venerdì 27 marzo 2015

Antonello Silverini: L'occhio nel cielo


L’omino gobbo, il ferro di cavallo, la civetta, un cornetto, uno scarabeo e tanti altri simboli su altrettanti foglietti di carta attaccati all’interno di una giacca e sulla maglietta di un signore, un uomo dal volto oscurato dall’ombrello che tiene aperto per l’evenienza di un improvviso temporale. Prevenzione, prudenza, meticolosa assicurazione contro i possibili inconvenienti della vita. L’uomo si apre, evidenzia la sua natura fragile, paurosa nuda vita; il trance, soprabito che si spalanca è gesto di scandalo, già usato da Karel Thole per un altro romanzo dickiano, “Redenzione immorale”1 . Come per il sesso che il vecchio satiro mostra alle fanciulle che passeggiano indifese nei parchi, Silverini ci spiattella in faccia  qualcosa di altrettanto scandaloso, una miriade di simboli al servizio di colei che rende la nostra vita soggetta al dominio del puro caso, la fortuna. L’immagine è forte, atterrisce e attrae allo stesso tempo; appartiene a quel caravanserraglio delle immagini da circo, di illusionisti e ciarlatani di strada, pronti a venderci, con le loro chincaglierie, illusioni di felicità. Il mondo circostante è cupo, turbolento, macerato da tutte quelle utopie umane andate a male. Ma la cosa più inquietante è quella mano che tiene aperta la giacca e allunga il braccio in modo inverosimile. Anche la stoffa si allarga, ma al posto di nuovi oggetti, di nuove offerte simboliche, un buco. La stoffa si lacera, al troppo tirare, la realtà, infine scompare.

(qui) 

venerdì 3 aprile - Antonello Silverini: La penultima verità

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