“I
morti hanno sempre qualcosa di incommensurabile, di spaventoso. La stessa morte
ha un tale potere! Una trasformazione terribile come la vita stessa, e tanto
più difficile da capire.” NOI
MARZIANI (1962). Una incomprensione, per usare le parole di
Adorno, fondata “sulla debolezza,
perdurante fino ad oggi, della coscienza umana di tener testa all’esperienza
della morte, forse in generale di recepirla. (…) Le riflessioni che cercano di
dare senso alla morte sono impotenti come quelle tautologiche.”1 Ma
Dick, come forse tutto il genere fantascientifico che lui utilizzava a proprio
uso e consumo, è in gran parte una centrifugazione tautologica dell’idea della
morte; un modo per tentare di reintegrarla in una società che a rapidi passi
sta procedendo verso una nuova ricompattazione comunitaria, dall’individualismo
borghese a un nuovo essere collettivo performato da una serie di dispositivi
dalle caratteristiche sempre più magiche o quantomeno avvertite come tali. Da
un superamento dell’idea di morte come in IN
SENSO INVERSO (1965) basato su una nuova religione che predica la fusione
tra individui tramite le droghe in cui la morte semplicemente “non esiste: è un’illusione”, come il
tempo, del resto; alla rappresentazione di una società futura che al contrario
è costruita sulla morte: “La morte
rappresentava una componente quotidiana delle loro vite. Gli individui morivano
e nessuno era turbato, nemmeno le vittime. Morivano felici e contenti.” DOTTOR FUTURO (1959). Ma in Dick il
pungiglione della morte è qualcosa da cui è difficile distrarre il pensiero: “-Che cos’è ein Todesstachel?- mi aveva
chiesto, e io le avevo spiegato del pungolo della morte e poi oh Dio lo avevo
sentito pungermi il fianco, penetrando come un arpione di metallo che si
torceva e mi uncinava oh Signore guidando il mio corpo in un agonizzante
Totentanz per la stanza.” DEUS IRAE (1964-75).
Naturale anche il desiderio di correrle incontro come in LABIRINTO DI MORTE (1968) “La
nostra sola speranza: la morte” o in LE
TRE STIMMATE DI PALMER ELDRITCH (1964) “Ascolta
Mayerson; essere una pietra non è ciò che vuoi veramente. Quello che vuoi è la
morte.” Ma se, infine, “la morte e la
colpa sono collegate” GUARITORE
GALATTICO (1967) che la colpa principale dell’uomo sia forse proprio quella
di esistere e di averne coscienza?
Nota 1: T.W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi 1970, p.
332
Nessun commento:
Posta un commento