Tanto sterminata è la critica sull’opera dickiana
tanto è povera (esiste?) quella sulle traduzioni italiane della stessa. Eppure
dovrebbe essere la prima preoccupazione per quell’enorme massa di lettori,
sottoscritto compreso, che non conoscendo o conoscendo male la lingua inglese
sono costretti ad accontentarsi delle varie traduzioni che si sono succedute
nel tempo, dalle collane seriali di Galassia
e Urania alle ultime , circonfuse
di aura accademica, edite da Fanucci.
E allora accingiamoci, col dizionario posto tra il testo originale e le diverse
traduzioni, a spulciare, rovistare, annusare l’equivoco, la frode e perché no,
l’errore fecondo; cioè quell’errore capace di aprire a nuovi scenari, nuove
riflessioni e problematizzazioni. Non sarà questo un lavoro sistematico non ne
ho le competenze, posso solo tentare un piccolo approccio provocatorio. Una
provocazione spero non fine a se stessa ma che appunto cerchi di provocare
qualcosa, di andare oltre, che spinga avanti il nostro sguardo; un punto di
vista diverso dal solito. Do Android
Dream of Electric Sheep? (1966) è stato tradotto per la prima volta da
Maria Teresa Guasti nelle edizioni Galassia
prima, Nord poi, con il titolo Il cacciatore di androidi. Riccardo Duranti l’ha ritradotta per Fanucci e il titolo bilica tutt’oggi tra
il Ma gli androidi sognano le pecore elettriche? e il più accattivante per il grande pubblico Blade Runner. Debbo alla traduzione di
Maria Teresa Guasti l’intuizione che in questo romanzo, nonostante le
apparenze, non si parli affatto di androidi. La scena clou in cui si descrive nei particolari la
soppressione fisica di un Nexus-6 è così resa nella traduzione: “Sparò. Il grande corpo dell’androide si
spezzò, crollando in una pioggia di parti separate. Frammenti di metallo e
componenti più fragili rimbalzarono sul tavolo di cucina, rovesciando a terra
piatti e stoviglie. I circuiti all’interno del corpo fecero sussultare e
vibrare ancora braccia e gambe, ma ormai l’androide era morto.” L’originale
invece recita: “He shot Roy Baty; the big
man’s corpse lashed about, toppled like an over-stacked collection of separate,
brittle entities; it smashed into the kitchen table and carried dishes and
flatware down with it. Reflex circuits
in the corpse made it twitch and flutter, but it had died”, così
come è stato correttamente reso nella successiva traduzione: “Rick sparò anche a Roy Baty; la grossa
carcassa dell’uomo si gettò di scatto in avanti, poi crollò a terra come una
pila troppo alta di tanti oggetti fragili e separati. Andò a sbattere contro il
tavolo di cucina e si trascinò dietro piatti e stoviglie. I circuiti dei
riflessi lo fecero fibrillare e contorcersi per un po’, ma ormai era morto.” Ecco
l’esempio di come una traduzione falsata possa metterci sull’avviso di qualcosa
che non va come dovrebbe. È evidente che l’artificialità di questi esseri è
troppo esigua se si deve basare solamente su una carenza di empatia. Da qui il
bisogno di un sovrappiù, qualcosa che li qualifichi come affatto diversi,
appunto artificiali. Ed ecco l’esigenza di aggiungere parti metalliche al loro
interno. Un altro
particolare che di per sé potrebbe sembrare insignificante ma che per me ha il
sapore di un tradimento è la trasmutazione del Kipple in palta. La prima
traduzione mantiene il termine inglese Kipple e in una nota lo descrive come “desolazione, disordine, squallore,
decadimento: tutto insieme.” Certo che si può tradurre in palta ma questo
richiama più all’immondizia, a qualcosa
di sporco, all’accumulazione di rifiuti, mentre il Kipple dickiano ha più a che
fare con l’entropia, con il decadimento naturale delle cose; non ha una
connotazione morale come invece il termine palta. L’entropia non è dovuta al
nostro semplice produrre rifiuti, è nell’ordine delle cose così come il nostro
opporci ad essa. Non per un imperativo morale ma per un imperativo vitale.
