“In
fatto di suicidio Eric aveva un punto di vista piuttosto personale e curioso.
Nonostante il codice etico che gli imponeva la sua stessa condizione di medico,
lui era convinto – e la convinzione si basava su esperienze molto concrete
della sua stessa vita – che se un uomo vuole togliersi la vita ha tutto il
diritto di farlo. Eric non era in grado di elaborare razionalmente una
giustificazione per questo, e non aveva nemmeno cercato di costruirsene una.
L’asserzione per lui, era evidente di per sé. Nulla dimostrava che la vita
fosse davvero un dono. Magari lo era per qualcuno, ma ovviamente non lo era per
altri.” ILLUSIONE DI
POTERE (1963). L’idea del suicidio oltre ad essere una faccenda privata
compare in tutta l’opera di Dick come un diritto individuale da contrapporre a
un potere che vuole infiltrarsi, fin negli interstizi, in tutti i campi della
vita. In FOLLIA PER SETTE CLAN (1963-4)
il protagonista Chuck Rittersdorf “sentì
sorgere dentro di lui, subdolo, quell’impulso familiare; la sensazione che
fosse inutile continuare. Il suicidio, per quanto ne dicessero la Legge e la
Chiesa, era per lui l’unica vera risposta in quel momento.” Di fronte
all’intervento per impedirglielo di un extraterrestre, suo vicino di casa, il ganimediano
Lord Running Clam, Chuck ribadisce che “sono
affari miei se mi butto o no” , ma la muffa gelatinosa di Ganimede gli
replica, citando “alla bell’e meglio” Jacob
Bohème, che “nessun terrestre è
un’isola”. Ma non ci sono solo i buoni extraterrestri a cercare di impedire
questo delitto contro natura, anche le cose, le macchine aiutano; in GIOCATORI DI TITANO (1963) due tentati
suicidi vengono sventati prima da una cassetta di medicinali, pronta a dare
l’allarme, poi da un aerotaxi robotizzato. Degli innumerevoli casi di suicidio,
o tentati o solo desiderati nei romanzi e racconti di Dick, il più sensazionale
è quello di Gerson Pole nel racconto LE
FORMICHE ELETTRICHE del 1968. Pole scopre di essere un androide e nel colmo
della disperazione decide di tagliare il nastro perforato, l’alimentatore di
realtà, che si trova all’interno del suo corpo ponendo così fine alla propria
realtà. Ma essendo “la realtà oggettiva
(…) soltanto un’astrazione sintetica derivante da una ipotetica
universalizzazione di una massa di realtà soggettiva” insieme alla
scomparsa di Pole anche la realtà di tutti gli altri scompare di conseguenza.
La prova provata che nessun uomo è un’isola.
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