“Tanto ormai se ne sono
accorti tutti che si muore.”
Giorgio Manganelli
Siamo nell’anno 2010, il medico Jim Parsons viene
catapultato nel 2405. Qui egli scopre che la sua professione non solo è
diventata inutile, ma persino vietata. Il mondo del futuro è basato su una
società che predilige la morte. Una persona ferita non chiama il medico ma
l’eutanasista per farsi sopprimere. È un mondo in cui le nascite sono
rigidamente controllate, tutti i maschi sono sterili e gli zigoti sono
conservati nel cubo dell’anima; ad ogni decesso ne viene prelevato uno per
concepire una nuova vita. Questo è lo sfondo su cui si innesta la trama del
romanzo di Philip K. Dick “Il dottor futuro” del 1959. È ancora il primo Dick,
impigliato nelle maglie grosse della fantascienza ma già capace di rovistare
nelle pieghe del genere per andare oltre il genere stesso. Si può dire che Dick
è stato infettato dal genere quanto viceversa lo ha a sua volta infettato fino
ad accompagnarlo dolcemente ad esaurirsi, in quasi concomitanza con la propria
fine. Conclusasi la capacità di anticipare perché tutto ormai è anticipato,
nulla può più succedere nel futuro che non sia già iscritto nel presente e così
il viaggio temporale di Dick dal 1959 al 2010 e infine al 2405 forse delinea un
filo rosso che collega al di là delle apparenze mondi così apparentemente
opposti e lontani. Nella nostra società attuale è sempre meno possibile, e
sempre meno lecito, prevedere; possiamo e dobbiamo solo imparare a prevenire.
Questo significa che nel nostro operare quotidiano non abbiamo più a che fare
con la “cautela”, ma bensì con “la precauzione, non l’articolazione
contestuale del dato, ma l’assunzione di questo come fatto compiuto
autosufficiente” Il vecchio adagio ‘prevenire è meglio di curare’ si sta
massimalizzando a un ritmo esponenziale; non serve più prevedere i pericoli,
vanno anticipati per poterli disinnescare. “La
prevenzione è un atto che anticipa ciò che può o può non svilupparsi in un
certo modo. La prevenzione è l’anteposizione dell’atto alla potenza (cfr. Giorgio Agamben, La potenza del pensiero, Neri Pozza, Vicenza 2005, pp. 276-277) o anche l’attualizzazione di una possibilità
della potenza che scarta le altre possibilità e che attraverso lo scarto di
queste si assicura di escludere una specifica possibilità. La previsione è
invece aver cura di capire quali possibilità o impossibilità si possono
sviluppare dalla potenza. La prevenzione è la completa trasformazione della
potenza in qualcosa che la renda percepibile già come atto. Questo qualcosa è
il rischio.”1 Il dottore che dal futuro di Dick si sposta ancora
più in là nel futuro non trova il progresso auspicabile della sua arte di
guarire ma all’opposto quella dell’arte del morire; una società alla cui base
c’è “l’ethos della morte”, una
società in cui “gli individui morivano e
nessuno ne era turbato, nemmeno le vittime. Morivano felici e contenti.”
Qualcosa di inaccettabile per il dottor Parsons che dice a un abitante
del futuro: “forse noi ignoriamo la
morte, forse siamo così immaturi da negare l’esistenza della morte, ma almeno
non la cerchiamo”. E di contro l’interpellato risponde: “indirettamente l’avete fatto (…) negando
una realtà così potente avete minato le basi razionali del vostro mondo. Non
sapevate in che modo affrontare la guerra, la fame e la sovrappopolazione
perché non riuscivate a discutere di questi problemi. Quindi per voi la guerra
capitava e basta, era una sorta di calamità naturale e non l’opera dell’uomo. È
diventato un fattore esterno. Noi controlliamo la nostra società. Noi
contempliamo tutti gli aspetti della nostra esistenza, e non soltanto quelli
belli e piacevoli.”2 Finita
l’era dell’incerto e del casuale la governance si distende come un sudario
sull’intero pianeta senza residuo alcuno. Ovviamente nel romanzo c’è un’altra
storia, una resistenza, ma questa è appunto un’altra storia. Come spesso è uso
in Dick, più storie convivono, si intersecano, confliggono e anche stridono, ma
ognuna gode anche di un’esistenza propria. La morte e la cura attraversano gran
parte della produzione dickiana; qui la morte la fa da padrona, pretende, se
non fosse un controsenso, di vivere di vita propria e getta una luce sinistra
sulla nostra pretesa prevenzione per la vita. A forza di prevenire la vita
forse la stiamo solo esaurendo, sfibrando la sua forza e rischiandone
l’estinzione. La fantascienza, nella sua breve ma feconda esistenza, ha
scommesso invece sulla capacità di prevedere e grazie alla “capacità di dilatare o restringere il tempo e lo spazio della realtà” è
riuscita ad avere “una dimensione
filosofica oltre che inventiva” capace di favorire la ricerca di un
antidoto al veleno di chi vuol “rovesciare
e far coincidere ciò che è con ciò che può essere” e a “non lasciare quello spazio/tempo intermedio dove si articolano l’etica
e la politica”3. Prevenire
allora non è necessariamente meglio che curare, occorre anche prevedere per
darsi il tempo di riflettere e di scegliere. Prima che la morte stenda su tutti
noi il mantello che definitivamente ci metterà al riparo da qualunque
possibilità di rischio.
Il titolo di questo
articolo rimanda volutamente al libro di S. Iaconesi e O. Persico, La cura (qui
recensito http://www.labottegadelbarbieri.org/la-malattia-e-un-evento/)
libro, strumento per imparare a prevedere, riflettere, scegliere.
- Marco
Pacioni, Neuroviventi, Mimesis,
2016 (recensione: http://www.labottegadelbarbieri.org/cervello-controllo-corpi/)
- Philip K.
Dick, Dottor futuro, Fanucci,
2011
- M. Pacioni,
op. cit.
Copertina
di Antonello Silverini: http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2014/11/antonello-silverini-dottor-futuro.html