mercoledì 26 novembre 2014

Antonio Caronia: Feticcio e mondo artificiale in Philip K. Dick - II^ Parte


_ (Intervento dal pubblico): nella distinzione tra l’androide e l’uomo la manualità che contraddistingue il secondo è quella componente che in definitiva salva l’umano?
Salva si e no, io sono molto convinto di questa cosa, tanto e vero che sto preparando un libro su Philip K. Dick con un mio collega che uscirà il prossimo anno1, abbiamo fatto un piccolo dizionario dickiano, in cui compaiono una ventina di termini chiave, uno di questi è artigiano. Un romanzo molto significativo da questo punto di vista è Guaritore galattico, c’è un personaggio che fa i vasi…, ora forse la cosa più importante è il ruolo degli oggetti come ad esempio in L’uomo dell’alto castello. Ma perché sono importanti per lui? Perché indicano una sorta, una specie di indicatore di utilità sociale. Questi personaggi, che poi sono gli unici che si salvano… Concordo con Giuliano2 che Isidore fa parte si e no di questa categoria, Ma gli androidi sognano le pecore elettriche? è un romanzo complesso, che confesso io avevo capito poco tanti anni fa e soltanto Blade Runner e il tradimento che ne ha fatto (si chiama Sebastian nel film il personaggio di Isidore) per quanto gli sceneggiatori  abbiano tradito il romanzo, gli hanno amputato la parte più interessante, che è quella di Mercer, quella che faceva capire tutto il resto e quindi hanno dovuto ricorrere ad altre cose, però pur in questo tradimento hanno mostrato un’ambiguità tra l’uomo e l’androide che nel romanzo c’è meno ma che in altri suoi romanzi, se uno li mette insieme fanno venir fuori la figura dell’androide senza quell’insopportabile, per me, coté decadentista di Riddley Scott, la colombina che sale al cielo ce la poteva risparmiare, ma chiudiamo la parentesi. Allora Isidore un po’ meno ma in tutti questi altri personaggi c’è, quello che Dick ci vuole dire, perlomeno quello che anche lui poi intendeva, che la manualità è un indice di rapporti sociali basati, per dirla in termini marxiani, più sul valore d’uso che sul valore di scambio. Usciamo fuori dalla socialità imposta… io capisco il fascino che Dick esercita su molti psichiatri come per altro Ballard, quest’anno abbiamo fatto parecchi convegni in giro su Ballard, c’era sempre uno psichiatra che stava studiando Ballard e diceva delle cose interessanti poi però tra Freud e Jung e noi ci stanno Deleuze e Guattari, ‘L’anti-edipo’ e ci sta tutta la critica a questo concetto di mancanza sul quale secondo me la psicologia a volte casca, perché credo che in gran parte il mondo di Dick sia difficilmente interpretabile facendo leva sul concetto di mancanza, il mondo di Dick è un mondo troppo pieno non è che ci manca qualcosa, ci sono troppe cose semai, non è che ce ne mancano, ma è un discorso che ci porterebbe lontano. Dick aveva una visione molto pratica delle cose… in genere chi è che si salva nei suoi romanzi? In L’uomo dell’alto castello si salva Juliana che è quella che fa i gioielli, perché fa delle cose che poi alla gente servono in qualche modo. In questo romanzo c’è tutta una critica da un punto di vista del feticismo, stando più aderenti alla matrice marxiana, che non alla visione freudiana. Tutta la storia delle armi antiche è una critica… nel romanzo molti degli americani sopravvivono trafficando delle cose per cui i giapponesi stravedono e sono oggetti, manufatti della cultura americana di un tempo che non c’è più, statunitense non americana nativa, e allora ci sono questi che fabbricano gli oggetti falsi e li vendono per veri. Questa è una straordinaria critica del sistema delle merci, in un qualche modo anche se Dick non era affatto marxista, non lo era mai stato però aveva assorbito tutta quell’aura della controcultura americana che anch’essa era stata ben poco influenzata dal marxismo ma più da altri filoni di critica anticapitalistica non marxisti. La critica al sistema delle merci comunque c’è e io credo che la figura dell’artigiano vada connessa con questo genere di cose, cioè con una critica implicita di Dick, molto forte, almeno in un certo periodo della sua vita, poi perse un po’ di interesse, nella filosofia di Valis non c’è più, si parla d’altro. Lui cerca in questi romanzi veramente di risolvere il problema ontologico, di dire cos’è la realtà, almeno in questa fase che io credo poi la più felice narrativamente, la trilogia di Valis è molto bella però per altri motivi, da un certo punto di vista il suo periodo migliore rimane quello dal ’63 al ’69, dal L’uomo dell’alto castello fino a Ubik più altre cose molto importanti dopo. Artigianato, feticismo, manualità questi sono temi in cui in qualche modo mostra, se mostra, qualche possibile via di fuga.


