martedì 29 novembre 2016

Televisione


In UTOPIA ANDATA E RITORNO (1963) abbiamo una “tv tridimensionale, a colori con un’aggiunta di strumenti per la percezione olfattiva” che propaganda l’emigrazione verso il pianeta dove sono tutti felici e contenti (in un viaggio però di sola andata). E forse la televisione  stessa è il mezzo più appropriato per teletrasportarci nel mondo dell’utopia; quell’utopia che vorremmo congeniale a noi e che invece poi si dimostra essere sempre quella degli altri. In OCCHIO NEL CIELO (1955) la televisione serve addirittura a far si che il vecchio e bigotto Arthur Silvester possa comunicare direttamente con Dio: “chiaramente, Silvester non era affatto stupito di sentirsi rivolgere la parola dal suo Creatore. Era ovvio che faceva parte dei suoi riti domenicali. Ogni domenica mattina si ingozzava della sua razione settimanale di nutrimento religioso.” E quando qualcuno protestava, l’intervento teledivino era immediato e privo di misericordia: “dallo schermo emersero quattro enormi figure. Erano angeli, grossi angeli mascolini, animaleschi, con uno sguardo meschino negli occhi. Dovevano pesare almeno un quintale ciascuno. Sbattendo le ali i quattro angeli puntarono direttamente su Hamilton. Con una smorfia maligna sul volto rugoso, Silvester si fece da parte per godersi lo spettacolo della vendetta celeste che colpiva il blasfemo.” Ma la televisione può anche avere effetti salvifici, come in UBIK (1966), permettendo a Glen Runciter di comunicare dal mondo dei vivi, dove lui si trovava, a quello dei semi-vivi, dove era finito il suo braccio destro Joe Chip insieme a tutta la sua squadra di collaboratori: “Runciter , attraverso il sistema audio dello schermo, tuonò: -Un ennesimo fenomeno di deterioramento. Vai a comprare una bomboletta di Ubik e smetterà di succederti. Tutte quelle cose smetteranno.-“ Ma questa funzione televisiva, che potremmo quasi definire trascendentale, finisce nelle ultime opere di Dick e si sposta, quasi una nemesi storica, al cinema, alla sala cinematografica dove alberga Dio1 e dove per l'appunto Horselever fat e lo stesso Dick scoprono Valis, VALIS (1978). Alla televisione resta il solo triste compito di propaganda politica, ma rimane comunque “un problema convincere le masse ad ascoltare Ferris Freemont mentre sciorinava i suoi discorsi, perché si esprimeva in un modo molto noioso.” RADIO LIBERA ALBEMUTH (1976).

Nota 1: Una vignetta apparsa sul ‘New Yorker’ negli anni 1920 mostra un ragazzino in compagnia della madre, che sull’atrio di un ‘palazzo del cinema’ chiede: -Mammina. Dio vive qui dentro?-  (Robert Stark, Cinemamerica,  Feltrinelli, Milano 1992, p. 108. Sul cinema e Philip K Dick vedi: http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2014/09/il-cinema-di-philip-k-dick.html   