Sfumature? Probabile, me ne si permetta però un’altra ancora: il cacciatore
Rick dice al falso agente Crams: “_ Mi
confessi che è un androide. _ Perché? Io non sono un androide. Ma lei cosa fa?
Va in giro ammazzando la gente, dicendo a se stesso che sono androidi?” Nella nuova traduzione il “dicendo a se stessi che…” diventa “dicendo loro che…”; il testo originale da ragione alla prima
versione: “_ Admit to me that you’re an
android. _ Why? I’m not an android. What do you do, roam around killing people
and telling yourself they’re androids?”. In questo processo di
deumanizzazione dell’altro chi si vuole convincere? Se stessi o l’altro? Chi è
il vero obiettivo? Nei campi di sterminio nazisti agli internati veniva
proibito di sollevare lo guardo, di guardare negli occhi i loro aguzzini. Era
fondamentale per il carnefice convincersi della non umanità delle vittime,
altrimenti come avrebbero potuto, rientrando a casa dopo il lavoro accarezzare
i propri figli con tenerezza e amore? Ed eccoci ora a un altro pezzo forte The
Three Stigmata of Palmer Eldritch (1964) che mantiene inalterato il titolo in
Le tre stimmate di Palmer Eldritch sia nella vecchia traduzione Nord di Ugo Malaguti che nella nuova di Fanucci di Umberto Rossi. Ciò che
colpisce subito nella comparazione tra la nuova traduzione e il testo originale
è la sostituzione della parola dono
con quella di pharmakon. Palmer
Eldritch dice a Barney Mayerson: “Eccoti
la mia cura, e ricorda; in greco pharmakon vuol dire anche veleno.” Nell’originale:
“That’s my gift to you, and remember: in
German gift means poison.” 1In tedesco gift significa veleno,
all’opposto della medesima parola inglese che significa dono. Senza voler qui
scomodare tutto il discorso antropologico al riguardo e
senza insistere troppo sulla nota importanza della lingua tedesca per Dick, non
possiamo non vedere come questa modifica di fatto altera un elemento importante
del romanzo; Palmer Eldritch non offre una cura che va bene solo se presa in
piccole dosi, come appunto un farmaco, fa invece un regalo, un dono che in
quanto tale è comunque un veleno. E occorre qui ricordare che il binomio dono
veleno attraversa tutta l’opera di Dick. Cosa sono gli autofac (fabbriche
che producono incessantemente prodotti di consumo o copie di tali prodotti,
gratuitamente) se non un regalo avvelenato per l’umanità? E non è un
veleno per la puritana società americana tutto ciò che viene regalato senza che
sia stato guadagnato col duro lavoro? In un classico dei fumetti, quel Lil
Abner citato anche da Dick stesso in un’altra sua opera,2 compaiono dei terribili personaggi, gli Shmoos
che fanno qualsiasi cosa per l’umanità, sono capaci di produrre qualsiasi bene
l’umanità desideri, e gratuitamente; e perciò costituiscono per la stessa una
minaccia assoluta.3 C’è un’ultima piccola cosa significativa da
segnalare in questa traduzione: l’active
immagination, l’immaginazione attiva che varia da individuo a individuo nel
sottoporsi all’uso della sostanza stupefacente Can-D viene resa con immaginazione vivace. Una variazione che
non tiene conto di quella tipica terminologia del pensiero di Carl G. Jung;
pensiero che ha avuto un gran peso nell’opera, oltre che nella vita, di Dick.
