Come prendere sul serio le indicazioni di Antonio
Caronia sul Dick romanziere-filosofo e cioè per restare sull’Esegesi, come
approcciarne la filosofia, qui esplicitamente evidenziata senza il consueto
travestimento narrativo? Seguendo ancora Caronia un primo modo sarebbe “quello di passare in rassegna tutti i
momenti in cui Dick affronta esplicitamente temi filosofici, controllarli se
possibile con passi analoghi dell’Exegesis (opera ben più densa al riguardo
delle opere narrative), e operare una prima classificazione e confronto fra i
temi ‘espliciti’ e quelli impliciti. Il secondo sarebbe quello di identificare
gli assi portanti (se si possono individuare) della ‘filosofia’ dickiana. E
qui, per esempio, leggere – o rileggere – le intenzioni espresse da Dick
confrontate con le realizzazioni. Ora non voglio contraddirmi subito
sconfessando quanto ho appena detto. Non voglio, cioè, anticipare alcuna
conclusione di una ricerca che (ripeto) è ancora largamente da fare. Ma mi sarà
consentito di dichiarare almeno un’impressione, e che cioè, a volte, ciò che
Dick dichiara esplicitamente vada preso più sul serio di quanto sinora tutti
noi non abbiamo fatto.”1 Quindi accettando subito questa
contraddizione e facendola anche mia, prenderò sul serio quanto Dick ha
dichiarato esplicitamente. Buona, cattiva, grossolana la filosofia di Dick va
presa così com’è e non gli farò il torto di passarla al setaccio delle
verifiche accademiche. Del resto Erik Davis (457 nota) parla
esplicitamente di filosofia da garage
descrivendo le “informali discussioni di
gruppo fino a tarda notte sotto l’effetto di fumo o droga” tra Dick,
Terence e Dennis McKenna2 “per tutto il tempo in cui visse a Orange
County.” E per la filosofia di Dick potremmo anche parlare di filosofia grossolana, parafrasando un
filosofo atipico come Gunther Anders che per tante cose potrebbe essere
accostato a Dick. Soprattutto per quel suo tentativo di affiancare al suo
filosofare una sorta di forma letteraria definibile come “farsa ontologica”. Il principale studioso della filosofia
andersiana, Pier Paolo Portinaro ci spiega come “Nelle vesti di una ‘leggenda molussica’, Anders ci racconta una
cosmogonia che ha per protagonista il dio Bamba, principio dell’essere senza
fondamento, il quale, non potendone più di silenzio e di eternità, decide di
creare il mondo, di collocare nel vuoto illimitato dell’ápeiron il pieno
limitato del peras, dando vita a ‘qualcosa di ibrido e di ontologicamente
ambiguo, qualcosa tra l’essere e il non essere’, ‘una sorta di colonia divina’,
indipendente abbastanza per essere ‘se stessa’, cioè distinta dal suo
fondamento, e nel medesimo tempo dipendente da lui, detentore del monopolio
dell’essere.”3 Se questo tentativo di narrazione filosofica alla
lunga, inframmezzata nei testi più prettamente filosofici risulta un po’
pesante e farraginosa, peraltro testimonia la presa di coscienza di un deficit
di immaginazione nella filosofia del Novecento, un deficit che tende a
distanziarla sempre più dai problemi concreti della vita del secolo di fine
millennio. L’uso che Dick fa della fantascienza è la risposta riuscita a questo
tentativo parzialmente fallito di Anders. Dick saprà usare la fantascienza a
suo proprio uso e consumo, senza farsi ingoiare da essa ma al contrario
ingoiandola, rimasticandola e vomitandola fuori come materia filosofica.4 Avremo modo di parlare ancora di Anders, della
sua filosofia in rapporto a quella di Dick, per adesso ci accontenteremo di
evidenziarne la comune ricerca verso il compito più importante a cui l’umanità
nella nostra ‘tarda’ modernità è chiamata ad assolvere se vuole sopravvivere: “vale a dire vivere senza speranza.”5
e cioè imparare a camminare senza il faro all’orizzonte di qualsivoglia utopia.
Nota 1: A. Caronia, Un filosofo in veste di romanziere, Il Manifesto 1.3.2012. http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/01/antonio-caronia-un-filosofo-in-veste-di.html
Nota 2: sulle esperienze dei fratelli McKenna un
interessante intervista a Dennis in http://www.shake.it/index.php?id=608&tx_ttnews%5Bpointer%5D=1&tx_ttnews%5Btt_news%5D=47&tx_ttnews%5BbackPid%5D=234&cHash=c7b32aaa40
Nota 3: Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp.
51-2
Nota 4: Per Steve Erickson al contrario è stato Dick
ad essere ingoiato dal genere fantascientifico dopo aver ambito, come il suo
collega Theodore Sturgeon, al mainstream letterario (vedi nota a p. 238).
Nota 5: P. P. Portinaro, Il principio disperazione, cit., p. 29Lunedì 23 gennaio: Esegesi 3 - Perché l'Esegesi?
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