Come ricorda Carlo Pagetti nell’introduzione al
romanzo “Stanislav Lem, che fu tra i primi a intuire la grandezza di Dick” in
un’intervista del 1972 "distingue nettamente tra Ubik e Ma gli androidi
sognano le pecore elettriche?, il primo è moneta d’oro sonante, il secondo –moneta
contraffatta-1. Anche Darko Suvin (…) osserva frettolosamente che Ma gli androidi… è un fallimento, perché
rappresenta gli androidi nello stesso tempo –come proletariato sottoposto alle
ingiustizie e come minaccia disumana-, confondendo dunque due livelli di
significato assai diversi.” Ma ricorda anche Pagetti che Suvin sottolinea l’affinità
tra la preoccupazione di Dick per l’alienazione e la reificazione dell’uomo e
la preoccupazione parimenti espressa da un’intera generazione, suggellata dalle
opere di Marcuse e di Laing. Il senso di quest’opera si trova dunque per Suvin
nella denuncia della disumanizzazione dell’uomo a una dimensione, in affinità
con la contestazione propria della generazione coetanea di Dick.2 Il
recupero completo del romanzo sarà però merito del film di Ridley Scott, Blade
Runner del 1982, che se da una parte si distaccherà “in più parti dall’opera di
Dick” dall’altra riuscirà a catturarne “la visione tragica e insieme grottesca”.
Un recupero che per contro isolerà questo romanzo dall’intera produzione
dickiana, facendone in un qualche modo un’opera a parte. Continuamente,
parlando del libro, sarà inevitabile l’accostamento, se non la confusione, col
film; anche Gabriele Frasca, nella postfazione alla nuova edizione Fanucci, non
può non rimanere colpito dalla descrizione di un Deckard come “calvo, imbolsito
e impiegatizio… altro che Harrison Ford!”, quasi fosse stato il film alla base
del romanzo e non viceversa. Ma Blade Runner, sfrondato della parte religiosa
(il mercerismo) e di quella sugli animali, risolve l’obiezione di Suvin
riportando la storia al primo livello di significato, quello che associa l’androide
allo sfruttato, al reietto che si ribella. E tra gli appassionati dickiani il
film divide e chi lo esalta di solito assolve le vistose incongruenze del
romanzo, di fatto ignorandole, allo stesso modo di chi grida al tradimento. E’
fuor di dubbio comunque che da un punto di vista fantascientifico il romanzo
non regge. Questi scalcinati androidi sono così improbabili che il traduttore
della prima edizione italiana3 ha sentito il dovere di modificare,
con un di più di artificialità, il brano in cui uno di questi viene colpito a
morte: “si spezzò, crollando in una pioggia di parti separate. Frammenti di
metallo e componenti più fragili rimbalzarono sul tavolo di cucina. I circuiti
all’interno del corpo fecero sussultare e vibrare ancora braccia e gambe, ma
ormai l’androide era morto.”4 E poi la religione, gli
animali estinti e i loro simulacri artificiali, una città doppia con una
polizia doppia, un demente che sembra voler fare la morale al protagonista, un
happy end che non si capisce se è tale o se è una presa in giro, tanti
personaggi superflui a partire dall’insulsa moglie Iran, tante trovate
fantascientificamente deboli come un simulatore di emozioni che programma stati
di depressione.
Insomma con una storia che fa acqua da tutte le
parti come ce la si può cavare a volerne fare una critica positiva? E’ poi così
geniale questo Dick o è solo una madornale cantonata tipica di momenti bui e
depressi come quello in cui ci troviamo? Di solito la critica di fronte alla
confusione dickiana risolve il problema evitando di impattarsi frontalmente con
la trama ed evidenzia nelle parti che più ritiene interessanti i temi che
normalmente vengono ritenuti più specificatamente dickiani, come l’umano, il
reale, l’artificiale e così via. Qui invece cercherò di andare controcorrente
evidenziando la linearità dell’intreccio e la necessità interna di tutti i suoi
personaggi. Inizierò proprio dal meno considerato di questi, la poco simpatica,
ai più, Iran,5 moglie del protagonista Rick Deckard. La prima parte
del primo capitolo la vede in primo piano in un furibondo litigio col marito.
Le 24 ore del 3 gennaio dell’anno 1982, che occuperanno l’intera durata della
storia, iniziano con un risveglio in cui Iran insulta Rick definendolo uno sbirro
assassino di poveri droidi. E’ un giorno lavorativo e Rick deve uscire per
svolgere un lavoro particolarmente difficile e pericoloso, niente di peggio che
un litigio coniugale, ma il dopo non è certo meglio. Iran è decisa a usare lo
stimolatore artificiale per le emozioni indotte per programmarsi sei ore di
depressione autoaccusatoria. Per il marito, che vorrebbe ritrovare al suo
ritorno una mogliettina quantomeno tranquilla e serena e che non immaginava
neanche che esistesse una simile programmazione, è un’autentica iattura.
