martedì 27 settembre 2016

Esperienza


Non di tutto ciò che percepiamo come esperienza possiamo essere certi che lo sia realmente e non solo illusoriamente vissuta come tale. “ciò che vedi non è il mondo, ma una rappresentazione che si forma nella tua mente, creata dalla tua mente. Conosci solo per fede tutto ciò di cui hai esperienza. Ed è anche possibile che tu stia sognando.” E ancora più drasticamente: “Camminando, mi resi conto che ero io, in un senso molto reale, a creare il mondo di cui avevo esperienza. Creavo il mondo, e al tempo stesso lo percepivo.” LA TRASMIGRAZIONE DI TIMOTHY ARCHER (1981). Ma se l’esperienza più immediata non ci garantisce della sua buona fede, proprio quella più allucinatoria potrebbe per contro essere rivelatrice di un barlume di verità: “Quello che avevo visto nel marzo del 1974 quando avevo percepito la sovrapposizione dell’antica Roma e della moderna California consisteva in esperienza reale di ciò che avviene normalmente visto soltanto dall’occhio interiore della fede.” VALIS (1978). Decisivo rimane però saper distinguere tra quellE che potremmo definire “buone” e “cattive” allucinazioni. Le prime sono rivelazioni, aperture a una coscienza più profonda della realtà (quelle tipiche dei mistici o di alcuni artisti per intenderci), le seconde appartengono alla follia e alla psicosi. “l’arresto del tempo. La fine dell’esperienza, di ogni cosa nuova. Quando la persona diventa psicotica, non le accade più niente.” NOI MARZIANI (1962). Difficile comunque rimane chiarire cosa sia un’esperienza autentica, suscettibile ad aprirsi alla realtà vera: “Nessuna parola va bene. È questo il punto: non può essere descritto. Bisogna provarlo.” I SEGUACI DI MERCER racconto del 1964. E per noi comuni mortali, privi di esperienze assolute? C’è sempre la possibilità dell’esperienza del soffrire: “soffrire è morire ed essere vivi allo stesso tempo. L’esperienza più assoluta, più totale che si possa trovare.” SCORRETE LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO (1970). 

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