto di minoranza, la realtà non ha un futuro unico, c’è
Borges con ‘Il giardino dei sentieri che si biforcano’ in cui il mondo è una pluralità di possibili.
Tutta questa cosa nel film non c’è più, come c’era nel racconto. Non c’è una
vera visione differente da parte della terza precog femminile, c’è dietro una
roba che lei non poteva sapere, la scena che appare nella realtà, nel film e
nella visione della precog, cioè Tom Cruise che sembrerebbe ammazzare l’altro è
uguale e identica, non c’è la terza versione. C’è tutto questo pasticcetto,
lasciatemelo dire, della storia delle onde, per cui essendosi perso quella cosa
lì ne deve costruire un’altra. Fatemi dire però che sono quasi più belli i film
su Dick che non sono tratti da Dick. Non Peter Weir con The Truman Show ma
eXistenZ di Cronenberg, tutto Cronenberg. Cronenberg è uno che fa film su Dick
anche quando non lo dice. In eXistenZ invece voi sapete, lo dice, perché ci
sono delle citazioni esplicite per i lettori di Dick. Quando i due scappano e
vanno in un motel e mangiano delle pizze, mentre le mangiano la macchina da
presa fa uno zoom, inspiegabile dal punto di vista narrativo, sul sacchettino
che conteneva le pizze e che sta su un mobile, la macchina zumma e sul
sacchettino c’è scritto Perky Pat. I
giorni di Perky Pat è il racconto che verrà poi ampliato in Le tre stimmate
di Palmer Eldritch. Il suo cinema è disseminato di cose così, sembra proprio
che dica guardate le ho prese da Dick. E tutto il film ha esattamente
l’andamento di Ubik e di Le tre stimmate di Palmer Eldritch, tu
passi da un mondo all’altro e non sai più quale è e queste sono cose
tipicamente dickiane. Cronenberg è un grande autore di cinema in modo diverso
dalla nostra concezione europeo di film d’autore, fa cinema anche popolare, e
lui è ballardiano come è dickiano come è burroughsiano.
_
dal pubblico si cita il film Brazil
Si certo anche Brazil di Tery Gilliam, e vi dirò
che secondo me Minority Report deve molto dal punto di vista visivo a Brazil,
perché ha preso le stesse idee, facendole poi in maniera diversa, ma di una
tecnologia molto sottile sul piano dell’informazione ma molto spessa, densa sul
piano fisico. E’ vero che i CD-Rom sono tutti trasparenti ma avete visto quanto
sono spessi, sono spesse le pareti del circuito in cui cade la palla, quella
pallina è una bellissima invenzione in Minority Report. Tutto questo secondo me
deriva da una intuizione bellissima di Terry Gilliam fatta a suo tempo. Brazil
è il primo film in cui c’era questa idea che la tecnologia del futuro non fosse
così immateriale, che potesse quasi anzi essere più materiale…
(fine della registrazione)
1 Antonio
Caronia e Domenico Gallo, Philip K. Dick
la macchina della paranoia, Milano, Agenzia X 2006.
2 Domanda
precedente (non udibile nella registrazione)
3 A. Caronia, Inchiostro acquoso e storie confuse. Corpo e
media in Dick, in Philip K. Dick. Il
sogno dei simulacri, a cura di Gianfranco Viviani e Carlo Pagetti. Milano,
Editrice Nord, 1989. (qui)
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