Un mondo, una navicella, una sfera che si apre
lungo la circonferenza mediante un congegno meccanico. La sua apertura rilascia
una nuvola di orologi, vecchie cipolle prive di quelle catenelle che le
vincolano in un qualche posto, di solito nel taschino di un provvidenziale
panciotto. La navicella terrestre a forma di sferoide, a tale improbabile
veicolo di terra la identificano le ruote sottostanti, ha la parte superiore
spalancata come una bocca che assume le sembianze di una testa che a partire
dal naso arriva a un cucuzzolo perfettamente glabro. Facile allusione alla
colonia utopica che nel romanzo si chiama appunto Bocca di Balena. Come tutte
le balene che si rispettino al suo interno cova il suo piccolo Giona, un
piccolo ometto con berretto a forma di coppola e un binocolo in mano con cui
scruta… e qui è lecito chiedersi cosa mai possa scrutare , quale orizzonte mai
possa vedere, dato che la direzione della sua attenta indagine è rivolta alla
parte interna della faccia/coperchio. Questo piccolo Giona, rappresentante
ideale dei tanti piccoli eroi dickiani, è fissato, forse non solo nel senso di
ostinato, a cercare una direzione dove non c’è direzione, nessun orizzonte ma
solo uno spazio curvo, concavo in cui ogni tentativo di trovare una strada
scivola via, come quegli orologi, quegli atomi di tempo che ruotando schizzano
via in tutte, o meglio nessuna direzione. In uno spazio universo terrigno,
marrone, ocra, giallo spento, grigio, grigio cenere, questo viaggiatore, deciso
a non cedere, a non arrendersi, interroga, si interroga su quale via e la bocca
di balena gli risponde: chiedi, chiedi ancora, prova, prova un’altra volta.
Venerdì 12 dicembre la copertina di "Dottor futuro"
Venerdì 12 dicembre la copertina di "Dottor futuro"
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