Insiste perché lei programmi il “compiaciuto riconoscimento alla superiore
saggezza del marito in ogni campo” ma non c’è niente da fare. La
decisione, apparentemente autolesionistica di Iran, era maturata un pomeriggio
in cui in una interruzione dell’audio della televisione, aveva percepito gli
appartamenti vuoti che la circondavano. Il loro palazzo, nonostante fosse
collocato “nella parte alta della classifica di densità abitativa”, aveva
all’incirca metà degli appartamenti vuoti, abbandonati dai proprietari dopo la
guerra, per emigrare nelle colonie del sistema solare, dove non esisteva la
polvere radioattiva, conseguenza della guerra stessa. La percezione del vuoto
aveva fatto si che Iran digitasse per reazione l’umore 382, che benché
lasciasse percepire intellettualmente quel vuoto, le permetteva di non sentirlo.
Alla prima reazione di sollievo era però subentrato una presa di coscienza “di
quanto fosse malsano percepire l’assenza di vita, non solo in quel palazzo ma
ovunque, e non reagire.” “Questo veniva una volta considerato segno di malattia
mentale” e chiamato “assenza di affetto adeguato”. Il
modulatore permette a Iran di fare qualcosa che lei non era più in grado di
fare, provare uno stato d’animo adeguato alla realtà che percepiva in quel
momento. La disperazione era l’unica risposta coerente ad un mondo vuoto e
desolato come quello in cui stava vivendo. Per non rimanere intrappolata poi in
uno stato di pura angoscia avrebbe successivamente programmato la “Consapevolezza
delle molteplici possibilità che mi si aprono nel futuro”. Ma la
disperazione rimane, nonostante la sua pericolosità intrinseca, l’unica istanza
a dare la forza di reagire ad uno stato di cose, che non può definirsi in altro
modo che disperato. Iran, casalinga, sola per la gran parte della giornata, non
più giovane, che sentiva “le ossa che con l’età le si ritiravano
dentro”, sente la necessità di cambiare qualcosa della propria vita. E
intuisce che solo andando in fondo alla propria disperazione poteva farlo.
Dando corpo e visibilità all’angoscia che sovrasta la sua vita per riuscire a
uscire da quello stadio di “analfabeti dell’angoscia” come lo
avrebbe definito il filosofo del principio disperazione Gunther Anders,6 analfabetismo
che lungi dal porci al riparo da questa, ce ne avrebbe resi schiavi. Contrariamente
a Iran, Rick non può avvertire questa necessità, non tanto perché succube di un
principio speranza7 consolatorio, ma perché
Il suo lavoro gli permetteva comunque un
atteggiamento creativo, indispensabile al raggiungimento di un obiettivo ogni
volta rinnovato. Il mondo privato di Rick è come quello esterno, un mondo
vuoto. La ricerca di esseri vuoti, non umani, da ritirare; una moglie vuota,
programmata per adorarlo; uno spasmodico bisogno di un animale vero (in un
mondo in cui gli animali sono quasi tutti estinti8 e rimpiazzati da
animali artificiali) da esibire come status symbol. Ciononostante non può
avvertire la necessità di un cambiamento dato che c’è sempre chi gli dice cosa
deve fare e cosa desiderare; non ha il tempo perché il vuoto possa impossessarsi
di lui. Iran che di tempo ne ha fin troppo, rompe il cerchio perverso di quel
mondo dominato dall’”assenza di affetto adeguato”. E tramite lei il principio
disperazione contaminerà la giornata lavorativa di Rick “qualcosa di simile alla disperazione
di cui aveva parlato prima Iran venne come a toccarlo sulla spalla”, e
da quel momento non potrà più separarsene. Affrontiamo ora un altro
personaggio, Isidore, altrettanto importante, troppo spesso affrettatamente
considerato come l’alter ego di Deckard. Isidore compare fin dal secondo
capitolo, alternandosi a Rick fino agli ultimi capitoli in cui i loro destini
si incroceranno per poi di nuovo separarsi bruscamente. Vive nell’appartamento “di
un gigantesco edificio vuoto e cadente” situato nella zona in cui “un
tempo sorgeva la fascia suburbana di San Francisco”. Ne è l’unico
abitante ed è uno speciale; l’anno precedente non aveva “superato l’esame per il livello
minimo consentito delle facoltà mentali, il che lo rendeva – secondo il gergo
popolare – un cervello di gallina” in pratica era un contaminato dalle
radiazioni e per la società un paria. Condizione che divideva con i più
temibili androidi, ma a differenza di loro non correva il rischio di essere
ritirato (eliminato) in quanto considerato ancora un essere umano. Non del
tutto, certo. “Per definizione, crediamo naturalmente che la persona con uno
stigma non sia propriamente umana.” Come avverte Erving Goffman nel suo libro
sull’identità negata “Stigma”9 pubblicato in America nel 1963. Per
Isidore la propria condizione non dovrà essere disvelata mediante complicati
test empatici, come per gli androidi, gli basterà aprir bocca e la sua realtà
di minorato sarà evidente a tutti. E per quanto riguarda il suo attaccamento ai
nuovi vicini androidi non sarà tanto dovuto ad un generico amore universale,
che lo porterebbe ad amare qualunque essere vivente, quanto piuttosto a un
confuso desiderio di essere accettato da parte di una categoria di esseri da
lui considerati superiori. “-Voi siete degli intellettuali- disse
Isidore; si sentì di nuovo emozionato per aver capito. Emozionato e fiero. –Voi
pensate in modo astratto…-“ Ancora Goffman ci può aiutare a capire
meglio questo strano meccanismo mentale che porta Isidore ad amare degli