Proseguendo il nostro rapido excursus approdiamo a un altro testo, Galactic
Pot-Healer (1967) Giù nella cattedrale nella prima traduzione di Pietro Anselmi
per Bompiani e poi Guaritore
galattico in quella di Fanucci
tradotta dal responsabile stesso della collana Carlo Pagetti. Qui vorrei segnalare
la scelta di modificare i titoli di alcuni romanzi o film, implicati in giochi
linguistici all’interno del romanzo, in altri titoli e di conseguenza in altri
indovinelli. Operazione del tutto lecita che però sarebbe stata più corretta se
in una nota si fossero riportati quelli originali.4 Vorrei segnalare
anche, a titolo precauzionale per chi la trovasse in una bancarella e fosse
tentato di comprarla, l’esistenza di una traduzione di Ubik alquanto originale (molto originale!) pubblicata da Fanucci nel 1989 nella collana “Il libro
d’oro della fantascienza” tradotta da Domenico Cammarota con la revisione di
Gianni Pilo. E per finire, sperando che qualcun altro ben più preparato del
sottoscritto riprenda il discorso, un’avvertenza per uno dei primi romanzi di
Dick: Eye in the Sky (1955), L’occhio nel cielo; chiunque pensasse sufficiente
averlo letto nella vecchia traduzione di Urania
sappia che, indipendentemente dal livello della traduzione, ha letto
all’incirca solo il 60% del romanzo. La nuova edizione Fanucci, tradotta da Maurizio Nati ci propone un’opera affatto
nuova. Interessante anche qui sarebbe vedere come sono stati operati i tagli e
cercare di capirne la logica. Quanto lavoro e quanta materia di studio; e
chissà… forse prima o poi si potrebbe anche arrivare a fare un po’ di chiarezza
su quell’eterna querelle della qualità della scrittura di Philip K. Dick.
- “E questo è il mio regalo. Regalo si dice cadeau, in francese, ma in inglese si dice gift. E ricordi: in tedesco, gift significa veleno.” Nella traduzione di Malaguti.
- The
trasmigration of Timothy Archer, La trasmigrazione di Timothy Archer
(1981)
- Nel
racconto del 1956 Pay for the printer, Diffidate delle imitazioni,
compaiono i Biltong, alieni sbarcati sulla Terra postatomica, che aiutano
i sopravvissuti grazie alla loro capacità di riprodurre qualunque cosa che
ancora esista e sia funzionante.
- A titolo
esplicativo riporto il primo indovinello nella traduzione di Anselmi e di
seguito la scelta operata da Pagetti: 1) Gauk lesse dal foglietto.
“L’intelaiatura a traliccio Arma-da-fuoco Insetto che punge.”
“Insetto-che-piange?” domandò Joe. “No! Insetto-che-punge.” “Intelaiatura
a traliccio,” rifletté Joe. “Reticolato… insetto che punge… Vespa?” Si
grattò con la penna perplesso. “E l’hai preso dal computer di traduzione
di Kobe? Ape.” Decise. “Arma da fuoco… allora Cannone-ape. Laser-ape.
Heater-ape. Rod-ape. Gat.” Scrisse la parola velocemente. “Gat-vespa,
gat-ape. Gat-by… Intelaiatura a traliccio. Dovrebbe trattarsi di
un’inferiata… Grata!” Ora aveva la frase. “Il grande Gatsby, di Francis
Scott Fitzerald.” Lasciò cadere la penna trionfante.” (N.d.T.):
Heater-Rod-Gat significa Pistola. Ape=Bee, e si pronuncia bi. Quindi
Gat+bee corrisponde alla pronuncia di Gatsby. Grata=grate si pronuncia
greit allo stesso modo di great che significa grande. Il gioco di parole è
comunque intraducibile in italiano. 2) Gauk lesse ciò che aveva
scritto sul foglio. “Avvenenti in congiunzione con originari di
scaturiti.” “Originali?” chiese Joe. “No, originari.” “Originari di
scaturiti” disse Joe, pensoso. “In congiunzione con. Avvenimenti. Carine?”
scarabocchiò con il suo mozzicone di penna. “E questo te l’ha dato il
computer di Kobe? Belle? Belli” ragionò. “In congiunzione con. Insieme
a.E.” Prese in fretta un appunto. “Sgorgati. Usciti. Derivati. Nati.
Originari di nati. Da nati.” Allora capì. “Dannati. Belli e dannati, di F.
Scott Fitzerald.” Gettò la penna sulla scrivania, trionfante.
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