Philip K. Dick al Leoncavallo

_ (dal pubblico): Dick scrive male e i suoi libri scritti agli inizi della sua vita sono brutti, poco interessanti. Ha sofferto nel non essere un vero scrittore.
Dick voleva fare lo scrittore e non lo scrittore di fantascienza. Lui è partito con l’intenzione di voler scrivere narrativa realistica, voleva raccontare, descrivere la provincia americana; aveva dello scrittore, del vero scrittore, narratore, alcune caratteristiche fondamentali, tra cui l’acutezza di osservazione e la paranoia osservativa. In qualche modo poi aveva altre doti che altri scrittori non hanno, era molto chiacchierone, per l’umorismo non si sa, perché bisogna essere amici suoi a volte per ridere alle cose sue, però era brillantissimo in conversazione e alle volte un po’ buffonesco, almeno da certe testimonianze che rimangono dei suoi amici. Però nonostante questo l’atteggiamento di fondo dello scrittore ce l’aveva. Fa alcuni tentativi e vede che nessuno gli pubblica nulla e poi per caso gli pubblicano dei racconti di fantascienza. Dick per molti anni ha avuto questo come cruccio, poi quando ha sposato Anne Williams Rubinstein che era una poetessa, anche se pare mediocre, comunque era una che scriveva, faceva parte del mondo intellettuale californiano per cui lui in tutti quegli anni ha cercato di farsi accreditare come scrittore vero. Però da un certo momento in poi, il fatto che avesse comunque un relativo successo nella fantascienza, L’uomo dell’alto castello ebbe un premio Hugo, premio che gli appassionati danno agli scrittori, non è certo il premio Nebula, molto più prestigioso perché se lo danno fra di loro gli scrittori, il premio Hugo lo danno gli appassionati e quindi a volte vengono premiate delle ciofeche che non si può neanche dire, però a chi piace la fantascienza… però per chi conferma un minimo di distanza critica… però in quel caso il premio fu giusto. Quando cominciarono a invitarlo nelle convention  di fantascienza, un po’ questo trip di inferiorità gli è passato, qualche soddisfazione ce l’aveva e poi quando i professori universitari canadesi di Science-Fiction Studies cominciarono a pubblicare saggi su di lui, Ursula K. Le Guin figlia di un grande antropologo e scrittrice affermata lo stima e scrive cose su di lui, come Stanislav Lem che dice che Dick è un grande ecc. Insomma…