androidi scambiandoli per intellettuali;
traendo esempio dal mondo delle prostitute, evidenzia come queste nelle ore
libere cerchino spesso “rifugio tra gli artisti bohémien, gli scrittori e gli
aspiranti intellettuali. Tra di essi può essere accettata come una persona
stravagante, senza peraltro diventare una curiosità.”10 Come fa
notare Irmgard Baty, un’androide femmina che mostra una qualche forma di
comprensione (empatia?) nei confronti di Isidore “(gli umani) non trattano bene
neanche lui (…) lui ci conosce e ci apprezza e un’accettazione emotiva del
genere… vuol dire tutto per lui. Per noi può essere difficile comprenderlo, ma
è vero.” Ma gli androidi non sono degli intellettuali, la loro
freddezza, il loro sentire utilitaristico e razionale non li rende esseri superiori,
ma solamente esseri capaci di molta crudeltà; del resto in modo non molto dissimile
da quella dimostrata nei confronti di Isidore dal suo principale Hannibal
Sloat, nel punirlo per uno sbaglio sul lavoro. Ma Isidore continuerà a non
odiare gli androidi anche quando questi, torturando un ragno, gli si
riveleranno come dei distruttori di vita.
E’ piuttosto il ‘gemello’ Rick ad essere
disprezzato e rifiutato da Isidore: “Non mi v-v-va di abitare v-v-vicino a lei” gli
balbetta contro quando questi gli chiede perché non traslochi nel suo
quartiere. Rick e Isidore saranno forse ‘gemelli’ ma di certo non percorrono la
stessa strada. Vedremo più avanti in che misura i loro percorsi siano
differenti, verifichiamo invece ora una sensibilità che accomuna Isidore alla
moglie di Rick, Iran. Entrambi percepiscono il silenzio degli appartamenti
vuoti che li circondano e che emanano “l’onnipervasiva assenza di respiro del
possente silenzio del mondo” al contrario della maggior parte della
gente che “non ci teneva a farne esperienza diretta”. Per entrambi questa
esperienza viene colta nel momento in cui spengono (o si guasta, come per Iran)
la televisione e alla terribile percezione del vuoto col suo silenzio Iran
risponde affrontando la propria disperazione, senza cercare di sfuggirle,
mentre Isidore ricorre, tramite la scatola empatica, a una sorta di esperienza
spirituale comunitaria che gli ridà forza e speranza. Una certa sensibilità
comune che unisce Iran e Isidore differisce in modo sostanziale nel loro
rispettivo atteggiamento nei confronti del mercerismo (considerato una vera e
propria religione dai suoi adepti e comunque accettato dal resto della società
come un indirizzo etico privilegiato). Isidore è un vero e proprio credente,
anche se un credente di basso rango, che non avrebbe di fatto alcuna altra
possibilità per contrapporsi alle proprie difficoltà esistenziali se non
l’economica scatola empatica. Di certo non lo stimolatore cerebrale Penfield,
sofisticato strumento a disposizione di altre classi sociali superiori alla
sua. La fusione con Mercer e con l’intera comunità dei credenti era l’unica
barriera tra lui e la ‘tomba del mondo’. Cioè tra la possibilità di esserci nel
mondo e il crollo assoluto e repentino di qualunque mondo possibile. Quando gli
androidi svelano l’inganno del mercerismo l’implosione del mondo di Isidore ha
un arresto unicamente grazie all’intervento diretto di Mercer. Il disincanto,
il disvelamento dell’imbroglio (Mercer è solo un vecchio attore alcolizzato che
recita una parte) non è efficace nei confronti di Isidore. Finché lui lo
cercherà, anche Mercer a sua volta non smetterà di cercarlo. Ma Isidore è un
‘cervello di gallina’, uno speciale, cioè un essere umano che sta viaggiando
nel tempo, voltandosi e incamminandosi a ritroso sulle proprie orme. Il bisogno
di fondersi, l’empatia generalizzata verso tutti gli esseri viventi
rappresentano il bisogno di un ritorno all’indistinto, all’indifferenziato di
quella natura da cui tutti siamo emersi con fatica in un viaggio di milioni di
anni. Di fronte a questo bisogno non c’è disincanto che tenga, il dio di
Isidore rimane l’unica protezione efficace nei confronti di questo viaggio a
ritroso affinché non scivoli in quell’altro mondo tutt’altro che fusionale,
definito correttamente ‘tomba del mondo’11 proprio in quanto non
mondo, che è la follia. Ed è una protezione anche questa che si serve di uno
strumento tecnologico, per quanto povero e certamente economico esso sia. Una
scatola nera con due maniglie, stringendo le quali ci si trova in una “fusione
fisica – accompagnata dall’identificazione mentale e spirituale – con Wibur
Mercer”. L’esperienza che ne seguiva e che era sempre la stessa ogni
volta, consisteva nella scalata di una montagna, mentre un nemico invisibile
lanciava contro pietre acuminate che ferivano. Ferite reali che rimanevano
anche una volta scollegati dalla macchina. Nel corpo di Mercer si trovavano
tutti quelli che in quel momento si erano collegati alla scatola empatica e
provavano quella particolare “esperienza di un io che conteneva ogni
altro essere vivente”. La religione del mercerismo consentiva,
nonostante la sofferenza provocata dalle ferite, di trovare sollievo nella
partecipazione collettiva ad una comune esperienza. Un’esperienza spirituale
capace di accomunare persone diverse, che non solo non si conoscevano tra loro
ma che privilegiano a questo un sentire in comune, come quando Iran ricorre
alla scatola empatica per comunicare a tutti il lieto evento dell’acquisto di
un animale vero.
