Colpisce osservare come nelle copertine dickiane di
Silverini più l’opera è tra quelle generalmente riconosciute maggiori più gli
elementi rappresentativi si riducano privilegiandone spesso uno solo. E’ il
caso di Ma gli androidi sognano le pecore
elettriche? come abbiamo già visto1, di Ubik e di La svastica sul sole che di seguito
andiamo ad affrontare. A questo proposito lo stesso Silverini in un’intervista2
“per La svastica sul sole, volendo
evitare quello che fino ad oggi ho visto sulle varie copertine di questo
romanzo (svastiche, castelli e ogni sorta di elementi troppo didascalici), ho
trovato questa cosa dell’orologio di topolino che diventa nel contesto ucronico
del romanzo un pezzo di antiquariato americano, un feticcio indigeno per i
vincitori”. Ecco allora molto semplicemente la genesi di una copertina.
Un’idea chiave, la più rappresentativa possibile, individuata in quel feticcio
indigeno con all’interno quel “saluto
nazista del topo di Disney (anche lui sospettato di essere filo-hitleriano),
che suona assai sinistro.” Facile certo, ma non così scontato come si
vorrebbe. Perché poi quell’oggetto? Giustamente Silverini scansa a priori i
facili accostamenti: la svastica, il castello; ma avrebbe potuto sceglierne
altri meno scontati ma di ben altra forza rappresentativa. Penso agli esagrammi
degli I King, particolare tutt’altro che secondario del romanzo. La svastica
sul sole è si romanzo della storia alternativa possibile ma è anche
rappresentazione per eccellenza di un mondo culturale in cui coabitano universi
multipli, assoggettato alla pratica divinatoria contrariamente a un mondo, come
il nostro, a universo unico in cui ci si affida alla tecnica diagnostica3.
Oppure ribadendo la scelta ucronica far marciare i soldatini nipponici nelle
strade di Washington, con un richiamo più o meno esplicito ai filmati di
propaganda bellica di Fank Capra4. O l’autentica pistola falsa che
mette a repentaglio la vita dell’ebreo americano Fink e così via, si potrebbe
continuare a lungo. Perché allora una scelta così minimalista come l’orologio
con Mickey Mouse? Ed è stata una scelta poi così azzeccata? L’immagine è bella,
forse addirittura poetica; quel rosso vibrante su un campo verde, carte di
giornali con scritte in varie lingue che si sovrappongono, si fondono; il tempo
segnato da un personaggio popolare dei comics. Personalmente credo che
il creatore di figure, il fabbricante di immagini lavori un po’ come Philip K.
Dick immaginava lavorasse l’inventore di armi alla moda Mr. Lars, cioè
entrando, in stato di trance, nella testa di qualcun altro che sta ideando,
progettando cose di tutt’altra natura; nel caso specifico fumetti di
fantascienza. Nel mondo delle immagini quest’idea della trance si può accostare
a quella parola così abusata che è la cosiddetta ispirazione, la trovata, il
colpo di genio. Tema spinoso ma non riconducibile al livello della spiegazione
della pura tecnica. Qualcosa ha guidato la testa e la mano di Silverini nello
scegliere e disegnare quel semplice oggetto a discrimine di tutti gli altri. E
quel Mickey Mouse è si inquietante ma non per il saluto nazista, che con quel
guantone, va detto, potrebbe essere scambiato più facilmente per un gesto che
vuole intercettare la palla in una
partita di baseball, ma per ben altro. E’ inquietante perché allude, anzi
evidenzia, la più sofisticata macchina ideologica del mondo, quella degli USA.
La svastica sul sole che vorrebbe essere romanzo ucronico5 e cioè
che ci racconta come la storia sarebbe andata se… (o meglio come sarebbe potuta
andare) introduce con questo gadget un primo elemento antiucronico e ci
racconta come la storia è andata veramente e cioè che la presunta invasione
dell’immaginario giapponese, i vari Mazinga, manga, anime e quant’altro che
l’Occidente ha più volte lamentato negli ultimi decenni del Novecento, in
realtà sono stati il prodotto della potente macchina mitologica americana. Come
scrive Hiroki Azuma, studioso giapponese della postmodernità “se si considerano
separatamente il manga, l’anime o le
riviste amatoriali, è possibile individuare un’influenza americana che inizia
negli anni Trenta”. Un’influenza che
“interrotta temporaneamente durante il conflitto, è rinvigorita in un contesto
diverso nel dopoguerra.”6 Ecco allora l’ucronia raccontarci come
veramente si sono svolti i fatti della storia e che quel topolino possa anche
alludere a un saluto nazista fa si che questa si sfaldi definitivamente nella
rappresentazione molto realistica di un’America che sconfiggendo il nemico pare
essersi trasformata essa stessa nel nemico, come Philip K. Dick temeva fosse
realmente accaduto.
2 Intervista di Alessandro
Conti in “Delos rivista di fantascienza”
3 Sulla differenza
tra mondo plurimo e mondo univoco: Tobie Nathan e Isabelle Stengers, Medici e stregoni, Bollati Boringhieri, Torino 1996 pag. 24-5
5 “La letteratura ucronica è un
insieme di opere narrative costruite intorno a un’ipotesi retrospettiva e
alternativa allo svolgimento consolidato di un fatto storico.” Emiliano Marra,
Il caso della letteratura ucronica italiana. Ucronia e propaganda nella narrativa
italiana”, Between, IV.7 (2014), http://www.Between-Journal.it/
6 Hiroki Azuma, Generazione Otaku, Jaca Book, Milano
2010 pag. 57
La prossima copertina "Redenzione immorale" venerdì 9 gennaio 2015
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