martedì 22 novembre 2016

Morte


“I morti hanno sempre qualcosa di incommensurabile, di spaventoso. La stessa morte ha un tale potere! Una trasformazione terribile come la vita stessa, e tanto più difficile da capire.” NOI MARZIANI (1962). Una incomprensione, per usare le parole di Adorno, fondata “sulla debolezza, perdurante fino ad oggi, della coscienza umana di tener testa all’esperienza della morte, forse in generale di recepirla. (…) Le riflessioni che cercano di dare senso alla morte sono impotenti come quelle tautologiche.”1 Ma Dick, come forse tutto il genere fantascientifico che lui utilizzava a proprio uso e consumo, è in gran parte una centrifugazione tautologica dell’idea della morte; un modo per tentare di reintegrarla in una società che a rapidi passi sta procedendo verso una nuova ricompattazione comunitaria, dall’individualismo borghese a un nuovo essere collettivo performato da una serie di dispositivi dalle caratteristiche sempre più magiche o quantomeno avvertite come tali. Da un superamento dell’idea di morte come in IN SENSO INVERSO (1965) basato su una nuova religione che predica la fusione tra individui tramite le droghe in cui la morte semplicemente “non esiste: è un’illusione”, come il tempo, del resto; alla rappresentazione di una società futura che al contrario è costruita sulla morte: “La morte rappresentava una componente quotidiana delle loro vite. Gli individui morivano e nessuno era turbato, nemmeno le vittime. Morivano felici e contenti.” DOTTOR FUTURO (1959). Ma in Dick il pungiglione della morte è qualcosa da cui è difficile distrarre il pensiero: “-Che cos’è ein Todesstachel?- mi aveva chiesto, e io le avevo spiegato del pungolo della morte e poi oh Dio lo avevo sentito pungermi il fianco, penetrando come un arpione di metallo che si torceva e mi uncinava oh Signore guidando il mio corpo in un agonizzante Totentanz per la stanza.” DEUS IRAE (1964-75). Naturale anche il desiderio di correrle incontro come in LABIRINTO DI MORTE (1968) “La nostra sola speranza: la morte” o in LE TRE STIMMATE DI PALMER ELDRITCH (1964) “Ascolta Mayerson; essere una pietra non è ciò che vuoi veramente. Quello che vuoi è la morte.” Ma se, infine, “la morte e la colpa sono collegate” GUARITORE GALATTICO (1967) che la colpa principale dell’uomo sia forse proprio quella di esistere e di averne coscienza?

Nota 1: T.W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi 1970, p. 332

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