E’ un bisogno di condividere una felicità. Per lei
al contrario di Rick, la privatizzazione di questa sarebbe immorale. E in
effetti Rick non ha mai compreso bene fino in fondo questa storia della fusione
e difatti ci si era sottoposto assai di rado. Perché spartire la propria gioia
con altri? Questa andrà poi perduta? Iran sa bene che condividere non significa
perdere ma non riesce a spiegarglielo. D’altronde non è cosa che si possa
spiegare essendo possibile unicamente esperirla. Ed è proprio questa
caratteristica, di non essere comunicabile per via conoscitiva, come verità, ma
solo come esperienza a far si che questa religione non possa essere sconfitta
da nessuna rivelazione, da nessun smascheramento della sua realtà fittizia. E’
efficace e in quanto tale reale. Mercer dice a Isidore, sì: “io
sono una truffa (…) Loro dicono la verità” ma “avranno molti problemi a capire
come mai nulla è cambiato. Come mai tu sei ancora qui e anch’io sono ancora qui”.
Loro sono gli androidi. Incapaci di provare empatia e impossibilitati a
sperimentare la fusione cercano di distruggere le fondamenta di questa
religione svelandone l’imbroglio. Se Mercer è una truffa anche l’empatia che
sta alla base dell’esperienza fusionale lo è, e di conseguenza la
discriminazione tra umano e non umano, tra naturale e artificiale. In questo
azzeramento delle qualità caratteristiche dell’umano, l’androide potrà di nuovo
sperare di essere riconosciuto come umano, proprio per la condivisione in
negativo della mancanza di qualità specificatamente umane. Strategie, diverse
strategie di sopravvivenza per Isidore, Iran, gli androidi. Ma giungiamo ora al
protagonista in assoluto del romanzo, Rick Deckard, il cacciatore di androidi.
L’eroe ben poco considerato tale dalla stragrande maggioranza della critica12
e a cui viene preferito di gran lunga Isidore, il ‘gemello’ in grado di
provare ancora empatia, anzi un’empatia infinita, illimitata.13 Rick
invece è una persona molto normale, un tipico eroe dickiano, poco capace di amare
se stesso figuriamoci gli altri, tutti gli altri! Però è capace di soffrire ed
è capace di imparare dalla propria sofferenza. Ma vediamo le sue epiche gesta,
seguiamolo nel suo percorso, nella sua faticosa e pericolosa giornata
lavorativa. Uscito di casa dopo la lite con Iran, nel suo ufficio al palazzo di
giustizia apprende che il suo collega è stato ferito da un androide, un modello
recente, dotato della sofisticata unità cerebrale Nexus-6 “in grado di operare selezioni in
un campo di due miliardi di miliardi di elementi, o su dieci milioni di
sequenze specifiche”. Esseri tecnologicamente stupefacenti, nati come
macchine da guerra, sono stati poi modificati per essere in grado di funzionare
in un mondo alieno e diventare così uno degli elementi più importanti del
programma di colonizzazione. Purtroppo però ogni tanto si verificava che uno di
questi si ribellasse o uccidesse il proprio padrone umano e fuggisse sulla
terra. Compito dei cacciatori come Rick era quello di individuarli, tramite un
test empatico, e di ritirarli (sopprimerli). Con questa occasione del collega
fuori gioco e dell’individuazione di ben sei androidi da ritirare, si
presentava l’occasione per Rick di guadagnare una lauta ricompensa che gli
avrebbe permesso di sostituire la sua pecora elettrica (spacciata a tutti per
vera e verso la quale provava ormai, per quanto assurdo, un certo risentimento)
con un animale autentico, vivo. A seguire: la discussione con il suo superiore
sulla sospetta non efficacia dei test per i nuovi modelli di androidi e l’incarico
di andare alla ditta Rosen (fabbricanti di androidi) per verificarlo. Qui
avviene l’incontro con Rachael, androide che non sa di esserlo e che lo
apprende tramite il test che le fa Rick e che vede così di colpo scomparire
tutto il suo mondo di ricordi, di affetti; mai esistiti. Rachael è un essere
crudele. Certo, è priva di empatia, non avrà esitazioni a vendicarsi di Rick
uccidendo la sua capra nubiana autentica.