martedì 22 novembre 2016

Morte


“I morti hanno sempre qualcosa di incommensurabile, di spaventoso. La stessa morte ha un tale potere! Una trasformazione terribile come la vita stessa, e tanto più difficile da capire.” NOI MARZIANI (1962). Una incomprensione, per usare le parole di Adorno, fondata “sulla debolezza, perdurante fino ad oggi, della coscienza umana di tener testa all’esperienza della morte, forse in generale di recepirla. (…) Le riflessioni che cercano di dare senso alla morte sono impotenti come quelle tautologiche.”1 Ma Dick, come forse tutto il genere fantascientifico che lui utilizzava a proprio uso e consumo, è in gran parte una centrifugazione tautologica dell’idea della morte; un modo per tentare di reintegrarla in una società che a rapidi passi sta procedendo verso una nuova ricompattazione comunitaria, dall’individualismo borghese a un nuovo essere collettivo performato da una serie di dispositivi dalle caratteristiche sempre più magiche o quantomeno avvertite come tali. Da un superamento dell’idea di morte come in IN SENSO INVERSO (1965) basato su una nuova religione che predica la fusione tra individui tramite le droghe in cui la morte semplicemente “non esiste: è un’illusione”, come il tempo, del resto; alla rappresentazione di una società futura che al contrario è costruita sulla morte: “La morte rappresentava una componente quotidiana delle loro vite. Gli individui morivano e nessuno era turbato, nemmeno le vittime. Morivano felici e contenti.” DOTTOR FUTURO (1959). Ma in Dick il pungiglione della morte è qualcosa da cui è difficile distrarre il pensiero: “-Che cos’è ein Todesstachel?- mi aveva chiesto, e io le avevo spiegato del pungolo della morte e poi oh Dio lo avevo sentito pungermi il fianco, penetrando come un arpione di metallo che si torceva e mi uncinava oh Signore guidando il mio corpo in un agonizzante Totentanz per la stanza.” DEUS IRAE (1964-75). Naturale anche il desiderio di correrle incontro come in LABIRINTO DI MORTE (1968) “La nostra sola speranza: la morte” o in LE TRE STIMMATE DI PALMER ELDRITCH (1964) “Ascolta Mayerson; essere una pietra non è ciò che vuoi veramente. Quello che vuoi è la morte.” Ma se, infine, “la morte e la colpa sono collegate” GUARITORE GALATTICO (1967) che la colpa principale dell’uomo sia forse proprio quella di esistere e di averne coscienza?

Nota 1: T.W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi 1970, p. 332

martedì 15 novembre 2016

Vaso


Il vaso, oggetto altamente simbolico, ha una forte presenza nell’opera di Dick; Joe Fernwright, protagonista di GUARITORE GALATTICO (1967) è un riparatore di vasi che viene coinvolto in un’impresa insieme a  un dio alieno su un pianeta ai margini della galassia per far risorgere un’antica cattedrale dal fondo dell’oceano. Alla fine il riparatore potrà affrontare la sua personale impresa e riuscirà a fabbricare il suo primo vaso: “Con un guanto d’amianto Joe infilò la mano tremante nel forno ancora caldo ed estrasse il vaso. Un vaso alto, bianco e azzurro. Il suo primo vaso. Lo portò al banco, sotto la luce diretta, lo posò e gli diede una lunga occhiata. Valutò professionalmente il valore artistico della sua opera. Valutò ciò che aveva fatto, e ciò che avrebbe fatto, come sarebbero stati in seguito i vasi. Le sue opere future gli si profilavano dinanzi. Quella in un certo senso era la sua giustificazione per