“Lui
le si avvicinò e fecero ciò che entrambi desideravano. La donna era ben fatta,
passionale ed esperta. Nessuno dei due parlò finché Tany disse: - Oh! – e poi
si rilassò.” LA
FEDE DEI NOSTRI PADRI racconto del 1967. Meno prosaicamente
nello stesso racconto il fare all’amore viene paragonato alla capacità di
fondersi1 con l’universo e di annullare
il tempo. Di ben altro tenore invece le prestazioni che “l’agenzia di ragazze da divertimento” mettono a disposizione in LOTTERIA DELLO SPAZIO (1953-4): Ted Barteley
“si fece la barba, si rivestì, pagò a
Lori la tariffa stabilita e rimandò la ragazza all’agenzia.” Tutto molto
scarno e scialbo, eppure non privo di una certa tenerezza quando nel successivo
incontro casuale tra i due, lei gli dona un portafortuna per essere stato
gentile nei suoi riguardi. In E JONES
CREO IL MONDO (1954) troviamo un’altra modalità di fare sesso,
esibizionista e trasgressiva: “I due
attori sul palco, dai corpi professionalmente agili e sinuosi, avevano
cominciato a fare l’amore. L’atto veniva consumato come un rituale: era stato
compiuto talmente tante volte da trasformarsi in una serie di passi di danza,
privi di passione o intensità. Quasi immediatamente, mentre il ritmo saliva,
l’uomo cominciò a mutare sesso. Dopo poco si trattava dei movimenti ritmici tra
due donne.. Poi verso il finale, l’attrice che in un primo momento si era
presentata in vesti femminili, si trasformò in un uomo. E la danza finì come
era iniziata: con un uomo e una donna che facevano tranquillamente l’amore.” Però
la più bella descrizione di un rapporto sessuale la troviamo in LE TRE STIMMATE DI PALMER ELDRITCH (1964)
e merita una citazione più lunga del solito: “posò a terra la sua lampada e tornò da lui a braccia aperte. –
Prendimi – disse. – Non qui. È troppo vicino all’entrata. - Aveva paura. – Dove ti pare. Prendimi qui. – Gli gettò le
braccia al collo. – Adesso – esclamò. – Non aspettare. – Non aspettò.
Prendendola in braccio, la portò lontano dall’entrata. – Caspita – disse lei,
quando la mise giù nel buio; subito ansimò, forse per il freddo improvviso che
si riversò su di loro, penetrando i loro abiti pesanti che non servivano più,
che in effetti erano un ostacolo al vero calore. Una delle leggi della
termodinamica, pensò. Lo scambio di calore; molecole che passano tra di noi, le
sue e le mie che si mescolano in… entropia? Non ancora, pensò. – Oddio – disse
lei, nel buio. – T’ho fatto male? - - No, scusami. Continua. – Il freddo gli
addormentava la schiena, le orecchie; scendeva dal cielo. Lo ignorò come meglio
poteva, ma pensava a una coperta, a uno spesso strato di lana… strano,
preoccuparsi di questo in un momento del genere. Sognò la sua morbidezza, le
fibre che gli grattavano la pelle, la pesantezza. Invece dell’aria fredda,
sottile, frigida, che lo faceva ansimare con grandi singulti, come fosse
finita. – Stai… morendo? – chiese lei. – È
solo che non riesco a respirare. Quest’aria. - - Povero, povero… Dio santo. Ho dimenticato
come ti chiami. - - Che accidenti di situazione. - _ Barney! – Lui s’aggrappò a
lei. – No! Non ti fermare! – Lei inarcò la schiena. Le batterono i denti. – Non
volevo fermarmi – disse lui. Lei mugolò. Lui rise. – Ti prego, non ridere di
me. - - Non ti volevo offendere. – Quindi un lungo silenzio. Poi un profondo
respiro. Lei sobbalzò, galvanizzata, come sopraffatta dalla scarica di un
esperimento scientifico. Gli apparteneva, pallida, dignitosa, svestita:
trasformata nel sistema nervoso alto, snello e scolorito di una rana; riportata
in vita da uno stimolo esterno. Vittima di una corrente che non le apparteneva,
ma che comunque accettava. Lucida e reale, consenziente. Pronta da tempo
infinito. – Stai bene? - - Sì – disse lei. – Sì, Barney. Certamente, benissimo.
Sì! -“ E infine la più corta in MA
GLI ANDROIDI SOGNANO LE PECORE ELETTRICHE? (1966) “Accidenti, vieni a letto – disse Rachael. Lui ubbidì.
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