E’ anche un essere contraddittorio e ambiguo, non
si capisce quanto veramente faccia il doppio gioco con Rick per favorire gli
androidi fuggiaschi o quanto sia realmente innamorata di lui. Ma una cosa
risulta evidente, Rachael è un prodotto dei Rosen, una loro fedele dipendente.
L’intero capitolo della visita alla ditta dei Rosen è una descrizione di
rapporti di potere, Rachael e il padrone (suo falso nonno) Eldon Rosen, Rachael
(membro della famiglia Rosen che si scopre androide) e Rick Deckard (cacciatore
di androidi), Rick (un proletario ma anche un funzionario di apparato) e i Rosen
(la ricca borghesia industriale). La trappola che viene preparata al
funzionario di polizia, nonostante fallisca, è un esempio di come il gioco del
potere sia un gioco truccato sempre a favore di chi il potere lo detiene
saldamente in mano. Vediamolo nella sua particolarità: Rick va dai Rosen con il
preciso compito di testare il Voigt-Kampff con il nuovo modello nexus-6, e ci
va sapendo anche che c’è chi (degli psichiatri sovietici) sta mettendo in
dubbio l’efficacia stessa dei test nei riguardi degli umani, cioè la
possibilità che esso scambi un umano per un androide. Dai Rosen Rick è conscio
del proprio potere in quel particolare momento, se il test fallisse nell’individuare
il nexus-6, quest’ultimo dovrà essere ritirato, causando un probabile
fallimento della ditta produttrice. I Rosen gli fanno testare come primo
soggetto Rachael che viene riconosciuta androide. Ma Eldon Rosen lo nega,
raccontando una storia verosimile sulla particolare insensibilità della
ragazza. Rick si trova ora a constatare il fallimento assoluto del test. Non è
in grado, e non lo è mai stato, di escludere l’errore. Di colpo la situazione
era cambiata, aveva sottovalutato i due Rosen considerandoli meri individui ed
era stato un grave errore, “Una compagnia elefantiaca come quella
accumulava al proprio interno troppa esperienza. Di fatto dispone di una sorta
di mente collettiva. Ed Eldon e Rachael Rosen sono i portavoce dell’entità
azienda”. Ed ora i due lo tengono in pugno. Il test sulla “ragazza
schizoide”, registrato da una telecamera, era fallito. Ma i Rosen gli
offrono una scappatoia, giocando come il gatto col topo, gli prospettano di
ingannare la polizia, il test dovrà risultare riuscito. Sono disposti
addirittura a pagarlo con un bene inestimabile come una civetta. Contrattano
sull’accoppiamento dell’animale e i diritti relativi alla prole, nonché sulla
restituzione dell’animale all’eventuale morte di Rick (clausola che questi non
accetta perché lo renderebbe un bersaglio) e quando giungono a un accordo, Rick
scopre che aveva ragione, Rachael è un
androide ed è un nexus-6. Ma perché allora tutto questo marchingegno da parte
dei Rosen? Perché tutto questo imbroglio per ottenere alla fine la stessa cosa
che avrebbero ottenuto riconoscendo la verità della prima diagnosi e cioè che
il test è valido per individuare i nuovi modelli? Perché, come giustamente pensa
Rick: “L’associazione Rosen si da un bel da fare – almeno, si impegna a fondo
– per proteggere i propri prodotti.” L’inevitabile processo di
innovazione fa si che si corra sempre il rischio che l’ultimo modello non sia
in grado di essere identificato, con l’inevitabile ritiro dal mercato e i
relativi danni economici. Colpendo la credibilità del test il problema
riguarderebbe tutti gli androidi, che di certo non potrebbero essere ritirati
in blocco, pena la crisi di tutto il sistema di colonizzazione. Ma renderlo
obsoleto vorrebbe dire far si che si cerchi un nuovo sistema di identificazione
più preciso. E il problema si presenterebbe nuovamente. Corrompendo invece
Rick, per mantenere tutto allo stato attuale, si ottiene di aver in pugno l’unico
cacciatore attivo della zona, comprato e sempre ricattabile, al prezzo di un
animale (che poi si rivelerà falso e che comunque Rick non avrebbe potuto certo
rispedire al mittente). E se il piano fosse fallito, come in effetti avviene,
sarebbe rimasto il verdetto veritiero del test, che comunque identificava il
nexus-6. I Rosen hanno giocato al rilancio con la sicurezza di non perdere
comunque il guadagno già acquisito.
