martedì 10 febbraio 2015

Autofac


Come comunicare a una macchina che non vuoi un determinato prodotto o segnalare un particolare difetto se in realtà l’unica cosa che vuoi è che essa cessi di produrre e cioè di esistere? L’autofac è la rete mondiale di fabbriche automatiche costruita durante il Conflitto Totale, resa completamente automatizzata e indipendente dal controllo dell’uomo, una volta finito il conflitto continua a produrre senza sosta beni di consumo divorando quantità sempre maggiori di risorse naturali. Il tentativo di riconquistare il controllo della macchina fallisce scontrandosi con l’impermeabilità di un sistema che per sua natura non ammette alternative alle risposte prestabilite alla voce: “dichiarare la natura del difetto del prodotto” dell’apposito questionario. Al Si-No, 0-1, l’Istituto di Cibernetica Applicata (anch’esso completamente autonomo) che controlla la rete, non ammette alcuna alternativa. La macchina non può essere usata a piacere, la sua costruzione determina a priori il suo uso. Agli umani non resta che tentare di disarticolarla mettendo le varie parti che la compongono in conflitto reciproco, sperando così di incepparne il meccanismo. Ma, almeno nel racconto edito nel ’55 AUTOFAC,sembra essere troppo tardi, la cieca lotta contro l’entropia “che la fabbrica ha sempre odiato, e per combattere la quale era stata costruita” continua nella sua folle corsa fino all’ultima goccia di energia, verso il consumo ultimo e definitivo del mondo stesso. Del resto che l’autofac sia farina del demonio lo testimonia anche il romanzo LE TRE STIMMATE DI PALMER ELDRITCH (1964): “Palmer Eldritch era un individuo pazzo e sorprendente, solitario, che sfuggiva a tutti gli schemi; aveva realizzato dei miracoli veri e propri nell’iniziare la produzione delle fabbriche automatiche, le autofac, sui pianeti coloniali, ma… come sempre era andato troppo oltre, i suoi progetti erano stati troppo complessi ed elaborati. Montagne di beni di consumo si erano accumulate in luoghi impossibili, dove non esistevano coloni in grado di servirsene. Ed erano diventate montagne di immondizia, corrose dal tempo, lentamente e inesorabilmente.”  Farina che per l’appunto si trasforma in crusca. E’ ancora nel mondo del dopobomba di DEUS IRAE  il romanzo scritto in collaborazione con Roger Zelazny, tra il 1964 e il 1975, che l’autofac sopravvive stancamente. Davanti a uno di questi, il pittore senza braccia e gambe Tibor fa delle considerazioni sul rapporto tra l’uomo e la macchina e ha uno scatto d’orgoglio: ”Quanti riti verbali  circondavano l’evocazione dell’intelligenza di quella macchina costruita dagli umani in tempo di guerra? Evidentemente moltissimi. (…) io ho bisogno del suo aiuto, ma non mi prostrerò per supplicarlo di installare cuscinetti a sfera nuovi nel mio carretto. Non ne vale la pena. –Al diavolo, pensò. Sono queste le entità che hanno annientato la mia razza: sono state loro a rovinarci.” E comunque gli autofac sono ormai inefficaci, non più in grado di soddisfare le esigenze del cliente. L’umanità dovrà trovare altrove la propria salvezza cessando di essere un cliente che si serve della natura come di un supermercato che elargisce prodotti all’infinito.

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