_ Domanda su cos’era Science Fiction Studies
Alcuni studiosi marxisti, marxisti da cattedra si potrebbe dire, parafrasando i marxisti da cattedra dell’Ottocento, di impostazione marxista che vivevano prevalentemente in Canada, tra cui uno che viene invece dal centro Europa, uno che ora vive in Italia e si chiama Darko Suvin, un Croato, uomo di vasta cultura ecc., diedero vita a una rivista chiamata appunto Science-Fiction Studies, però Science-Fiction è scritto col trattino in mezzo, perché loro erano appunto universitari e dovevano distinguersi dal povero Cristo che leggeva Scince Fiction senza trattino, quindi Science trattino Fiction Studies , così sono fatti gli universitari, senza offesa naturalmente, almeno molti di loro insomma. Però erano testi, a volte un po’ noiosetti, c’era un abuso ad esempio di critica strutturalista, faccio mea culpa perché pure io ho scritto un saggio3 su Dick facendo uso del quadrato aristotelico, sono peccati di gioventù, anche se giovane non ero più. Allora pur con tutti questi limiti gli autori privilegiati da questo gruppo furono Ursula K. Le Guin e Philip K. Dick. Dal punto di vista dello stile sono d’accordo con lei ma questo ci serve per capire che ci sono tanti tipi diversi di scrittori e di scrittura, allora scrive male in che senso? E’ uno che scrive rapido, non a cottimo ma di gran getto. Scrive in modo diverso da come scrive male Stephen King, dirò una cosa impopolare, anche Stephen King scrive male, ma per una ragione opposta a quella di Dick, perché Stephen King è pretenzioso, cioè pretende di usare uno stile da grande letteratura e non ne ha i mezzi e quindi casca spesso, fa delle cose mediocri che a me danno più fastidio… se voi prendete ‘L’ombra dello scorpione’, la versione in cui quando  è diventato famoso ha finalmente ripristinato le parti che un provvidenziale editor gli aveva tagliato nei primi tempi e da 350 pagine lo riporta a 600 pagine, è una cosa irritante. Dick è tutt’altro, Dick a volte è un po’ sciatto. Se prendete un altro scrittore importante delle ultime leve, uno scrittore cyberpunk, William Gibson, siamo agli antipodi. Gibson ha uno stile molto estetizzante, una cura della parola centellinata. E’ difficilissimo tradurre Gibson, infatti abbiamo più volte lamentato come sia stato sconciato ‘Neuromante’ in italiano, dato da tradurre a due onesti artigiani, uno dei quali non c’è neanche più, non è per infierire quindi, ma persone che non erano in grado di tradurre uno così. Tradurre Dick è relativamente più semplice, non ha tutte queste ricercatezze linguistiche, ma la scrittura di Dick… Dick aveva un modo magico e terribilmente convincente di tradurre sulla pagina e anche rapidamente, schizzando con poche… cioè se lo traslate nella pittura, un po’ come Leonardo, scusate, ma insomma uno che non finisce le cose alle volte, le lascia abbozzate, ma c’è un fuoco interno, lui è talmente convinto e ha talmente ben organizzati i temi e le robe narrative nella sua testa che anche con quel modo di scrittura le cose traspaiono e voi e noi e tutti quelli che lo leggiamo siamo affascinati, non riusciamo a staccare gli occhi dalla pagina, non riusciamo a mettere via il libro. Io ci ho messo anni ad accorgermi che Dick aveva questo problema, perché i primi libri di Dick che ho letto credevo che fossero delle grandi cose anche dal punto di vista dello stile, mi aveva fregato. Poi uno legge e rilegge, ormai sono quasi trent’anni che non faccio altro, tra le tante altre cose. Ci sono rimasto male pure io all’inizio, poi ho riflettuto e mi sono detto: bene c’è una scrittura alla Proust e una alla Balzac. Dick sta tra i due, anche Balzac ha alle volte delle cose tirate via, anche Dickens, non c’è niente di strano, niente di male. Siccome noi tutti veniamo dopo Mallarmé, dopo Rilke, non è che tutti devono scrivere come loro, sono modelli e stili che vanno bene però ce ne sono anche altri, c’è Joyce, che io amo tantissimo, col suo sperimentalismo verbale ecc. e ci sono altri modelli di scrittura, Dick è uno di questi e ci insegna a essere modesti… è uno stile anche quello, diverso da altri, con opzioni diverse.



