Un coniglio giallo alla Gromit con una grezza
struttura corporea di plastilina. Il pupazzo, sdraiato su un letto di sabbia e
crateri, si tira su con le zampe anteriori; osserva, un po’ stupito, con quella
sua testa dalle enormi orecchie, gli oggetti appesi a un filo che si stagliano
davanti a un cielo fondale rosato con stampigliato sopra un pianeta (la terra?)
e un saturno con tanto di anelli. Alle cordicelle sono appesi una pistola
giocattolo, alcune stelle e una sagoma di falce lunare. Un’immagine spaesante
per uno dei romanzi più torbidi e cupi dell’intera produzione dickiana. Così
spiazzante e terribile, che ci inchioda tutti, come quel simulacro animale, a
osservare increduli un universo, un mondo, una realtà che sempre più ci appare
fittizia, assurdamente falsa. Che ci si presenta sì come un gioco, come
qualcosa che vuole allettarci, ma che alla fine ci rende cavie e, sempre più,
cavie tragicamente consapevoli dell’inutilità del soffrire che questo ‘gioco’
alla fine ci procura. E’ una burla questa di Silverini che gioca a inquietarci
con una copertina bambinesca fatta della crudeltà dell’immaginario infantile.
Venerdì
13 marzo: Antonello Silverini – Trittico del gioco
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