La copertina di Illusione
di potere è a prima vista particolarmente criptica. Ci lancia una sfida a
cercare di accostare quel che viene raffigurato con il contenuto del libro.
Proprio il non privilegiare un elemento specifico ci fa pensare a
un’illustrazione più aderente a un qualche avvenimento emblematico della trama.
Uno strano macchinario, una specie di macchina inutile alla Tinguely montata su
un carrello con ruote e con in cima un cappello da uomo, due mani realistiche
che sembrano voler afferrare un medicinale, una pillola. Alle sue spalle un
uomo accovacciato, presumibilmente un tecnico sistema il meccanismo (motore?)
della macchina, e sullo sfondo un’automobile ferma, in attesa. Il tutto poggia
su una specie di pavimento di legno con un orizzonte cartaceo marrone ocra. Il
rosso della macchina si staglia spargendo riflessi rossastri sia sull’uomo che
sull’auto in lontananza. Bene! Potrò sbagliarmi, ma questa immagine non
corrisponde a niente del contenuto manifesto dell’opera. Il macchinario antropomorfizzante
non ha nulla a che vedere con gli scarti delle “unità di controllo Cani Pigri
Marroni” le uniche a cui potrebbe alludere, troppo grande, troppo antropomorfo,
troppo comicamente inutile. Appunto come una macchina celibe. Ed è forse
pretestuoso da parte mia cercare di vedere una certa somiglianza nel profilo
del “tecnico” accovacciato con l’artista Jean Tinguely accovacciato in alcune
fotografie che lo ritraggono durante la costruzione delle sue macchine celibi;
ma per quanto appunto pretestuoso, prima di scartare questa fragile
associazione potremmo cercare di vederne una sua possibile utilizzazione.
Tinguely recuperava scarti di macchine, oggetti rotti, fuori uso e li riportava
a una nuova vita. Bruce Himmel, il tecnico di Illusione di potere che monta le unità di controllo difettose su
minuscoli carrettini lo fa perché li considera vivi “solo perché sono difettosi, incapaci di guidare un’astronave nello
spazio profondo, questo non significa che non abbiano il diritto di vivere la
loro misera vita. Io li libero e loro se ne vanno in giro per… direi per sei
anni o forse di più, tutto qui. Questo gli restituisce ciò che gli spetta di
diritto.” E’ la vita, il desiderio di vivere che accomuna tutte le cose,
animate e inanimate1 o almeno questa è l’idea che probabilmente
Philip K. Dick aveva del mondo e delle cose che lo abitano, e qui in questa
immagine di copertina, anarchica, alla Jarry, si mette a nudo l’essenza delle
cose, tutte: l’innato bisogno di vivere, di non cedere all’entropia, al nulla.
Filosofia dickiana magistralmente esplicitata dall’estro di Silverini che
evidenzia in primo piano questo ibrido di prototipo di un possibile nuovo
rapporto tra uomo e macchina e che relega nello sfondo l’artefatto di una
concezione di questo rapporto obsoleta e ormai anacronistica.
1 Vedi
la dichiarazione di Willis il robot di Guaritore galattico “Nessuna struttura, nemmeno una artificiale, gradisce il processo
entropico. E’ il destino ultimo di ogni cosa, e ogni cosa vi si oppone.” voce: Robot Venerdì 6 febbraio la copertina "Radio libera Albemuth" di Antonello Silverini