venerdì 13 febbraio 2015

Antonello Silverini: Vulcano 3



Un piano orizzontale divide in due la copertina di Vulcano 3, uno dei più bistrattati romanzi di Dick, tanto dalla critica che dall’autore stesso. Una delle opere  in cui la matrice fantascientifica tout court si fa sentire di più e in modo decisamente grossolano. Ma per contro, come giustamente fa notare Carlo Pagetti nell’introduzione, il clima paranoico del sospetto ne pervade tutta la struttura narrativa. Un climax che sottende e sostiene tutta la struttura traballante e cialtronesca di quella “serie di episodi bellici talvolta confusi, a metà strada tra la space opera e l’assalto a una roccaforte giapponese del Pacifico”. D'altronde l’intera opera di Dick è composta di tasselli, da quelli più piccoli e apparentemente semplici o ingenui come questo, a quelli più vasti, complessi o addirittura abnormi come l’Esegesi. La copertina di Silverini premia la semplicità esaltandone la varietà dei contenuti. E’ ricca di cose, di situazioni, di eventi. Ed è divisa, come dicevamo, in due parti: una di sotto e una di sopra. Se la guardiamo d’impatto, nel suo insieme ci parla di un mondo in cui succedono tante cose e di un’entità che domina, sovrasta questo mondo. Viene l’idea di una mente che fa succedere le cose, le coordina, le determina. Ma se proviamo a fare un giochetto, che ogni tanto si fa con le immagini, cioè ne copriamo con la mano una parte per evidenziarne l’altra e nel siffatto caso ovviamente copriamo alternativamente una delle metà, scopriamo una cosa interessante. Che se copriamo la parte inferiore la parte superiore mantiene il senso degli avvenimenti descritti mentre al contrario la sola parte inferiore non significa niente. Quasi a volerci dire che tutto si trova in superficie, tutto ciò che ha significato si trova già in superficie. Giù si dovrebbe trovare il “computer Vulcano 3, le sue fondamenta si spingono fino alle viscere della Terra – come fossero grandi radici artificiali – tanto che nessuno riesce ad avere una vista complessiva del mostro.” Del resto la profondità, come ben scriveva Walter Benjamin “è una dimensione a sé, per l’appunto profondità, dove niente viene alla luce.”1 Silverini ci rappresenta questa oscurità mostrandocela nella sua palese insignificanza. E’ una delle più belle rappresentazioni dell’opera di Dick. Del suo senso più vero, mi verrebbe da dire autentico se non fosse palesemente un termine così poco confacente a Dick stesso. Le cose degli uomini, le loro azioni, il ,loro destino in ultima analisi, che sembrano motivate da ragioni e forze fuori dalla loro storia concreta e dalle loro pratiche, in realtà ricadono solo su di loro. La loro storia e la responsabilità di questa ricade su di loro e su di loro soltanto.

1 Walter Benjamin, Avanguardia e rivoluzione, Torino, Einaudi 1973 pag. 222


Venerdì 20 febbraio due articoli: Cronache del dopobomba di Karel Thole e di Antonello Silverini

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