mercoledì 11 gennaio 2017

Natura


Non c’è nessuna idealizzazione romantica, neanche in veste ecologistica, della natura in Philip K. Dick. Il ritorno ad essa è vista sotto il segno della fine, come ritorno all’indistinto, al non essere: “La loro visione: è cosmica. Non un uomo qua, un bambino là, ma un’astrazione: la razza, la terra. Volk. Land. Blut. Ehre. Non l’onore degli uomini degni d’onore, ma l’Ehre stesso; per loro l’astratto è reale, e il reale è invisibile. Die Gute, ma non gli uomini buoni, non quest’uomo buono. È il loro senso dello spazio e del tempo. Essi vedono attraverso il ‘qui’ e ‘ora’, nell’enorme e nero abisso che c’è al di là, nell’immutabile. E questo è fatale alla vita. Perché alla fine non ci sarà più vita; una volta c’erano soltanto le particelle di polvere nello spazio, gli ardenti gas di idrogeno, e niente più, e così tornerà a essere. Questo è un intervallo, ein Augenblic. Il processo cosmico procede a grandi passi, frantumando la vita e riducendola di nuovo a granito e metano; la ruota gira sempre, per tutta la vita. È tutto temporaneo. E loro – questi pazzi – rispondono al granito, alla polvere, al desiderio dell’inanimato; essi vogliono aiutare la Natur.” LA SVASTICA SUL SOLE (1961). Una visione apparentemente meno terribile la troviamo in CRONACHE DEL DOPOBOMBA (1963). C’è un parassita nel corpo della bambina Edie Keller, è il suo fratellino gemello Bill. Se il dottor Stockstill “avesse avuto la possibilità di farle una radiografia sarebbe riuscito a vedere il corpicino piccolo e raggrinzito, forse non più grande di un cucciolo di coniglio. In effetti, tastandola riusciva a sentirne il profilo… le toccò il fianco, avvertendo distintamente la sacca, dura come una ciste, all’interno del corpo. La testa in posizione normale, il corpo interamente nella cavità addominale, con gli arti e tutto il resto. Un giorno la bambina sarebbe morta e le avrebbero aperto il corpo per effettuare un’autopsia; avrebbero trovato un maschietto rinsecchito, magari con una lunga barba bianca e gli occhi ciechi… suo fratello, ancora non più grande di un cucciolo di coniglio.”  Edie è l’unico contatto col mondo esterno da parte di Bill, quello che la sorellina ascolta viene recepito anche da lui. “Curioso, pensò Stockstill, questo parassita che cresce dentro il suo corpo, in un ambiente buio e umido sempre uguale, che si nutre del suo sangue e ascolta da lei, in chissà quale strano modo, un riassunto di seconda mano di un famoso romanzo… Tutto questo rende Bill Keller parte della nostra cultura. Anche lui conduce la sua grottesca esistenza sociale. Dio solo sa a cosa gli serve conoscere quella storia. Avrà delle fantasie su di essa, sulla nostra vita? Ci sogna?”. Se volessimo disegnare un volto umano per la natura, facendoci aiutare dalla letteratura (così come per l’animale: la balena bianca di Melville) l’omuncolo dickiano Bill Keller sarebbe un ottimo candidato. La sua cecità, antichità, ma soprattutto la temibile paura che questo esserino induce alla potenza del mutante Hoppy ne sono una spia evidente. Una mutazione, per quanto potente, anzi proprio in quanto potente, è costitutivamente fragile e soggetta a estinguersi in tempi brevi, a essere ‘ritirata’ dalla natura stessa. E l’idea che la natura ci sogni, fantastichi sulla nostra storia, è un’idea potente ed efficace del reale significato del termine natura: quell’enorme laboratorio che crea esperimenti, dei quali il più difficile, complesso ma anche affascinate è proprio il nostro.


Volk: popolo – Land: terra – Blut: sangue – Die Gute: il bene – Ein Augenblic: un attimo 

 

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