“Disteso,
senza bisogno di parlare, senza bisogno di muoversi. Senza essere costretto a
occuparsi di qualcuno o di qualche problema. E nessuno saprà dove sono, si
disse. Questo gli pareva, inspiegabilmente, molto importante; voleva essere sconosciuto
e invisibile, vivere non visto.” UBIK (1966). Non un vero e proprio desiderio di non esserci, di
perdere presenza, ma piuttosto un esserci senza il pegno della fatica che
questo comporta, del duro lavoro legato al mestiere del vivere. Tutt’altro problema
ha Richard Kongrossian, il pianista psicocinetico di I SIMULACRI (1963) che dichiara al proprio psicoterapeuta: “dottore mi sta succedendo qualcosa di
spaventoso. Sto diventando invisibile. Nessuno può vedermi. Possono soltanto
sentire il mio odore; mi sto trasformando in nient’altro che un odore
repellente!” La diagnosi del dottor Superb sarà di una “crisi del senso d’identità” dovuta allo
sgretolamento della struttura compulsiva-ossessiva con la inevitabile
conseguenza della “comparsa di una psicosi
palese.” E ancora l’invisibilità di un uomo fin troppo visibile, un uomo
dello spettacolo che improvvisamente diventa sconosciuto a tutti. Ma anche in
questa situazione estrema non può non pensarsi come uomo dello spettacolo e
contemporaneamente nello spettacolo, immaginando di presentarsi al pubblico
nella sua nuova situazione: “poteva quasi
sentire la sua voce fuori campo che introduceva il servizio: -Cosa può
succedere a un uomo, un brav’uomo senza precedenti penali, un uomo che un
giorno, all’improvviso, perde tutti i suoi documenti e si trova a
fronteggiare…- Eccetera. Li avrebbe incollati allo schermo, tutte e trenta i
milioni di spettatori. Perché era quello che ognuno di loro temeva. –Un uomo
invisibile- avrebbe proseguito, -eppure un uomo persino troppo appariscente.
Invisibile nella legalità, appariscente nell’illegalità.” SCORRETE LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO (1978).
Ma se c’è un’invisibilità paradossale ed estrema è quella di diventare invisibili
dentro pur rimanendo visibili fuori: “Mentre
parlava, cominciò a scomparire. Lui la guardò andarsene; era stupefacente.
Gloria, nel suo tono pacato, si cancellò dall’esistenza, parola dopo parola.
Era la razionalità al servizio di… be’, pensò, al sevizio del non-essere. La
sua mente si era trasformata in una grande, efficace gomma per cancellare.
Tutto ciò che realmente rimaneva, in quel momento, era il suo guscio; vale a
dire: il suo corpo privo di occupante.” VALIS (1978). Concludiamo questa carrellata
sull’invisibilità con quella più dolorosa, quella di chi sarà perduto proprio
per l’impossibilità di divenire invisibile: “-Sono invisibile- si disse. Era una battuta del ‘Sogno di una notte di
mezza estate’, che aveva rappresentato a scuola. Una battuta di Oberon, e la
parte l’aveva interpretata lui. Dopo di che, nessuno poteva più vederlo. Forse
funzionava anche ora. Forse l’incantesimo funzionava anche nella realtà. Ripeté:
-Sono invisibile.- Ma sapeva che non era vero. Si vedeva ancora le braccia, le
gambe e le scarpe, e sapeva che tutti gli altri, l’uomo del furgone,
soprattutto, e sua madre e suo padre, potevano vederlo. Se guardavano. Era lui
che cercavano questa volta.” LE
PRE-PERSONE racconto (1974).
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