aver abbandonato Glimmung e tutti gli altri. Mali, soprattutto. Mali, che lui amava. Il vaso era orribile.” Un brutto vaso, ma un vaso uscito dalle sue mani.1 Costruire vasi non è un’impresa di poco conto, soprattutto se si pensa a quello che il vaso potrebbe contenere: “Non vi è accesso a Dio attraverso la droga; questa è una bugia smerciata da gente con pochi scrupoli. Il mezzo attraverso cui Stephanie portò Horselover Fat a Dio fu un piccolo vaso di terracotta che lei fece con il tornio da vasaio. (…) Sembrava un normale vaso: tozzo e color marrone chiaro, con una striscia di blu come unico disegno. Stephanie non era una vasaia esperta. Quel vaso era uno dei primi che aveva fatto al di fuori del corso di ceramica alla scuola superiore. Naturalmente uno dei suoi primi vasi sarebbe stato per Fat. Lui e lei avevano un rapporto molto stretto. Quando lui era sconvolto, lei lo calmava con una dose extra nella pipa per hascisc. Tuttavia il vaso aveva una particolarità. Dentro di esso sonnecchiava Dio. Sonnecchiò nel vaso per un bel pezzo, quasi per troppo.” VALIS (1978). Ma è uno strano Dio, un Dio che si potrebbe confondere con l’uomo, e comunque, un Dio che condivide in pieno il destino dell’uomo: “Voltandosi, Pete mise a fuoco l’immagine ballonzolante e fluttuante di un vasetto d’argilla, un oggetto senza pretese, cotto ma non smaltato; solo temprato. Un oggetto utile, fatto di terra. Che lo ammoniva contro il timore che aveva provato, cosa di cui gli era riconoscente. –Ti dirò come mi chiamo- disse il vasetto. –Io sono Oh Ho.- Cinese, pensò Pete. –Vengo dalla terra, non sono superiore ai mortali- continuò il vasetto Oh Ho, interlocutorio. –Non mi sento superiore alle presentazioni. Sono costantemente consapevole dell’esistenza di manifestazioni troppo sublimi per presentarsi. Tu sei Peter Sands; io sono Oh Ho.- (…) Il vasetto d’argilla nato dalla terra che, come te, può essere ridotto in pezzi e tornare alla terra, e che vive soltanto finché vive la tua specie. –Ho On- ripeté diligentemente Pete.” DEUS IRAE (1964-75). Tra la ricchezza dei significati di cui è ricco il simbolo del vaso in Dick non è di minore importanza l’immagine del vaso come simbolo femminile: “è un grembo materno nel quale la figura dell’uomo-dio si trasforma, per così dire, per rinascere sotto nuova forma. (…) Secondo la tradizione gnostica, un dio sommamente spirituale, superiore all’ambiguo creatore del mondo, mandò agli uomini un vaso (cratere) nel quale essi devono tuffarsi per raggiungere una trasformazione spirituale e una più alta conoscenza.”2 La figura della vasaia Mary Anne Dominic in SCORRETE LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO (1970) potrebbe essere vista proprio come colei che crea quel qualcosa fatto da mani umane (femminili) che per tutti potrà essere un prezioso tesoro da custodire, capace di trasformazione spirituale, per il protagonista Jason Taverner come per tutto il resto dell’umanità. “Il vaso azzurro fatto da Mary Anne Dominic e comperato da Jason Taverner come regalo per Heather Hart finì in una collezione privata. È lì ancora oggi, ed è considerato un prezioso tesoro. E, in effetti, molti esperti di ceramiche artistiche lo ritengono un vero capolavoro. E lo amano.”
Nota 1: Sulla simbologia del vaso in questo romanzo vedi anche: http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/02/guaritore-galattico.html