Un rischio a costo zero. E’ in questo quadro che
la figura dell’androide Rachael va situata, nella sua ambiguità di figura
liminare, al servizio di un potere che ne garantisce l’incolumità ma che
perseguita i suoi simili non altrettanto docili. E anche la sua freddezza
androide è affatto diversa dai suoi simili, è una freddezza capricciosa, vendicativa,
un carattere modellato più da un sentire di tipo aziendale, efficentista e
calcolatore, che da risentimenti e desideri di rivalsa sociale. Dopo la visita
ai Rosen, Rick riceve una telefonata proprio da Rachael, che gli offrirà il suo
aiuto. Rick lo rifiuterà rimanendone comunque sconcertato “che razza di mondo è questo, si
chiese, se un androide telefona a un cacciatore di taglie e si offre di
aiutarlo?”. Ora può iniziare la caccia e qui abbiamo un altro episodio
apparentemente contorto, dove un confuso sdoppiamento, un altro cacciatore di
androidi, un’altra polizia, praticamente un’altra città nella città, una sorta
di micromondo parallelo, innesca una serie di colpi di scena che ribaltano
ripetutamente la situazione. Sorge il sospetto di una gratuità spettacolare
pensata solo per vivacizzare il racconto. Ma è proprio qui che si situa il nodo
centrale del romanzo, il vero colpo di scena che rende manifesta la vera natura
di questi androidi. Il personaggio chiave è Phil Resch, l’altro cacciatore, un
collega assai più cattivo, privo di qualunque compassione a tal punto che Rick
arrivando a sospettare che si tratti di un androide lo sottopone al test. L’affermazione
di Resch: “se risulto un androide la tua fede nel genere umano subirà un rafforzamento.
Ma siccome non credo che andrà così, ti suggerisco di cominciare a farti un
quadro ideologico che giustifichi la mia appartenenza al genere umano” risulterà
veritiera e Rick dovrà inevitabilmente fare i conti con se stesso, perché di
fatto Resch altri non è che il doppio di Rick, come lo dimostra la sua uscita
di scena, vera e propria cancellazione. Non verrà più ricordato e gli androidi
da lui ritirarti varranno incamerati nel conto di Rick senza alcuna
giustificazione. Dovranno succedere altre cose perché la storia giunga al suo
termine, ma qui possiamo coglierne uno dei punti centrali. Il mestiere di Rick
è particolarmente gravoso, dare la caccia agli androidi, cioè esseri del tutto
simili a noi, con le nostre fattezze, con dei loro ricordi (per quanto indotti
possano essere), comporta una serie di problemi per chi, appunto, è incaricato
di ritirare questi veri e propri Shylok del futuro. Problemi umani come il
riconoscersi nell’altro, la pietà, la compassione, il rimorso e così via. Rick
per ovviare a questi problemi ha adottato una strategia produttivistica
vincente. Non riconoscere nella loro corporeità identica alla sua una
prerogativa umana e declassandoli li espelle dal consorzio umano, facendoli
divenire prede libere di essere cacciate senza rimorso alcuno. Nell’andare a
caccia di questi esseri (chiunque siano veramente: schiavi ribelli, proletari
disobbedienti o cyborg veri e propri) macchiatisi di delitti contro la società,
Rick non li riconosce più come esseri umani. Uno di questi gli chiede prima di
essere ucciso: “Cosa fa nella vita? Va in giro a sparare alle persone dicendo loro che
sono androidi?”. Nella progressiva cancellazione dell’altrui componente
umana, Rick assottiglia man mano la propria. Esseri classificati non umani da ritirare,
una moglie docile programmata per i suoi bisogni, un animale autentico su cui
riversare la propria empatia edulcorata dai rischi di un ritorno egualitario,
vissuto come potenzialmente invasivo. Cosa è rimasto di questo involucro d’uomo?
Evidentemente quella brace sufficiente ad essere riaccesa dal soffio della
reazione inaspettata della moglie Iran e soprattutto la sua ostinata decisione
a voler essere disperata. Il proprio processo di disumanizzazione, così
attentamente, anche se inconsapevolmente, coltivato, va in crisi. Rick si trova
di fronte a se stesso, può vedere la propria crudeltà fredda e burocratica. La
propria banalità del male.