_ domanda sulle traduzioni cinematografiche
Su Blade Runner vi ho già detto, cioè Blade Runner è un tradimento fondamentale un film poco dickiano da un certo punto di vista perché sottolinea cose che in Dick non ci sono e preoccupazioni che Dick non ha. Io continuo a sostenere che il film più onestamente dickiano, e non sputatemi addosso, sia Total Recall, perché Total Recall ha dentro la squadra che fece la sceneggiatura un grande personaggio, si chiama Dan O’Bannon che è all’origine di un grande film, Heavy Metal, grande film, se non siete d’accordo con me (parola non udibile), insomma un vero dickiano. Totale Recall sotto, ma neanche sotto, Dick faceva avventura, tutta questa roba di Marte è atmosfera veramente dickiana. Poi ci sono un sacco di cose che nel raccontino non ci sono, perché il racconto We can remember it for you wholesale è di 15 pagine per cui è ovvio che per fare un film di un’ora e mezza… è come adesso Minority Report, ci sono delle cose che nel racconto non c’erano. Ma tutte le cose che hanno aggiunto gli sceneggiatori in Total Recall sono cose plausibilmente dickiane, fanno parte del suo universo. Gli altri mi sembrano tutti un po’… Streamers è un filmetto, il regista non è un gran ché, è mediocre lui. Confessions d’un Barjo  non l’ho visto. Minority Report, trovo che Spielberg ha fatto il suo lavoro e quindi ha ovviamente fallito. Del resto Spielberg ha fatto due grandi film all’inizio, poi dopo Duel e dopo Lo squalo… Cosa ha fatto Spielberg? Non ha utilizzato due delle cose principali che ci sono in quel racconto, cioè il discorso politico contro la società orwelliana e il discorso filosofico sulla possibilità. Minority Report vuol dire rapporto di minoranza, c’è un rapporto di minoranza, la realtà non ha un futuro unico, c’è Borges con ‘Il giardino dei sentieri che si biforcano’  in cui il mondo è una pluralità di possibili. Tutta questa cosa nel film non c’è più, come c’era nel racconto. Non c’è una vera visione differente da parte della terza precog femminile, c’è dietro una roba che lei non poteva sapere, la scena che appare nella realtà, nel film e nella visione della precog, cioè Tom Cruise che sembrerebbe ammazzare l’altro è uguale e identica, non c’è la terza versione. C’è tutto questo pasticcetto, lasciatemelo dire, della storia delle onde, per cui essendosi perso quella cosa lì ne deve costruire un’altra. Fatemi dire però che sono quasi più belli i film su Dick che non sono tratti da Dick. Non Peter Weir con The Truman Show ma eXistenZ di Cronenberg, tutto Cronenberg. Cronenberg è uno che fa film su Dick anche quando non lo dice. In eXistenZ invece voi sapete, lo dice, perché ci sono delle citazioni esplicite per i lettori di Dick. Quando i due scappano e vanno in un motel e mangiano delle pizze, mentre le mangiano la macchina da presa fa uno zoom, inspiegabile dal punto di vista narrativo, sul sacchettino che conteneva le pizze e che sta su un mobile, la macchina zumma e sul sacchettino c’è scritto Perky Pat. I giorni di Perky Pat è il racconto che verrà poi ampliato in Le tre stimmate di Palmer Eldritch. Il suo cinema è disseminato di cose così, sembra proprio che dica guardate le ho prese da Dick. E tutto il film ha esattamente l’andamento di Ubik e di Le tre stimmate di Palmer Eldritch, tu passi da un mondo all’altro e non sai più quale è e queste sono cose tipicamente dickiane. Cronenberg è un grande autore di cinema in modo diverso dalla nostra concezione europeo di film d’autore, fa cinema anche popolare, e lui è ballardiano come è dickiano come è burroughsiano.
_ dal pubblico si cita il film Brazil
Si certo anche Brazil di Tery Gilliam, e vi dirò che secondo me Minority Report deve molto dal punto di vista visivo a Brazil, perché ha preso le stesse idee, facendole poi in maniera diversa, ma di una tecnologia molto sottile sul piano dell’informazione ma molto spessa, densa sul piano fisico. E’ vero che i CD-Rom sono tutti trasparenti ma avete visto quanto sono spessi, sono spesse le pareti del circuito in cui cade la palla, quella pallina è una bellissima invenzione in Minority Report. Tutto questo secondo me deriva da una intuizione bellissima di Terry Gilliam fatta a suo tempo. Brazil è il primo film in cui c’era questa idea che la tecnologia del futuro non fosse così immateriale, che potesse quasi anzi essere più materiale…
(fine della registrazione)
1 Antonio Caronia e Domenico Gallo, Philip K. Dick la macchina della paranoia, Milano, Agenzia X 2006.
2 Domanda precedente (non udibile nella registrazione)

3 A. Caronia, Inchiostro acquoso e storie confuse. Corpo e media in Dick, in Philip K. Dick. Il sogno dei simulacri, a cura di Gianfranco Viviani e Carlo Pagetti. Milano, Editrice Nord, 1989. (qui)

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