sabato 21 maggio 2016

Lacrime


“…soffrire è morire ed essere vivi allo stesso tempo. L’esperienza più assoluta, più totale che si possa provare. La forza. A volte giurerei che non siamo stati creati per superare un ostacolo simile. È troppo. Il corpo arriva quasi a distruggersi, con tutti quei sussulti, quelle contorsioni. Ma io voglio provare dolore. Versare lacrime.”

Scorrete mie lacrime, dalla vostra fonte sgorgate!
Per sempre esiliato, lasciatemi gemere;
dove il nero uccello della notte
la triste infamia di lei canta,
lì lasciatemi vivere sconsolato.


“Scorrete, mie lacrime – pensò. – Il primo brano di musica astratta mai scritto. John Dowland nel suo secondo libro di composizioni per liuto, nel 1600. Lo ascolterò sul mio nuovo impianto quadrifonico, appena sarò a casa. Così potrà ricordarmi Alys e tutti gli altri. E ci saranno una sinfonia e un fuoco e tutto sarà calore.” SCORRETE LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO (1970). Sentirsi morire  ed essere vivi, e forse sentirsi vivi proprio nel sentirsi morire. Le lacrime dickiane, che compariranno ancora come lacrime di androidi (MA GLI ANDROIDI SOGNANO LE PECORE ELETTRICHE? 1966, VALIS 1978) sono il prodotto del lungo percorso della specie umana che dal lamento di un’angoscia preistorica passando per l’angoscia esistenzialistica borghese moderna arrivano alla melanconica nostalgia di una umanità diventata incapace di reinventarsi, ancora una volta, una rassicurante identità ancorata a una natura squisitamente umana. 

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