Altre cose dovranno succedere prima del suo
ritorno a casa, ma il primo frutto della disperazione, dello stato di adesione
alla realtà bella o brutta che sia, è stato colto. L’incontro con Mercer e l’esperienza
erotica con Rachael faranno il resto. Mercer gli rivela che non potrà essergli
d’aiuto, che dovrà andare avanti come se lui non esistesse; non potrà quindi
sfuggire al proprio destino, quello di dover fare qualcosa di sbagliato, di
dover far violenza alla propria personalità. Un destino a cui sono soggetti
tutte le creature viventi. E’ un’epifania del divino affatto diversa da quella
che subisce Isidore. La creazione ha un difetto, si nutre della vita, ma in
questo costruisce possibilità di futuro. Il Mercer di Isidore è invece un’ipoteca
sul futuro, quando Isidore smetterà di cercarlo nessuno potrà salvarlo dal
mondo della tomba. La notizia della morte di Dio, che la modernità ha diffuso
in ogni angolo del mondo non ha cancellato il suo bisogno, la sua necessità da
parte degli uomini, tutti. Dio rimane in vita nella realtà dei singoli, come
protezione tra loro e il nulla, come garanzia della loro stessa realtà, finché
questi saranno disposti a farsi proteggere da lui, ma non ha più efficacia nei
confronti della collettività, non essendo più garante del cammino stesso dell’umanità.
Rick nell’ultima esperienza fusionale con Mercer, un tipo di “esperienza
nuova” perché “vissuta da solo”, diventa Mercer,
diventa Dio. Ma questa non gli comporta alcuna capacità o potere particolare,
piuttosto la responsabilità tragica e completamente umana di vivere senza Dio,
di accettare fino in fondo la propria condizione mortale, finita. E qui Rick,
paradossalmente, difende la realtà di Dio; se questi è una truffa anche la
realtà lo è. La morte, la truffa di Dio fa parte di quella stessa realtà. Non
ne è scindibile. Finché ne rimane la necessità, la realtà non può farne a meno,
pena la dissoluzione della realtà stessa. Il paradosso di Rick
indissolubilmente legato a Mercer è tutto qui, in una unione che non ha più
alcuna funzione salvifica ma che non può comunque essere annullata. Dio è
invenzione, e Rick nel riconoscere la cruda realtà della disillusione non può
non riconoscere la verità altrettanto reale dell’illusione. L’incontro di Rick
con l’altro/androide si configura come scoperta della reciproca natura
artificiale che insieme alla fusione con Mercer apre all’umanità, tramite Rick,
la possibilità di poter fare, o meglio di aver ancora, una storia possibile. Il
riconoscimento di una vita anche in una cosa artificiale, il rospo elettrico, è
il primo paradossale segnale di un cambiamento avvenuto. “La nicchia che ospita
la nostra specie ospita allo stesso modo sia altri animali, sia una quantità
sorprendente di oggetti – alcuni dei quali sono stati prodotti da homo sapiens. Custodire noi stessi e
custodire tale nicchie sono elementi inscindibili del medesimo ‘modus operandi’. Tale custodia comporta
una sorta di pietas verso l’oggettuale,
che si trova a coevolvere con quell’umano che lo usa e da cui dipende.”14 Una metamorfosi umana. In una perpetua innovazione tecnologica l’uomo rimane
antiquato e sente come Rick “la tirannia dell’oggetto”. La
ricerca, per contrapposizione, del vitale dell’animale non lo salva da questa
tirannia, anzi riduce l’animale stesso a cosa, a prodotto e lo estingue. In un
rapporto rinnovato con le cose inanimate Rick cessa l’ossessiva ricerca di vera
vita e amore al di fuori della propria vita e delle proprie relazioni umane. La
storia finisce con il sonno ristoratore, senza aiuti artificiali, di Rick e se
alla fine potessimo porre una domanda a Iran: “Lei è ancora innamorata?”
Sicuramente lei risponderebbe: “Ora di nuovo sì. Come all’inizio, tanti anni
fa, quando mi chiese se io volevo dire di sì e il suo cuore batteva come
impazzito e si dissi si voglio Sì.”
Le
illustrazioni sono particolari da opere di Marisa Bello
Note:
1 Carlo
Pagetti, Prefazione, in P. K. Dick, Ma gli androidi sognano le pecore
elettriche?, Roma, Fanucci Editore, 2000
2 “Le
preoccupazioni dello scrittore americano nei confronti dell’alienazione e dello
sviluppo di una società oppressiva all’insegna della menzogna e della
manipolazione dell’informazione, si accentuano proprio nella seconda metà degli
anni Sessanta e rivelano quelle di un’intera generazione (non solo americana)
che si sarebbe trovata nelle opere di Marcuse e Laing: il mondo fenomenico non
offre certezze; i livelli di percezione dell’individuo si limitano alla forma
apparente che può essere ingannevole; la realtà è il luogo dell’alienazione;
nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte (W. Benjamin) tutto
il mondo può essere menzogna.” Elena Ricci, Dai
sotterranei ai simulacri: la penultima verità, in Berenice n.28 marzo 2003
pag 117 http://www.angelus-
novus.it/dt_catalog/berenice-n28-marzo-2003/
3 Maria Teresa
Guasti nell’edizione pubblicata dalla casa editrice La Tribuna di Piacenza nella
collana Galassia, ristampata nel 1986 dall’editrice Nord nei Classici della
fantascienza Cosmo.
