martedì 13 gennaio 2015

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Se in basso si estende il mondo della tomba “il mondo immutabile della causa e dell’effetto, il mondo del demonio” e in alto il mondo etereo, il paradiso in contrapposizione all’inferno, l’uomo si trova al centro. Lì in quello strato dove “in ogni istante un uomo poteva affondare… discendere, sprofondare” ma da cui poteva anche ascendere, salire allo stato superiore, lì “ogni aspetto, o sequenza della realtà, poteva diventare una delle due alternative, in qualsiasi istante.”  Se l’una “la depressione, la pura malattia  della mente, faceva affondare, l’altra… come si otteneva? Grazie all’empatia. Comprendendo un altro, ma non dall’esterno ma dall’interno.” LE TRE STIMMATE DI PALMER ELDRITCH (1964). Chiave, perno della salvezza dell’uomo è la comprensione dell’altro. Ma cosa significa dall’interno e non dall’esterno? “Forse” come suggerisce il riparatore di vasi Joe Fernwright, protagonista del romanzo GUARITORE GALATTICO (1967) “ci siamo sempre sbagliati. La caritas” che oggi chiamiamo empatia “non è un sentimento, ma una forma superiore di attività cerebrale, una capacità di percepire qualcosa nell’ambiente che ci circonda… di notarla e (…) di preoccuparci. E’ un atto cognitivo, ecco cos’è. Non si tratta del sentimento opposto al pensiero: è un atto cognitivo e basta.” Questo è il conoscere dall’interno. Nell’impossibilità della conoscenza reale dell’altro, la necessità di riconoscerlo come tuo simile. “Abbiamo ottenuto o imparato qualcosa, dal nostro inatteso incontro con i Pechinesi? Si chiese” Salisbury Heim direttore della campagna elettorale del primo candidato nero alla presidenza USA nel romanzo SVEGLIATEVI DORMIENTI (1963) “Abbiamo scoperto, decise, che la differenza tra un bianco come me e un negro è così dannatamente lieve, alla luce di tutti i criteri validi, che in pratica non esiste. Quando si verifica un evento simile, un incontro con una razza diversa dall’Homo Sapiens, finalmente la verità affiora.” L’empatia è un atto cognitivo e serve a riconoscerci nell’altro

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