mercoledì 22 ottobre 2014

P. K. Dick: Realtà


Se pensiamo a quel labirinto di illusioni di cui è composta tutta l’opera di Dick, sembrerebbe rimanere ben poca cosa di un’entità così austeramente concreta come la realtà. Ma esiste pur sempre, dura e ostinata, tanto che anche “quando uno smette di crederci non svanisce”, VALIS (1978). E’ quel tipo di realtà che si tocca con mano “Provò a toccare la parete della veranda. Era indubbiamente solida.” LA CITTA' SOSTITUITA (1953), e che non cede alle lusinghe di proprietà extrasensoriali “-Spinga, concentrandosi al tempo stesso sul fatto di far passare la sua mano attraverso le molecole della parete…-. La mano fallì nel tentativo di passare attraverso le molecole.” REDENZIONE IMMORALE (1955). Eppure, poche pagine più avanti ecco il vescovo Berkeley con “tutte quelle storie sulla realtà suprema” in agguato e la realtà di quel mondo svanire “dappertutto discese il buio. – Gretchen – disse. Non ci fu risposta. Soltanto il silenzio.” E ancora, sornione, il vescovo ricompare in TEMPO FUORI DI SESTO (1958) “Ho letto un po’ ai miei tempi – disse Reagle. – Pensavo al vescovo Berkeley. L’idealista. Per esempio…- Accennò al pianoforte nell’angolo del salotto. – Come sappiamo che quel piano esiste? - - Non lo sappiamo – disse Vic. – Forse non esiste - - Mi spiace, - concluse Vic, - ma per quanto mi riguarda queste sono solo parole. –“. “Solo parole” come quelle scritte sui pezzetti di carta che compaiono al posto delle cose vere quando queste svaniscono. “Il chiosco delle bibite andò in pezzi. Molecole. Vide le molecole incolori, prive di qualità, che lo formavano. (…) Al suo posto c’era un pezzetto di carta. Recava scritto, in stampatello, CHIOSCO DI BIBITE.” Il problema della realtà è ovviamente onnipresente in Dick ed è di fatto la vera posta in gioco, persa la quale non rimane nulla “la struttura della realtà stessa, l’universo e ogni sua creatura vivente” svaniscono, DIVINA INVASIONE (1980). In definitiva potremmo dire con Dick che il mondo reale è quell’”insieme di dolore e bellezza” che il nostro procedere va incessantemente costruendo “camminando, mi resi conto che ero io, in un senso molto reale, a creare il mondo di cui avevo esperienza. Creavo il mondo, e al tempo stesso lo percepivo.” LA TRASMIGRAZIONE DI  TIMOTHY ARCHER (1981).

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