4 (pag.212
edizioni Nord). Riccardo Duranti ristabilisce la versione originale
nell’edizione Fanucci “la grossa carcassa
dell’uomo si gettò di scatto in avanti, poi crollò a terra come una pila troppo
alta di tanti oggetti fragili e separati. Andò a sbattere contro il tavolo
della cucina e si trascinò dietro piatti e stoviglie. I circuiti dei riflessi
interni lo fecero fibrillare e contorcersi per un po’, ma ormai era morto.” (Fanucci
2000 pag. 248). Nell’originale: “The big
man’s corpse lashed about, toppled like an over-stacked collection of separate,
brittle entities; it smashed into the kitchen table and carried dishes and
flatware down with it. Riflex circuits in the corpse made it twitch and
flutter, but it had died.”
5 Iran viene
regolarmente citata per la frase “toglimi
di dosso quelle manacce da sbirro!” per il resto il suo ruolo non mi
risulta sia mai stato analizzato.
6 Gunther
Anders, pseudonimo di Gunther Stern, ebreo in fuga dal nazismo ripara negli
Stati Uniti dal 1936 al 1950. La sua opera principale e “L’uomo è antiquato”. Sarebbe davvero strano, viste le numerose
affinità, che Dick non fosse a conoscenza del suo pensiero.
7 In polemica
con l’amico Ernst Bloch, sostenitore della necessità di un ‘principio
speranza’, Gunther Anders scrive che: “Egli era incapace - e questo ci divideva – di accettare quello
che oggi è il nostro compito: vale a dire vivere senza speranza.” Pier Paolo
Portinaro, Il principio disperazione,
Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pag. 29.
8 In uno
scritto del 1977 “Perché guardare gli
animali” John Berger mostra come l’estinzione degli animali non sia solo
una metafora fantascientifica ma una realtà della modernità. Con la scomparsa
dell’alterità animale, con la messa in mora “del dualismo che è all’origine del
rapporto fra uomo e animale” in una melensa banalità di stampo disneyano
“quello sguardo fra animale e uomo, che potrebbe aver giocato un ruolo cruciale
nello sviluppo della società umana, e con il quale, in ogni caso, tutti gli
uomini hanno convissuto fino a meno di un secolo fa, si è estinto. In uno zoo,
di fronte a ciascun animale, il visitatore non accompagnato è davvero solo. (…)
In un mondo governato dalla logica capitalistica, la perdita storica di cui gli
animali sono testimonianza è ormai irreparabile.” Johm Berger, Sul guardare, Milano, Bruno Mondadori,
2003.
9 Erving
Goffman, Stigma, Verona, Ombre corte,
2003 pag. 15
10 E. Goffman,
op. cit. pag. 39 (citazione da J. Stearn, Sisters of the night)
11 ‘Il mondo
della tomba’ è un vero e proprio leit motiv, tipico di altri romanzi dickiani,
preso a prestito dall’opera di Ludwig Binswanger.
12 Salvatore
Proietti vede il personaggio di Deckard come “una malriuscita figura di
resistenza di classe, che rivendica confusamente uno spazio di azione morale in
un contesto di inevitabile complicità parziale col sistema dominante” ma poi
confonde il ruolo di Deckerd con quello di Isidore attribuendo al primo un
rapporto col mercerismo che è invece del secondo. (Salvatore Proietti, Vuoti di potere e resistenza umana: Dick,
Ubik e l’epica americana, in Trasmigrazioni, i mondi di Philip K. Dick, a
cura di V. M. De Angelis e U. Rossi, Le Monnier, Firenze 2006, pag. 212). Una
distrazione da parte di un acutissimo studioso di Dick che la dice lunga sulla
difficoltà a interpretare positivamente un protagonista dickiano così poco
political correct!
13 “Dotato
di quelle virtù cristiane – pietà, carità, amore per il prossimo – di cui tutti
gli altri personaggi, compreso il ‘cacciatore di androidi’ Rick Deckard, sono
sprovvisti” (C. Pagetti, pref. cit.).
“Isidore, paragonato agli altri personaggi incluso Deckard, è sicuramente il
più empatico di tutti e quindi, in base alla scala Voigt-Kampff, l’essere umano
per eccellenza.” Fabrizio Chiappetti, Visioni
dal futuro, Sant’Arcangelo di Romagna, Fara editore, 2000, pag.103. “Solo
il reietto Isidore (che incarna nel suo stesso corpo il degrado del kipple) può
presentarsi come sincera forza antientropica.” Salvatore Proietti, Philip K. Dick, le barriere di Blade Runner
e i super uomini che non sanno volare, in Lo sguardo degli angeli: intorno
e oltre Blade Runner, a cura di P. Bertetti e C. Solari, Testo & Immagine,
Torino, pag. 107. Analoghe osservazioni ha espresso in varie conferenze Carlo
Formenti.
14 Giovanni
Leghissa, Ospiti di un mondo di cose. Per
un rapporto postumano con la materialità, in Aut Aut n. 361 gennaio marzo
2014, pag. 30.
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