“Sull’avambraccio
nudo e scuro spiccava un tatuaggio, CAVEAT EMPTOR” UBIK (1966). Direttamente
inciso sul corpo di Patricia Conley, l’ultima neoassunta precog
dell’Associazione Runciter, sta l’avvertenza di porre la dovuta cautela
all’acquisto. Ma Joe Chip non ne conosce il significato e quindi non può
mettere sull’avviso il suo datore di lavoro Glen Runciter. Quasi ad anticipare
la moda dilagante dei nostri giorni, nei romanzi dickiani, i tatuaggi si
affacciano più volte. “Quando vennero
portati panini e caffè e la cameriera se ne fu andata, uno dei ragazzi si girò
sulla sedia per guardarli in faccia. Ragle notò che i tatuaggi sulle guance
riprendevano il disegno sui braccialetti. Osservò quelle linee intricate e
infine riconobbe le figure. Erano state copiate dai vasi attici. Atena e la sua
civetta. Kore che sorge dalla Terra.”
TEMPO FUOR DI SESTO (1958). La
mitologia greca, ma ancora risalendo più indietro nel tempo, la figura del
labirinto: “Più avanti c’era una bottega
di tatuaggi, moderna ed efficiente, con una parete interamente illuminata;
all’interno il titolare usava l’ago elettrico senza esercitare attrito sulla
pelle, ma semplicemente sfiorandola mentre disegnava una specie di labirinto.
Perché no? Si disse Eric. Che cosa mi potrei fare incidere, quale motto o
immagine che mi dia sollievo in questo momento insolitamente difficile? In
questo momento in cui aspettiamo che arrivino i listariani a prendersi il
pianeta? Impotenti e spaventati come siamo, diventiamo tutti dei vigliacchi.” (…)
ILLUSIONE DI POTERE (1963). E ancora
il tatuaggio “Persus 9” si ritrova in quel vero labirinto senza uscita che è LABIRINTO DI MORTE (1968). Tatuaggio
come immagine per ottenere sollievo, come avvertimento, minaccia o marchio di
sottomissione alla tirannia di una vita che si avverte essere senza senso e
senza scopo?
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