Nota 2: Marie-Luise Von Franz, Il mito di Jung, Boringhieri, Torino 1978, p. 258.

martedì 8 novembre 2016

Matrimonio


In ILLUSIONE DI POTERE (1964) il protagonista è cosciente di “essere sposato con una donna che è troppo superiore a me dal punto di vista economico, intellettuale e, si, anche da quello sessuale” la qual cosa però non gli consente alla fine della storia, quando la relazione si capovolge drammaticamente, di decidere di non restare con la moglie: “-Se tua moglie fosse malata…- disse al taxi tutto a un tratto. –Io non ho moglie signore- replicò il taxi. –I meccanismi automatici non si sposano,  lo sanno tutti.- -D’accordo- convenne Eric. –Se tu fossi al mio posto, e tua moglie fosse malata in modo molto grave, senza nessuna speranza di guarigione, la lasceresti? Oppure resteresti con lei, anche se avessi viaggiato dieci anni nel futuro e sapessi con assoluta certezza che i danni al suo cervello non potranno mai essere risanati? E che rimanere con lei significherebbe…- -Capisco cosa intende dire, signore- lo interruppe il taxi. –Significherebbe che lei dovrebbe passare tutta la sua vita a prendersi cura di sua moglie.- -Proprio così- disse Eric. –Io resterei con lei- disse il taxi.- -Perché?- -Perché- rispose il taxi –la vita è fatta di configurazioni della realtà che si presentano così. Abbandonandola sarebbe come dire che lei non riesce a sopportare la realtà così com’è. Che vorrebbe delle condizioni particolari, più privilegiate per lei.- -Credo di essere d’accordo con te- disse Eric dopo un po’. –Credo che resterò con lei.- -Dio la benedica, signore.- disse il taxi. –Vedo che lei è un uomo buono.- -Grazie- disse Eric.” Di fatto in Dick sono sempre le donne a piantare i mariti “in fin dei conti, Kate non gli aveva mai fatto nulla… tranne il renderlo eccessivamente consapevole, intensamente consapevole, continuamente consapevole della sua incapacità di guadagnare. Gli aveva insegnato a detestarsi e, dopo averlo fatto, lo aveva piantato.” GUARITORE GALATTICO (1969). E i mariti non possono che rimpiangerle continuamente come per il protagonista di LE TRE STIMMATE DI PALMER ELDRITCH (1964). Tutte queste intricate situazioni matrimoniali evidenziano, in ultima analisi, l’insostenibilità del patire il rapporto con l’altro in una situazione di equilibrio paritario. “Prima degli universi” come osserva giustamente Antonio Caronia1 “(o insieme ad essi) cadono a pezzi i matrimoni. A volte sono a pezzi già all’inizio del romanzo – e poche volte si rimettono a posto davvero entro la fine.” Ma anche quando si rimettono a posto  il risultato non è esaltante, sembra quasi un adattarsi al male minore; rassegnarsi a un ménage più tranquillo, in tono minore come nel finale di MA GLI ANDROIDI SOGNANO LE PECORE ELETTRICHE? (1966) in cui Iran (come la Molly dell’Ulisse di Joyce) si appresta a una rinnovata cura del proprio marito-bambino. Ma non bisogna farsi ingannare, il tema del matrimonio in Dick è solo un pretesto, quel che veramente conta nell’analisi di questi rapporti sono le relazioni di potere che si instaurano tra due persone di sesso diverso, indipendentemente dalla legalizzazione o meno della loro unione. Ci si può lasciare, divorziare, regolare il rapporto in base a un gioco puramente casuale, GIOCATORI DI TITANO (1963), o restare semplicemente liberi, il problema per Dick permane immutato: mettersi insieme comporta sempre “un desiderio di predominio nei confronti dell’altro” (Illusione di Potere) e all’attenuarsi della componente amorosa questo predominio si rende inevitabilmente visibile rendendo il conflitto la predominante del rapporto. Ma esiste rapporto, che possa definirsi veramente tale, senza il conflitto? E soprattutto, se si vuole un conflitto che non sia pura distruttività, è possibile ottenere questo senza che il conflitto stesso si trasformi in motore del cambiamento perpetuo dei suoi attori? Ed è proprio questo, in definitiva, quello che succede negli agoni amorosi dickiani: un costante susseguirsi di trasformazioni, non prive di sofferenza, ma cariche di sempre nuove possibilità e di rinnovati conflitti.

mercoledì 2 novembre 2016

Intellettuali


Si deve presumere che gli intellettuali scarseggino di qualità empatiche se il ‘cervello di gallina’ Isidore in MA GLI ANDROIDI SOGNANO LE PECORE ELETTRICHE? (1966) ha potuto scambiare degli androidi per intellettuali: “-Voi siete degli intellettuali- disse Isidore; si sentì di nuovo emozionato per aver capito. Emozionato e fiero. –Voi pensate in modo astratto e non riuscite a …- Gesticolò, mentre le parole gli si impigliavano in gola.” Di sicuro gli intellettuali possono essere molto irritanti, come ha potuto constatare la protagonista di LA TRASMIGRAZIONE DI TIMOTHY ARCHER (1981) Angel Archer: “Jeff scoppiò a ridere. –Sai chi mi ricordi? La strega di Didone ed Enea di Henry Purcell.- -Cioè?- -‘Che, come il cupo richiamo dei corvi, bussa alle finestre dei morenti.’ Mi spiace, ma…- -Stupido intellettuale di Berkeley- dissi. –In che stronzata di mondo vivi? Non nel mio, spero. Citare vecchi versi... È questo che ci ha fregati. Lo stabiliranno quando scaveranno le nostre ossa. Tuo padre ha citato la Bibbia al ristorante, esattamente come stai facendo tu. Dovresti picchiarmi, o io dovrei picchiare te.. Sarò felice quando finirà la civiltà. Gente che sputa frammenti di libri.-” Ma in fondo il mondo degli intellettuali non è fatto di altro che di chiacchiere come ben sa Dangerfiled in orbita intorno alla Terra per il resto della sua vita: “Naturalmente lei si rende conto che sto registrando tutto questo su nastro; ho intenzione di trasmettere ogni notte le nostre stupide chiacchiere quando passo sopra New York… da quelle parti impazziscono per questa roba da intellettuali..”  CRONACHE DEL DOPOBOMBA (1963).