In un recente articolo: Megamacchine del neurocapitalismo. Genesi delle piattaforme globali2 l’autore Giorgio Griziotti3
ricorda come Lewis Mumford introduca “nel
1967 il concetto di megamacchina come complesso sociale e tecnologico che
modellizza le grandi organizzazioni e progetti dove gli umani diventano pezzi
intercambiabili o servo-unità”. Questi grandi complessi organizzativi di
messa al lavoro del capitale umano sarebbero rintracciabili fin dalla “costruzione delle piramidi in Egitto”,
e troverebbero nella modernità il modello più rappresentativo nei “grandi
complessi militari-tecnocratici che gestiscono il potere nucleare.” Per
Griziotti oggi, in questo nuovo millennio, tutto il mondo, tutta la vita si sta
assoggettando all’immensa megamacchina del capitalismo che controlla e
controllerà sempre di più ogni momento della nostra vita, non più solamente
dall’esterno ma soprattutto dal di dentro dei nostri corpi, incorporandosi in
noi, divenendo parte di noi e noi di esso. L’articolo è ricco di informazioni e
agghiacciante nelle conclusioni a cui inevitabilmente conduce. Non ho le
competenze necessarie per entrare nel merito di questa articolata descrizione
della gestazione e trasformazione di questa complessa megamacchina del
‘neurocapitalismo’ e al di là di segnalare, doverosamente, i meriti di una
descrizione che nulla concede alla bassa divulgazione e che peraltro riesce a
rendersi comprensibile a un pubblico di non esperti, qui vorrei indugiare su
una sollecitazione di carattere fantascientifico (meglio: dickiano) che il
testo offre esplicitamente in un punto in cui cita il racconto di Dick: Minority Report,4 ma che
inevitabilmente lo pervade, data la natura dell’argomento, nella sua totalità.
Parlando della Global Community di
Zuckerberg e del suo impegno per la ricerca sull’Intelligenza Artificiale ci
avverte che: “Anche se ci vorranno ancora
anni, scrive Zuckerberg, perché l’IA diventi un vero agente semiotico in grado
di capire e valutare il senso di tutti i contenuti del social network in modo
da poter intervenire opportunamente, questo resta l’obiettivo di FB ‘per
combattere il terrorismo mondiale’. La promessa di costruire l’infrastruttura
sociale che aiuterà la Global Community di FB a ‘identificare i problemi prima
che avvengano’ va nello stesso senso e si ispira direttamente a Minority
Report.” È un esempio calzante, ma
se dalla situazione particolare di FB ci confrontiamo con la realtà più
generale presa in esame dall’articolo, cioè quella “messa al lavoro della vita tramite la tecnologia della Web2.0” e
soprattutto quell’”asservimento
macchinico che ‘consiste nel mobilitare e nel modulare le componenti
pre-individuali, pre-cognitive e pre-verbali della soggettività, e fa
funzionare gli affetti, le percezioni e le sensazioni come parti o elementi di
una macchina.’5” più
che a questo vecchio racconto sarebbe opportuno riferirsi a una delle sue opere
chiave: il romanzo Ubik.6 Le premesse di questo mondo
bioipermediatico7 non ci portano tanto a una distopia da grande
fratello elevata all’ennesima potenza, spettro fantascientifico ormai
depotenziato come gran parte degli scenari della science fiction novecentesca,
quanto a un mondo caotico, confuso, denso di contraddizioni e ambiguità. I
Zuckerberg e i Trump, acerrimi rivali nel nostro mondo, si possono equiparare,
nel mondo di Ubik, agli Hollis e ai Runciter con le loro rispettive funzioni di
spionaggio e controspionaggio che governano la vita di tutti gli individui. La
funzione di Hollis è quella di un potere tendente al controllo della vita nelle
sue singole componenti umane (spiandone le menti e pianificando coercitivamente
il loro futuro) mentre quella di Runciter si qualificherebbe come il bisogno di
governare questo processo, più che combatterlo (Runciter steso si avvale, come
il suo avversario, di telepati e precog, per i suoi bisogni). Che Runciter, per
chi legge il romanzo, appaia il più simpatico dei due, collima con il fatto che
un Zuckerberg “in contrasto coi populismi
nazionalisti di cui Trump è il capofila” risulti infine “in un certo senso più ‘moderno’ ed
attraente (o forse solo più accettabile) agli occhi di generazioni di nativi
digitali.” Il mondo della semi-vita di Ubik, in cui tutto sprofonda è un
mondo di cadaveri viventi e, come ancora Mumford ci ricorda: “…se ogni cosa, eccettuata la tecnica, è un
sogno nebuloso, che cosa resta dell’uomo se non un cadavere vivente…?”.8 È in questo riconoscersi cadavere vivente che
il protagonista Joe Chip, sfigato personaggio seriale dickiano, ritrova la
forza di resistere ai poteri che lo vogliono assoggettato a una docile
ubbidienza. Quel cadavere vivente, il corpo, è ciò che noi siamo, e potremo
essere corpo collettivo, resistente, solo a partire da questa ritrovata
consapevolezza. Tutta l’opera dickiana, del resto, tende a ritrovare il
possibile aggancio della dimensione culturale, che sempre più si esprime in
un’esplosione dell’immaterialità, con quella della materia, e del corpo in prima
istanza. Senza questo antidoto ubikiano temo che l’idea di una possibile
‘liberazione’ del ‘comune’, cioè di raggiungere quei “modi per rendere veramente autonoma la Global Community e tutte le
altre comunità delle piattaforme del Capitalismo” auspicata da Griziotti,
rimanga una bella, ma ancora un’altra, irraggiungibile utopia dell’avvenire.
Nota 1: L. Mumford, Arte e tecnica, Universale Etas, Milano 1980, p. 96
Nota 3: di cui ho recensito il libro Neurocapitalismo: http://www.labottegadelbarbieri.org/neurocapitalismo-e-cura/
Nota 4:
racconto del 1956 portato sugli schermi da Steven Spielberg nel 2002
Nota 6: per
un’analisi del romanzo rimando al mio http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2014/08/ubik_30.html
Nota 7: “Bioipermedia è termine d3erivato
dall’assemblaggio di bios/biopolitica e ipermedia, come una delle attuali
dimensioni della mediazione tecnologica. Le tecnologie connesse e indossabili,
i cui oggetti popolano il territorio, ci sottomettono ad una percezione
multisensoriale in cui spazio reale e virtuale si confondono estendendo ed
amplificando gli stimoli emozionali.” G. Griziotti, Neurocapitalismo Mimesis 2016, p. 120
Nota 8: L. Mumford, Arte e tecnica, cit. p.40
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