Sicuramente vale anche per Philip K. Dick, nella “sua incredibile (spesso ingenua) apertura
all’altro”,1 quello che Michael Bachtin scrive a proposito
dell’importanza del nostro rapporto con l’altro2 da noi: “Io prendo coscienza di me e divento me
stesso, solo svelandomi per l’altro, attraverso l’altro e mediante l’altro.”3
Nel 1974 Dick, all’inizio della sua Esegesi, scrive: “Tutti gli incontri nel mondo fenomenologico (nel tempo e nello
spazio) sono incontri interiori, con costrutti della nostra mente… qui e
dovunque andiamo. Per sperimentare genuinamente, per incontrare davvero
qualsiasi entità vivente in sé, bisognerebbe starci dentro, e averla in noi.
(…) Si condividerebbe il suo mondo, ci si abiterebbe, si possederebbe la sua
prospettiva; allo stesso tempo l’Altro possederebbe ciò che noi abbiamo come
visione del mondo. (…) Non si vedrebbe l’Altro, si vedrebbe come l’Altro. Non
possedendolo, ma possedendo il suo mondo. E questo non sarebbe tanto un ‘io
sono nel tuo mondo e tu sei nel mio’, ma entrambi condividerebbero un mondo
formato da entrambi i mondi precedentemente separati.”(91) Non
possedendo l’altro ma possedendo il suo mondo e lui il nostro, e questo in che
altro modo se non trovandoci reciprocamente in una zona di confine, liminare.
Ci ricorda a proposito Bachtin: “tutto
ciò che è interiore non è autosufficiente, è rivolto in fuori, è dialogizzato,
ogni esperienza interiore viene a trovarsi sul confine, s’incontra con l’altra,
e in questo incontro pieno di tensione sta tutta la sua sostanza.” e ancora “l’uomo
non ha un territorio interiore sovrano, ma è tutto e sempre al confine, e,
guardando dentro di sé, egli guarda negli occhi l’altro e con gli occhi
dell’altro.”4 Guardando ai romanzi di Dick e all’importanza che in
essi rivestono due temi affini come l’empatia5 e la fusione6
si potrebbe essere portati a pensare che questo mondo condiviso, di confine,
sia il mondo in cui tramite la capacità empatica l’incontro con l’Altro si
realizzi attraverso una reciproca fusione. Ma in realtà sono proprio i
personaggi più empatici, e che sono per questo quelli che provano più
sofferenza nella tensione verso l’Altro, a rifiutare la fusione. E il Joe
Fernwright di Guaritore galattico che rifugge dall’alettante simbiosi con il
Glimmung e Il Rick Deckard che non si fonde nel mercerismo, così come il Barney
Mayerson che rifiuta la fusione coatta col mondo totalizzante di Palmer
Eldritch. Ci avverte a tale proposito ancora Bachtin: “di che cosa si arricchirà l’evento, se io mi fondo con un’altra persona
e, invece di due se ne ha una?”7 Per Dick non di una fusione si
tratta infine, ma di “una sovrapposizione
più grande di quella che ciascuno dei due possedeva (…) Quest’improvvisa
visione doppia, sovrapposta e simultanea verrebbe vissuta come se si guardasse
una profondità addizionale: come se aggiungessero un’ulteriore dimensione
spaziale. Come un abitante di uno spazio a due dimensioni all’interno di uno
tridimensionale.”(91)
Nota 1: http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/01/antonio-caronia-un-filosofo-in-veste-di.html
Nota 3: Michael Bachtin, L’autore e l’eroe, Einaudi, Torino, 1988
Nota 4: M. Batchin, L’autore e l’eroe, cit. p. 324
Nota 7: M. Bachtin, L’autore e l’eroe, cit. p. 79
Tra 7 giorni Esegesi 9 - Stasi
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