venerdì 20 febbraio 2015

Antonello Silverini: Cronache del dopobomba


Un ratto astuto e feroce sopra una lattina di olio per motori; la coda come una frusta taglia orizzontalmente l’intero campo dell’immagine. Sullo sfondo rossastro, in evanescenza, tubature e valvole. Il tema della mutazione genetica è colto qui nel suo aspetto più inquietante, quella di un topo dalla testa scheletrica ma dall’aspetto ben vivo, vibrante, come nell’attesa di ghermire una preda. Per capire Dick, come molto giustamente osserva Antonio Gnoli nella postfazione, prima ancora che interpretazione occorre complicità. Ed è complicità quella che mette in atto Silverini nella realizzazione delle sue copertine. Qui la complicità è sottile, sa quasi dell’astuzia del ratto. L’olocausto atomico è tra i temi più battuti, e anche tra i più triti, della narrativa fantascientifica; Dick lo incornicia in un paesaggio rurale, in una “visione pastorale” (Pagetti) in cui l’eccezionalità della catastrofe, per citare ancora Gnoli, non è tale rispetto alla normalità bensì “abita nella normalità”. Silverini si rende complice, ascolta il lucido delirio dell’autore, ne vede il responso finale, che è terribile e senza scampo. La fine del mondo è sempre presente nell’umanità come crisi che impone una scelta; una morte e una rinascita. Ma l’olocausto nucleare è una scelta che non prevede ricominciamento, qui la fine del mondo è definitiva e l’astronauta Dangerfield, costretto a girare all’infinito intorno a una terra devastata, manda il suo ultimo messaggio-discorso a nessuno, nessuno riesce ad ascoltarlo perché la verità è che nessuno è rimasto per ascoltarlo. Anzi, no qualcuno è rimasto, quel topo famelico che Silverini pone là nel sottosuolo cosparso di tubature, reti fognarie, dove rimangono inutili resti che ricordano un ben più feroce predatore che non ebbe pietà neanche per i suoi simili. “Cronache del dopobomba getta nello sgomento, disorienta e suscita ammirazione” (Gnoli).

Venerdì 27 febbraio: Antonello Silverini Noi marziani

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